FRANCIA – ( 20 Settembre )

VIGNETTE SU MAOMETTO
A che serve umiliare?
Dibattito in Francia sul diritto alla libertà di stampa
 

Dibattito incandescente in Francia oggi sul diritto alla libertà di stampa e di espressione dopo la pubblicazione sul settimanale satirico Charlie Hebdo di vignette su Maometto. Di fronte al clima di tensione crescente il vescovo Michel Dubost, presidente del Consiglio per le relazioni interreligiose dei vescovi francesi, e Mohammed Moussaoui, presidente del Consiglio francese del Culto musulmano, hanno rilanciato un appello congiunto perché la Nazione non dimentichi che “la libertà si mette in pericolo se dimentica il principio della fraternità e il rispetto dell’uguale dignità”. E sulle pagine del quotidiano cattolico “La Croix”, Dominique Quinio scrive: “La responsabilità editoriale consiste nella misurazione delle conseguenze di ciò che si pubblica”. Soffiare sulla brace rischia di “ferire dei semplici credenti e di rovinare gli sforzi di coloro che cercano di far vivere nel nostro Paese un Islam rispettoso delle leggi della Repubblica”. Sulla questione Maria Chiara Biagioni, per Sir Europa, ha intervistato padre Christophe Roucou, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l’Islam (Sri) della Conferenza episcopale francese.

Ha visto le vignette di Charlie Hebdo?
“Ho visto le vignette e non le ritengo neanche troppo intelligenti. Sono state disegnate con lo scopo di attaccare la sensibilità e la fede di gente semplice. I giornalisti di Charlie Hebdo non si sono resi conto delle mentalità differenti: lo spirito critico e satirico ha un’antica tradizione storica in Francia che non si può certo fermare. Ma mi chiedo: a che serve ferire volontariamente delle persone? C’è una sensibilità ferita dei musulmani. La libertà di espressione ha e deve avere dei limiti e non solo in Francia. E il limite è quello di non ferire le convinzioni più profonde degli altri, in questo caso particolare la sensibilità dei musulmani. Ciò che non comprende il giornalismo di Charlie Hebdo è che non si parla di integralisti e di fondamentalisti. Non sono loro ad essersi sentiti colpiti ma la maggioranza dei musulmani perché sono stati toccati nella fede, è stata colpita la figura di Mohammed”.

Come è il clima oggi?
“In Francia per il momento non è successo niente. Una maggioranza dei francesi e dei musulmani francesi non si ritrovano assolutamente nelle reazioni di violenza che sono esplose nei Paesi musulmani. Ma la questione vera delle vignette è: a che serve umiliare delle persone, colpire nel profondo una fede, semplicemente per il piacere di prendere in giro una popolazione? E quando le persone sono ferite e umiliate, si rischiano delle reazioni pericolose. Anche i responsabili musulmani in Francia hanno paura. Quando allora si parla di libertà di espressione, bisogna dire che non è assoluta, che non ha il diritto di negare la Shoah, di richiamare all’odio, di colpire le convinzioni profonde delle persone”.

Come si compone la comunità musulmana in Francia?
“Quella musulmana è la seconda comunità religiosa in Francia. Si stima una presenza di 5 milioni di persone, di cui alcuni sono praticanti, altri no. Ci sono dei legami molto forti tra la Francia e i tre Paesi del Maghreb, Marocco, Algeria e Tunisia. Legami che si sono mantenuti soprattutto attraverso le famiglie. Di questi 5 milioni di musulmani che vivono in Francia, la maggioranza ha nazionalità francese. È una comunità musulmana composta in maggioranza di persone di ceto popolare anche se oggi c’è una generazione di giovani che hanno fatto studi in Francia e sono divenuti avvocati, medici, giornalisti, imprenditori. Ma la maggioranza vive nei quartieri popolari. Forte, inoltre, è l’influenza oggi di Internet e dei nuovi canali televisivi satellitari che arrivano dai Paesi del medio Oriente e il ruolo che in questo settore gioca il Qatar con il canale Al Jezeera. Molte famiglie guardano questo canale che esercita una grande influenza sulle mentalità, sostenendo la fierezza musulmana. A fronte di questa situazione esistono pochi imam e quadri musulmani capaci di essere interlocutori dei giovani. Una maggioranza di imam viene ancora dal Marocco, dall’Algeria”.

Da dove passa oggi l’integrazione?
“Il grande problema è il lavoro: nei quartieri popolari, quando le persone lavorano, non sono attratte dalla droga e dalla delinquenza. Dunque soprattutto in tempi di crisi economica, l’integrazione passa anche attraverso una politica per la città con riforme che sappiano rompere i grandi agglomerati urbani e rendere più umani gli ambienti. Passa attraverso serie ed efficaci politiche per il lavoro. Passa attraverso progetti che sappiano educare le mentalità e passa attraverso la formazione degli imam preposti poi a guidare le comunità musulmane. È una strada complessa, lunga, ma necessaria”.

 
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