#DEFINIAMOLOGENOCIDIO/ACS/ITALIA/ – ( 9 Giugno 2016 )

L’Italia dichiari che i crimini dell’Isis sono genocidio L’appello di Aiuto alla Chiesa che Soffre


di Stefano Magni


09-06-2016

 

Documenti personali trovati in una fossa comune dell'Isis

 

VIDEO:  https://youtu.be/NqN8OxFA_RI

L’iniziativa #DefiniamoloGenocidio non è solo una questione confessionale: è una battaglia in difesa della libertà di religione. Non è solo una questione terminologica: chiamare le cose con il loro nome, definire genocidio quel che sta accadendo nei territori sottoposti al controllo dell’Isis, è prima di tutto un atto di giustizia e un’iniziativa politica responsabilizzante. “Non è sufficiente, perché non basta una presa di posizione del nostro paese a cambiare la sorte delle vittime – spiega alla Nuova Bussola Quotidiana il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, da poco rientrato dall’Iraq – Tuttavia il senso del nostro appello di stamane (ieri, per chi legge, ndr) è un invito a procedere nella giusta direzione. L’Italia non sarebbe la prima. Già paesi quali gli Usa e la Gran Bretagna chiamano il crimine dell’Isis con il suo nome. Pochi mesi fa, a febbraio, anche il Parlamento Europeo si è espresso in tal senso. Tutte e tre le risoluzioni sono state approvate quasi all’unanimità dai rispettivi parlamenti e impegnano i loro governi a riconoscere il genocidio. Negli Usa, all’indomani della decisione assunta dalla Camera dei Rappresentanti, il segretario di Stato John Kerry ha preso una forte posizione contro il genocidio. L’Italia può essere portabandiera di questa causa nella nostra parte del mondo, nell’Europa mediterranea. Detto questo, dovrà poi essere l’Onu a deliberare in tal senso, ma una forte richiesta dai governi nazionali può aiutare”.

L’Italia è un paese che “quando deve far approvare una legge che, magari, non incontra il pieno consenso dell’opinione pubblica – prosegue Monteduro – è abituato a pensare che ‘siamo rimasti solo noi (e solitamente anche la Grecia)’ a non avere quella determinata legge. Da questo punto di vista, siamo molto esterofili. Se non ci piace mai essere ultimi, se non ci piace essere isolati, magari anche questa è un’occasione per non rimanere indietro: visto che il parlamento europeo e le due più grandi democrazie occidentali hanno riconosciuto il genocidio in corso, proprio su questo vogliamo rimanere ultimi?”

Genocidio è una parola importante e impegnativa, poiché comporta anche conseguenze legali e conferisce alle istituzioni internazionali un maggior diritto di intervento umanitario. Il genocidio è, secondo la definizione originaria che gli diede Raphael Lemkin nel 1944, è l’eliminazione fisica di un gruppo (totale o parziale), identificato in base alla sua etnia, religione, nazionalità in quanto tale. Dunque senza ulteriori accuse, si viene uccisi perché cristiani, o perché yezidi, o musulmani sciiti. Il genocidio non riguarda solo le uccisioni, ma anche le espulsioni. E’ genocidio la deportazione. E’ genocidio la fuga di massa provocata da un terrore indiscriminato. Non riguarda solo le persone, ma anche i beni culturali. Per sradicare il gruppo dal suo territorio, si eliminano le sue tracce: i suoi libri, monumenti, luoghi di culto, se ne occupano le abitazioni, si saccheggiano i suoi beni. E’ esattamente quel che sta avvenendo in Iraq e Siria, nei territori occupati dall’Isis.

“Siamo addirittura costretti a rallegrarci che almeno ci siano alcune azioni declaratorie, come queste risoluzioni che riconoscono la natura genocida del crimine dell’Isis – prosegue Alessandro Monteduro – Se facciamo il confronto con quello che era lo stato dell’arte nel 2014 e nel 2015, dobbiamo salutare come notizia positiva questa presa di coscienza. Andrebbe esteso il discorso ad una carenza di sensibilità, nell’opinione pubblica, riguardo questa tragedia immensa, che riguarda centinaia di migliaia di persone. Una buona parte di essi è composta da cristiani, nostri fratelli nella fede, ma non solo cristiani. A Erbil (Kurdistan iracheno, ndr), ad aprile, ho visto condizioni ancora drammatiche di una popolazione costretta a vivere ancora in container di 15 o 20 metri quadri dove sono stipate fino a sette persone, oppure in case prese in affitto: poco iù di 150 metri quadri per ospitare fino a quattro nuclei familiari, dunque 20 o 25 persone. Questo aiuto di base avviene grazie alla generosità di associazioni di carità. A parte qualche modestissima presenza dell’Unhcr, non ho visto la presenza di un solo governo occidentale. Quindi, il problema è alla radice: dove sono i governi nel dare un aiuto materiale a chi fugge dal genocidio? Si tratterebbe di aiuti a persone che, fino a due anni fa, vivevano tranquillamente nelle loro case. I cristiani di Mosul erano una parte di popolazione fra le più agiate, con condizioni di vita di buona qualità. Non si tratta di quei profughi che vogliono andare in Europa, è tutta gente che vuole tornare a casa appena possibile. Ma noi, per permetterglielo, non stiamo facendo assolutamente niente. Paradossalmente stiamo provocando un danno a loro e a noi”.

Se Aiuto alla Chiesa che soffre paragona il silenzio di oggi al dolore postumo per Srebrenica nel 1995, dove le vittime del massacro erano musulmane, va ricordato che pochi mesi dopo Srebrenica vi fu un intervento militare internazionale risolutivo che posse fine alla guerra e alla pulizia etnica. Oggi non assistiamo a nulla di paragonabile. Che cosa è cambiato da allora ad oggi? “Il mondo è cambiato, sono cambiati gli attori internazionali. Per essere espliciti, non credo ci siano le stesse leadership che calcavano la scena politica negli anni 90 – risponde Monteduro – Carenza di leadership vuol dire anche assenza di capacità di assumersi responsabilità. Questo è un aspetto del quale non possiamo non tener conto. Ma un altro aspetto è dato dalla lontananza fisica. La tragedia dei Balcani avveniva a pochi chilometri dai nostri confini, quella in Iraq e Siria è molto più lontana. Noi siamo sensibili a quanto accade vicino a noi. I media hanno dedicato ore e pagine, giustamente, agli attentati di Parigi e Bruxelles, ma l’attenzione per il massacro di Pasqua a Lahore, per esempio, è durata appena un giorno. Questi ultimi massacri, lontani, più difficilmente vengono considerati come attacchi contro l’umanità. Possiamo dire, poi, che difendere la comunità cristiana non rientra nel linguaggio politically correct? Sarebbe un errore gravissimo, perché, ribadisco, non solo i cristiani sono vittime del genocidio in Siria e Iraq, ma anche gli yezidi e i musulmani sciiti. Le diciannove donne bruciate vive in gabbie di ferro, a Mosul, l’ultimo atto di barbarie commesso dall’Isis in ordine di tempo, erano yezide e sono state condannate al rogo perché rifiutavano di diventare schiave sessuali. I numeri che abbiamo alla mano parlano chiaro: 3700 donne e bambini yezidi sono ancora prigionieri del Califfato. A febbraio 2016, a liberarsi dalla schiavitù sono stati poco meno di 2300. Quando è stata liberata Sinjar, solo nel territorio circostante sono state trovate 24 fosse comuni, 1600 vittime contate. Venivano uccisi perché bollati dai boia dell’Isis come ‘adoratori del diavolo’. Non facciamo troppa confusione, perché non conviene a nessuno. Non è adeguato neppure definire quel che avviene in Iraq come una persecuzione solo anti-cristiana: in quelle terre si sta compiendo un’azione pianificata per distruggere specifici gruppi religiosi. Ecco perché parliamo di genocidio”.

Il testo originale e completo si trova su:

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-litalia-dichiari-che-i-crimini-dellisis-sono-genocidiolappello-di-aiuto-alla-chiesa-che-soffre-16427.htm

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