AFRICA – (14 Novembre)

In un secolo i cattolici sono passati da 2 a 140 milioni

ROMA, lunedì, 14 novembre 2011 (ZENIT.org).- Dal 18 al 20 novembre prossimi, papa Benedetto XVI farà il suo secondo viaggio in Africa e visiterà il Benin, dove firmerà e pubblicherà l’Esortazione Apostolica dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi del 2009.

L’Africa non è mai stata così importante come oggi per la Chiesa cattolica. Mentre il numero di cattolici praticanti è in declino nel mondo sviluppato, nel Continente nero il numero di cattolici sta esplodendo. I cattolici erano circa 2 milioni nel 1900, ora sono più di 140 milioni.

In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN), Mark Riedemann ha intervistato per “Where God Weeps” padre Gérard Chabanon, dei Missionari d’Africa (M.Afr.).

Padre Chabanon è stato missionario in Tanzania fino al 1996. Dal 2004 al 2010, è stato il superiore generale dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi) e vice rettore del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (PISAI) di Roma.

Padre, lei è stato missionario in Tanzania per oltre 20 anni. Che cosa l’ha spinto ad una scelta così coraggiosa?

Ciò che mi ha attratto alla vita missionaria è stata, in primo luogo, la chiamata di Dio ad essere sacerdote. Avevo 11 o 12 anni, quando ho sentito questa chiamata dentro di me. Poi ho incontrato, per caso, perché vivevano nel mio villaggio, i padri gesuiti, che avevano il loro proprio Seminario Teologico, e poi dopo i Missionari d’Africa, i Padri Bianchi. Questo mi ha aiutato a concentrarmi sull’Africa e su una vita da missionario.

Di quali gruppi confessionali stiamo parlando in Africa e quale gruppo Lei identificherebbe come quello maggioritario in Africa?

Ebbene, i cristiani sono sicuramente il più grande gruppo nella maggior parte dei Paesi in Africa, ad eccezione, ovviamente, della parte settentrionale, che è musulmana al 100%. L’islam è il secondo gruppo più grande. Loro sono presenti nella maggior parte dei Paesi da est ad ovest e nell’Africa meridionale. Poi c’è anche la religione tradizionale africana, alla quale non abbiamo prestato abbastanza attenzione. Questa religione tradizionale è molto importante e in qualche modo sta guadagnando adesione e sta avendo un impatto sulla vita quotidiana di molti africani, sia che siano cristiani e musulmani o non appartenenti ad alcuna religione stabilita.

Se ho capito bene, questo significa questo che alcuni africani hanno due identità: una cristiana, mentre mantengono alcune delle loro pratiche religiose tradizionali?

Un po è così, ma non è un questione banale e semplicista. E’ vero che la religione tradizionale africana è parte integrante della cultura africana.

Il cattolicesimo in Africa sta vivendo una crescita esplosiva, qualcosa come il 6-7% all’anno. Come mai?

Ci sono diversi fattori, che sono stati molto importanti per lo sviluppo del cattolicesimo. Il primo è l’istruzione. I primi missionari hanno costruito quasi da subito scuole ed insegnato la fede cattolica attraverso le scuole. C’era anche l’impegno per lo sviluppo sociale: l’assistenza sanitaria, l’istruzione, lo sviluppo dell’agricoltura ed altri progetti. Gli africani hanno visto che non era solo una conquista coloniale. Nella maggior parte dei Paesi africani, i missionari avevano in mente, soprattutto, il benessere della popolazione locale. La gente se ne è resa conto.

Entro il 2050, tre nazioni africane saranno tra i primi 10 più grandi Paesi cattolici del mondo: Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Nigeria. La Chiesa cattolica ha prestato abbastanza attenzione alla crescita potenziale dell’Africa?

L’Africa è molto grata a Papa Giovanni Paolo II e i suoi numerosi viaggi fatti nel continente.
Il Pontefice à venuto. Ha visitato. Si è intrattenuto con la gente. Ha parlato con loro. Ha cercato di parlare con loro nella loro lingua. E’ stato molto apprezzato per questo e penso che abbia fornito un’immagine molto buona agli africani..

In che modo l’Europa guarda agli immigrati africani?

Direi che c’è un problema per come l’Europa guarda agli immigrati africani. Gli immigrati vengono accusati di provocare scontri, incomprensioni e alcuni partiti politici esprimono giudizi severi e intolleranti. Questo dà una falsa immagine di quello che veramente accade. Poi c’è il problema della comunicazione. La maggior parte dei media parla dell’Africa solo quando c’è un problema: AIDS, violenza etnica, conflitti religiosi, povertà e così via e questo dà un’immagine molto distorta dell’Africa. Per questo motivi noi come missionari abbiamo la responsabilità di dare un’immagine positiva dell’Africa, di ciò che sta succedendo e della solidarietà che c’è, il forte desiderio degli africani di resistere a tutti questi mali e alla violenza.

Uno ogni tre africani si considera musulmano. Come la Chiesa cattolica risponde alle sfide poste dall’Islam?

Questa è una grande sfida. L’Islam è sicuramente in crescita, non tanto quanto alcuni media sostengono, ma è in crescita. Paesi come l’Arabia Saudita o gli Emirati promuovono lo sviluppo e finanziano progetti basati sulla religione. Dal nostro punto di vista come missionari – e missionari nati in Algeria, che è un paese musulmano -, il dialogo è una chiave molto importante che va sviluppato per aiutare musulmani e cristiani a coesistere pacificamente. Ho visto, ad esempio, a Dar Es Salaam, in Tanzania, famiglie di tre o quattro persone, di cui uno o due sono musulmani e gli altri cristiani, che vivono insieme nella stessa casa. Condividono la stessa cucina, lo stesso bagno, questo è qualcosa che va sviluppato: una coesistenza pacifica.

Il dialogo di vita in comune?

C’è il “dialogo di vita”, che è importante ma ci dovrebbe essere anche il dialogo religioso. In Africa i conflitti, come in molte parti del mondo, hanno spesso una dimensione religiosa e talvolta sono alimentati da sentimenti religiosi. Quindi, cristiani e musulmani devono essere in grado di dialogare e intendersi meglio. Naturalmente subiscono la violenza, il terrorismo, ma questi atti sono perpetrati da piccoli gruppi di musulmani e anche di cristiani. Sono stato in Nigeria non molto tempo fa e ho incontrato i vescovi e la gente che ha detto: ‘Può darsi che abbiamo tutti questi problemi, ma siamo ancora in grado di sederci, di dialogare e di affrontare insieme alcuni di questi problemi’.

Negli ultimi decenni abbiamo visto, conflitti tra cristiani e musulmani. Si tratta di una tendenza al rialzo?

Non credo che in Africa la tendenza sia questa. In primo luogo, c’è questo contesto di ‘africanità’, nel quale c’è un senso molto forte di tolleranza di accettare gli altri che sono differenti. Questo fa parte della vita africana il che significa che gli africani sono capaci di vivere con gente che è diversa. Credo che i conflitti vengano alimentati soprattutto da questioni di potere.

Il cardinale Policarpo Pengo della Tanzania ha menzionato la parola ‘esodo’, dicendo che c’era quasi un esodo di giovani cattolici verso le Chiese pentecostali. Lei crede che sia un problema?

Questo è un problema reale e sicuramente difficile, perché i pentecostali si definiscono chiese cristiane ed è vero che in molti paesi possiamo vedere un certo numero di persone che si sposta verso queste chiese. Che cosa la Chiesa cattolica non sta facendo e che attira quei cattolici verso le chiese pentecostali? Penso che ci sia la questione della povertà. Le chiese pentecostali attirano altri cristiani, dando loro la speranza di diventare ricchi, di essere guariti, di trovare un lavoro e che la loro attività agricola andrà bene.

È il Vangelo della Prosperità?

Il Vangelo della prosperità, dei miracoli e che si avvereranno presto. Quando si è poveri, quando si è malati, quando non si hanno i soldi per andare al dispensario o all’ospedale per comprare le medicine, allora perché no? Un altro motivo di attrazione è il modo in cui sono organizzati i pentecostali: piccole comunità, molto spesso guidate da un leader molto carismatico, qualcuno che sa parlare molto bene. Ecco la questione della cultura: uno che parla la lingua molto bene, che ha imparato la Bibbia, che riesce a citare la Bibbia, questo tocca il cuore ed i problemi della gente.

… E la parola di Dio è molto rispettata in Africa.

Certo, ma in questo caso è purtroppo molto spesso manipolata. I pentecostali arrivano nelle comunità, in maniera molto calorosa, fraternamente, cantando in lingua, ballando con i costumi locali. Si tratta di inculturazione, con la quale la Chiesa cattolica sta ancora lottando, I pentecostali l’hanno fatta e questo li rende attrattivi ai cattolici. Mi ricordo che a Nairobi dopo l’incontro con il segretario generale di All Protestant Churches abbiamo parlato di questo problema, lui mi ha detto che non dobbiamo preoccuparci tanto perché la gente tende a fare ‘window shopping’ (spesa alla finestra) per le religioni, e i pentecostali non hanno una struttura. Basano tutto su una persona e quando c’è un conflitto si dividono. Così, – ha detto -, vedo la gente spesso tornare alle chiese principali.

Devo dire che pure il dialogo è difficile perchè non esiste una struttura. Non c’è nessuna teologia organizzata.

Come è cambiato il vostro lavoro missionario nel corso degli anni in Africa?

Se si pensa ai primi inizi, il contesto è cambiato velocemente. Direi che dal 1868 fino alla fine del XIX secolo e fino ad oggi, abbiamo subito una transizione dal periodo coloniale alla globalizzazione in un lasso di tempo molto breve. I cambiamenti sono drammatici, specialmente tra i giovani africani. Noi missionari dobbiamo adattarci a questa situazione in continua evoluzione. La globalizzazione oggi porta un sacco di opportunità, ma allo stesso tempo ha portato in Africa alcuni effetti negativi. In qualche modo gli aspetti peggiori della nostra civiltà e della cultura occidentale sono stati trasferiti in Africa, senza spiegazioni o background storico. E’ semplicemente stato imposto, soprattutto attraverso i media.

E’ vero che i Padri Bianchi sono in crescita e si hanno molte vocazioni in Africa?

L’80-85% dei nostri candidati al sacerdozio proviene dall’Africa. Ora abbiamo più o meno 200 fratelli africani. La maggior parte delle nostre case di formazione si trovano in Africa. Sento che questo è uno sviluppo molto importante per la nostra congregazione, che fin dall’inizio era prevalentemente europea e canadese. Vediamo che giovani africani stanno occupando lentamente gli incarichi di maggiore responsabilità. Questo avviene grazie alla formazione autentica che la Chiesa cattolica offre ai giovani.

I seminari sono pieni e sento molti vescovi che chiedono “formatori”, cioè persone in grado di accompagnare lo sviluppo spirituale dei giovani seminaristi.

Visto il calo delle vocazioni in Europa occidentale e negli Stati Uniti, ci sarà un momento in cui sacerdoti africani saranno missionari in Occidente?

Beh, un gran numero di sacerdoti africani e religiosi sono già in Europa, ma non penso che i sacerdoti o religiosi africani siano la risposta ai problemi dell’Europa o dell’America, anche se penso che sia molto importante avere questa collaborazione e una condivisione di esperienze.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un settimanale televisivo e radiofonico prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN).


Il testo completo si trova su:

 
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