AFGHANISTAN – ( 5 FEBBRAIO )

Ancora violazioni verso le donne in Afghanistane e nuovo attentato a Kandahar. Intervista con Luca Lo Presti



In Afghanistan continuano le violazioni nei confronti delle donne. E’ la denuncia di Luca Lo Presti, presidente della fondazione Pangea Onlus, impegnata da anni nel sostegno al mondo femminile. Di oggi la notizia di 9 vittime nell’ennesimo attentato a Kandahar, condannato fermamente dal presidente Karzai. Permangono dunque episodi di violenza di vario tipo, nonostante ci siano stati alcuni miglioramenti come ci conferma lo stesso Lo Presti, tornato da poco dall’Afghanistan. L’intervista è di Debora Donnini:RealAudioMP3

R. – Abbiamo visto tempi migliori rispetto ad oggi, perché gli anni 2006, 2007 e 2008 facevano percepire molto più ottimismo. Oggi l’incertezza di un ritiro delle truppe nel 2014, l’avvicinamento di una fazione talebana verso il governo centrale afghano e la paura di un ritorno a regimi integralisti portano le persone ad avere molta prudenza nel muoversi. Molte donne hanno rinunciato al burqa e questo specialmente nelle parti più agiate di Kabul. Se però ci si sposta nelle periferie stesse della città o addirittura si esce e si va verso i villaggi, le donne hanno tutte il burqa. E’ vero che ora faceva molto freddo, la temperatura superava i 20 gradi sotto lo zero e nevicava, ma era rarissimo vedere nei villaggi donne per le strade.

D. – Quando i talebani erano al potere, le donne non potevano essere visitate da un medico se non attraverso un telo con un piccolo foro, non potevano studiare e perfino leggere e dovevano girare completamente coperte dal burqa e questo solo per fare alcuni esempi… E’ ancora così per legge o almeno sul piano legale ci sono dei cambiamenti?

R. – Il piano legale è completamente mutato: la legge non prevede più il disconoscimento della donna, ma bisogna distinguere tra quelle che sono le leggi centrali e quello che è poi la realtà dei fatti e questo specialmente nelle realtà tribali, dove gli stessi uomini indossano ancora l’abito tradizionale, portano le barbe lunghe e i turbanti e le donne non hanno mai dismesso i burqa. Oggi l’assistenza sanitaria alle donne è garantita, ma il problema è farle arrivare agli ospedali, perché sono i mariti che ancora tendono ad essere radicati in una mentalità quasi pre-islamica – di vergogna, onore e tutto quanto il resto – e quindi non permettono alle donne di accedere alle cure sanitarie. Di fatto le strutture sanitarie per le donne oggi sono accessibili.

D. – Oggi le donne possono anche studiare…

R. – E’ stata una grande sorpresa e credo che qualcuno si stupirà nel sentirmelo dire: al di là di Kabul e della zona nordest e nordovest che è già un po’ più liberalizzata da tempo, in questo mio ultimo viaggio sono stato anche a Kandahar, che è una roccaforte tipica talebana, e qui ho visto anche donne lavorare e bambine andare a scuola. Certo, la strada tra l’aeroporto e la città è ancora pericolosissima e controllata dai talebani. Questa però è la realtà urbana. Nelle aree extraurbane, quindi nei villaggi e tra le montagne, tutto questo non avviene: le donne sono ancora segregate e ancora oggi nella case e nei quartieri di Kabul si tende a privilegiare il figlio maschio, con l’alimentazione, con la scolarizzazione; se ci sono dei vestiti caldi si danno ai maschi e non alle femmine, perché si pensa che se muore una bambina ha meno importanza che se muore un maschio.

D. – E’ vero che in Afghanistan la violenza sessuale non è solo verso le donne ma anche verso i ragazzini maschi?

R. –Sì, è assolutamente vero. Questo avviene indistintamente per maschi e per femmine. Uno dei focus di Pangea è anche sui diritti dei minori e sul diritto all’infanzia. E’ un Paese dove l’infanzia è negata e dove il fenomeno dei bambini di strada è imperante. I bambini corrono rischi di ogni genere: dallo stupro alla possibilità di essere rapiti da trafficanti di esseri umani ed esportati come “pezzi di ricambio” per la compravendita di organi e anche per l’utilizzo a scopi sessuali in Occidente. (mg)

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