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CHARLES DE FOUCAULD – (18 Ottobre 2020)

Testimoni. La carezza di Charles de Foucauld Ecco perché è il «fratello universale»


Riccardo Maccioni domenica 18 ottobre 2020
Nell’ultima Enciclica il Papa lo definisce modello di fraternità Fratel Paolo Maria Barducci priore generale dei “Piccoli fratelli di Jesus Caritas”: a muoverlo era l’amore per Gesù
Charles de Foucauld

Charles de Foucauld – /

 

Ci sono persone che sembrano avere il Vangelo cucito addosso, come una seconda pelle. Uomini e donne per cui vivere la fede è naturale allo stesso modo che respirare. Testimoni così autentici da far pensare che nella sua predicazione Gesù abbia pensato proprio a loro. Charles de Foucauld ad esempio è la sintesi perfetta della celebre immagine del Vangelo di Giovanni: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». In apparenza la sua vita è stata un fallimento: nessuna conversione al cristianesimo, una morte violenta, vittima di un gruppo di predoni nel deserto dove aveva scelto di abitare con il popolo Tuareg. Eppure proprio quello svuotamento, quel dimenticarsi di sé era la meta da raggiungere. «Dio – scriveva – costruisce sul nulla. È con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata». Una riflessione talmente vera che l’apparente “niente” ottenuto in vita ha lasciato il posto a una grande fioritura spirituale. Oggi infatti sono molti i gruppi, le famiglie religiose che si ispirano a Charles de Foucauld, monaco che il Papa, nell’enciclica “Fratelli tutti”, propone come modello. «Voleva essere in definitiva, “il fratello universale” – scrive Francesco – ».

Una profezia, un progetto, una vocazione perseguiti identificandosi con gli ultimi. «Cercava di costruire una fraternità che riguardasse tutti gli uomini – spiega fratel Paolo Maria Barducci priore generale dei “Piccoli fratelli di Jesus Caritas” –. Lo vediamo soprattutto quando va a Beni Abbés (unico prete in un raggio di 400 chilometri di deserto ndr) e parla esplicitamente della fraternità come della sua casa, come il luogo in cui tutti: i cristiani, musulmani, gli ebrei, ma anche quelli chiama idolatri, si possano sentire accolti. Un concetto di fraternità che troverà il suo compimento quando andrà nell’Hoggar a condividere la vita con i Tuareg

La tomba di Charles de Foucauld a El Meniaa, in Algeria

La tomba di Charles de Foucauld a El Meniaa, in Algeria – /

Umanamente si può dire che la sua vita sia stata un fallimento…
È un po’ come l’esperienza di Gesù: se il seme caduto in terra non muore non porta frutto. E il frutto per Charles de Foucald è stata la famiglia spirituale nata dopo la sua morte a seguito della pubblicazione della biografia di René Bazin nel 1921.

La vostra fraternità in che modo si ispira a Charles de Foucauld?
I pilastri sono la preghiera, la vita fraterna, la condivisione. Come “Piccoli fratelli di Jesus Caritas” abbiamo poi come specifico il servizio alla Chiesa locale, in cui siamo inseriti pienamente.

Dell’Enciclica che cosa maggiormente le sembra attuale e cosa più profetico?
Mi sembra molto attuale l’invito alla fraternità che all’inizio parte da san Francesco d’Assisi e in chiusura indica Charles de Foucauld. Figure significative di una Chiesa che si apre e ha il respiro del Regno. Un’indicazione attuale e profetica al tempo stesso, anche perché il Papa si rivolge non solo ai cattolici, ma a tutti coloro che vogliono percorrere un cammino di comunione e di fraternità universale.

Non a caso tra i modelli proposti come artigiani della pace ci sono anche Martin Luther King, il Mahatma Gandhi e Desmond Tutu che non erano cattolici. Gandhi non era neppure cristiano.
Questo però non vuol dire rinunciare alla propria identità. Nel caso di Charles de Foucauld il Papa lo esprime molto bene quando parla del suo percorso, che parte dall’innamoramento per la persona di Gesù. La sua spiritualità è fortemente cristocentrica e ha nell’Eucaristia, per usare un’espressione del Concilio, la sua fonte e il suo culmine. L’Eucaristia è Cristo stesso, la sua presenza vivente che poi diventa non più solo sacramento dell’altare ma sacramento degli uomini, dei poveri. Qui non si tratta di una visione ideologica o filantropica, ma dell’amore per Gesù, che ci porta a camminare con tutti. Del resto segni dello spirito, segni del Vangelo sono presenti in ogni uomo, in coloro che sanno prendere atto della propria coscienza, oppure che sanno vivere la fede come luogo in cui si esprime il regno. Ci sono state guerre di religione no? Ebbene san Francesco è stato l’uomo che ha messo, direbbe papa Giovanni, gli occhi negli occhi del sultano, il cuore nel suo cuore tanto che senza conoscere le rispettive lingue si sono parlati. Questa è la fraternità.

Ma esiste una scuola, una possibile educazione alla fraternità?
Sicuramente. Innanzitutto, l’uscire da se stessi. In questo senso forse il Covid ci ha permesso di capire che non possiamo essere egocentrici, che non ci salviamo da soli. La strada è andare incontro all’altro, costruire insieme un cammino comune. Un’educazione che inizia da bambini, che deve partire dallo sguardo per poi poter toccare il cuore. Pensiamo alle file in banca o alla posta, quando ci si guarda con l’occhio sospettoso temendo che qualcuno ci passi davanti. Sono forme che non aiutano la fraternità. Bisogna educarsi a partire dalle piccole cose per arrivare poi a quelle più importanti. Purtroppo la società in cui viviamo non aiuta molto. Ci si parla attraverso lo schermo del telefonino o del tablet ma non si riesce a sollevare gli occhi per guardare l’altro.

La cultura dell’incontro è un’altra cosa. Bisogna vedersi, toccarsi.
Questa è un’altra lezione che ci dà il Covid. Abbiamo bisogno di comunicare, di incontrarci, di condividere, di toccarci. Penso che le strette di mano, gli abbracci siano mancati a tutti. Soprattutto abbiamo bisogno della carezza, di cui sembra non abbiamo più tempo. E questo vuol dire non vivere la dimensione della gratuità della vita, la possibilità del dono. Charles de Foucauld invece ha testimoniato questa capacità di entrare in empatia con le persone: non ha accolto, si è fatto accogliere.

Se lei dovesse dire che cosa l’ha maggiormente affascinato della figura di Charles de Foucald, che magari ha ispirato la sua scelta di vita?
L’amore per Gesù. È anche la mia idea fissa. L’unico che può trasformarmi è Lui. Questo il grande insegnamento che mi ha trasmesso Charles de Foucauld. Un’esperienza che non significa tanto parlare della preghiera ma viverla, che vuol dire un rapporto di confidenza, di fiducia, di abbandono, il farsi portare da Lui. Charles de Foucauld ha danzato la vita con Dio, si è fatto guidare su strade che forse non avrebbe mai immaginato di percorrere, si è lasciato condurre dallo Spirito. Non ha elaborato una spiritualità, ha dato un messaggio spirituale attraverso la sua vita.

Oltre alla figura di Charles de Foucauld per recepire i punti cardine di “Fratelli tutti” da cosa bisogna partire?
Penso dall’essere disarmati, dalla capacità di sapersi mettere in discussione, di mettersi in gioco, di vivere la gioia della conversione. Vale per tutti. E allora la mano si può aprire, le labbra si possono schiudere al sorriso. Occorre credere che ci può essere un modo diverso di vivere, una maniera che purtroppo non è quella che sperimentiamo oggi. Bisogna andare controcorrente, si deve averne il coraggio.

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