AFGHANISTAN – ( 17 Maggio )

AFGHANISTAN
Catacombe e prima linea
La fede e le opere della Chiesa cattolica in un Paese musulmano

“L’Afghanistan è un Paese totalmente musulmano. La legge ci dice che non possiamo fare propaganda, che non dobbiamo esibire i simboli cristiani, e noi la rispettiamo. Questo ci spinge a essere missionari da un altro punto di vista, a essere credibili attraverso una fede che viene manifestata nella semplicità, nell’umiltà, nella vita di tutti i giorni”. Romina Gobbi, per il Sir, ha incontrato nei giorni scorsi a Kabul padre Giuseppe Moretti, barnabita, che da 17 anni regge la “missio sui iuris” dell’Afghanistan (voluta da Giovanni Paolo II, il 16 maggio 2002), con sede all’interno dell’Ambasciata italiana di Kabul, dove praticamente c’è l’unica chiesa cattolica di tutto il Paese, ma senza campanile. “Quello non ce lo hanno lasciato fare!”. Alla messa che padre Moretti celebra tutti i giorni alle 17.30, fino a un paio di anni fa arrivava un centinaio di praticanti. “Oggi siamo sulle 15-20 persone. D’altra parte, Kabul è sempre più insicura. In questa situazione conta la testimonianza, perché “più di ogni altra cosa, può far breccia”. Così, dal 2005, in un villaggio alla periferia di Kabul, funziona la “Tangy Kalay School of Peace”, attualmente frequentata da 1.300 alunni (dalla prima alla dodicesima classe).

Una chiesa, dunque, in prima linea, ma, allo stesso tempo, catacombale.
“Catacombale nel vero senso della parola, cioè con lo spirito della catacomba. Intanto, perché è all’interno di un’Ambasciata, e questo è un fatto non esteriore, e poi perché la vita spirituale che vi si svolge, risente della situazione. Perciò è una vita spirituale raccolta, niente manifestazioni esterne. È come nella vecchia Chiesa catacombale. Ci riuniamo, però senza paura, perché animati da una grande fede”.

Com’è Kabul, dal suo osservatorio?
“Da quando l’ho conosciuta la prima volta nel ‘77, a oggi, è irriconoscibile da tutti i punti di vista. Allora era una città vivibile, sana, con un certo fascino orientale, ed era piacevole viverci. Adesso non più. La popolazione è aumentata a dismisura, ma le strutture non sono state adeguate. E, dal punto di vista umano, è una tristezza. L’ultimo censimento Unicef parlava di 4.000 bambini di strada, ma credo siano molti di più. Ci sono 60 mila accattoni. Una volta al bazar s’incontrava qualche vecchio che, con grande dignità, chiedeva l’elemosina, adesso ce ne sono a ogni angolo di strada. La città è distrutta ancora per il 70 per cento. Il governo è corrotto – questo è un fatto comprovato –, e si disinteressa delle problematiche della gente. Manca una pianificazione di edilizia popolare. Vediamo crescere ville pacchiane, che nulla hanno a che fare con l’architettura tradizionale afghana, e che solo pochissimi potranno permettersi. Rappresentano una pessima copia dell’architettura indiano-pakistana. Un’ostentazione di ricchezza che stride con la povertà della gente. Allora, preferisco non uscire, perché rientrerei ancora più triste”.

Per quanto attiene alla condizione delle donne?
“Qui le donne, quando arrivano all’adolescenza, sono costrette a sposare qualche vecchio, oppure devono stare a casa a fare le serve. Dobbiamo aiutare le ragazze, fornire loro borse di studio per far sì che possano studiare e realizzare i loro sogni. Sono fortemente convinto che l’evoluzione del Paese dipenda dalle donne. Sono intelligenti e hanno una voglia di rivalsa, di uscire da questa cappa di piombo in cui devono vivere. Ma qui succede che una ragazzina venga costretta a sposarsi a 15 anni e poi a prostituirsi e, poiché si ribella, viene massacrata; un’altra viene uccisa dalla madre, perché il padre vuole un erede maschio. Ci sono continue violazioni dell’essere umano. Di alcune veniamo a conoscenza, ma quante ce ne sono? Questi sono i fatti per i quali l’Occidente dovrebbe gridare allo scandalo. La dignità umana va difesa con i denti. Fino a quando un essere umano sarà considerato a livello di una bestia, che democrazia ci potrà essere? Questo è un sacrilegio della democrazia”.

Si riesce a trovare un segno di speranza?
“Come credente, come uomo di Chiesa, non posso non essere un uomo di speranza, però mi piacerebbe che alla speranza seguisse la concretezza. Io mi rifaccio sempre al salmo 126: ‘Se Dio non costruisce la casa, invano si affaticano i suoi costruttori’. La casa non è soltanto quella materiale, fatta di mattoni, è ogni realtà umana. Se non si tengono presenti i reali bisogni della gente, non si va da nessuna parte. Qui si parla di creare la democrazia, ma la democrazia se non ha delle basi, resta solo una bella parola. Una democrazia per essere tale, ha bisogno di ospedali, di case dignitose, di scuole, ha bisogno di lavoro, di strade. Se non si educano i cittadini, se i malati non hanno un luogo dove essere curati, se il lavoro non c’è, allora che democrazia si costruisce? Che pace si costruisce? Non si può costruire la pace sulla miseria. In dieci anni si è fatto poco. Dove non sono arrivati i militari, dove non sono arrivati gli aiuti, il Paese è rimasto quello di prima. Tre quarti dell’Afghanistan sta nella stessa situazione di prima della guerra. Probabilmente umanamente sono più sani, però non possono godere di quei benefici che invece una presenza occidentale di dieci anni, con ‘un’alluvione’ di soldi, avrebbe dovuto rendere possibili. Soldi ne sono arrivati tantissimi, ma la maggior parte è servita per l’esercito, non per costruire scuole e ospedali”.

 
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