Paese diviso. LEgitto – spiega al Sir il portavoce dei vescovi cattolici egiziani, padre Rafiq Greiche – è un Paese profondamente diviso, specie dopo la condanna a morte di 21 imputati nel processo per il massacro dello stadio, la strage di ultras Al-Ahly considerati martiri della rivoluzione contro la dittatura di Hosni Mubarak. Le proteste contro il verdetto sono coincise con il secondo anniversario della rivoluzione e si sono subito trasformate in manifestazioni contro il presidente Morsi e contro il suo regime islamista. Si tratta di proteste contro la religione nella sua forma fondamentalista e contro la mancanza di libertà. Ma adesso, aggiunge il portavoce, sta salendo la paura tra i giovani manifestanti specie dopo la decisione del Consiglio consultivo, la Camera alta del Parlamento, di estendere i poteri dellEsercito, incluso quello di arrestare i civili in caso di problemi di ordine pubblico. Anche liniziativa politica non sembra andare nella giusta direzione, quella di trovare uno sbocco alla crisi. Linvito di Morsi allopposizione è stato rispedito al mittente dal suo leader, El Baradei. Perché? Perché si tratta di un dialogo privo di agenda, fatto a uso delle telecamere – è la risposta convinta di padre Greiche -, non è stato fatto nulla per riportare la calma, necessaria a impostare un dialogo fruttuoso.
Costituzione da rivedere. Sullo sfondo resta linsoddisfazione per lapprovazione di una Costituzione che non garantisce i non musulmani e i liberali. Il dialogo non può prescindere dal ridiscutere i termini della nuova Carta, afferma il portavoce, per il quale i giovani che manifestano sono più avanti nella lotta politica dellopposizione. Mi sento di dire che a guidare lopposizione sono i giovani che hanno ripreso la guida della rivoluzione, come due anni fa. Essi rappresentano ancora la grande chance per lEgitto. Ma intanto il Paese ha necessità di uscire subito da questa grave crisi politica. La strada da seguire, per padre Greiche, è questa: Il presidente Morsi si stacchi dai Fratelli Musulmani, diventando di fatto, il presidente di tutto il popolo e la presidenza, intesa come istituzione, si liberi dallinfluenza dei partiti, in questo caso dei Fratelli Musulmani; altri punti sono il riportare la calma nella popolazione, creare un nuovo Comitato per rivedere la Costituzione e aprire il Governo ad altre istanze politiche, che non siano solo quelle islamiste, così da condurre il Paese fuori dal guado di una crisi che mina anche la ripresa economica. Le Chiese in Egitto, a riguardo, sono pronte a fare la loro parte favorendo contatti e relazioni avendo come obiettivo il dialogo e la pace. Ma perché ciò avvenga è necessario che la comunità internazionale faccia pressioni politiche e diplomatiche sul governo Morsi a difesa dei diritti umani delle minoranze e della popolazione intera. La rivoluzione non è morta, si era fermata, ma adesso ha ripreso vigore.
La sfida reale. Secondo Youssef Sidhom, direttore di Watani, settimanale di riferimento della comunità copto-ortodossa egiziana, circa 250mila lettori, fondato nei primi anni Cinquanta, lEgitto sta attraversando una crisi dinstabilità. Quindi anche per la comunità copta ora la sfida prioritaria è salvare lEgitto dalla deriva verso uno Stato islamico. La situazione è complessa e i copti sono impegnati, con i musulmani moderati, a lottare contro il tentativo di trasformare lEgitto in uno Stato islamico. Serve, dunque, farsi trovare pronti alle prossime elezioni parlamentari, dice alla Fondazione Oasis che riporta le sue dichiarazioni nel numero di gennaio della newsletter: La sfida reale è quella di cercare di costruire una forte opposizione arrivando a controllare il 40-45% dei seggi in Parlamento. Questa è la chiave di volta: costruire una forte opposizione, creando una coalizione tra tutte le fazioni dei partiti liberali, cristiani e musulmani, e così contenere il tentativo di tradurre in leggi quegli articoli inappropriati della Costituzione che puntano alla costruzione di uno Stato islamico.