INDIA – (26 Settembre)

INDIA: SEGNALI IN CHIAROSCURO PER I CRISTIANI

Fermo il disegno di legge per prevenire la violenza contro le minoranze

di Paul De Maeyer

ROMA, lunedì, 26 settembre 2011 (ZENIT.org).- Secondo quanto riferito dall’agenzia Fides (23 settembre), il National Advisory Council (NCA) dell’India – l’organismo guidato da Sonia Gandhi, leader del Partito del Congresso e della United Progressive Alliance (UPA, la coalizione di centro-sinistra attualmente al governo) – ha pubblicato una nuova bozza di un progetto di legge che mira a prevenire la violenza settaria e tutelare i diritti delle numerose minoranze etniche e religiose nell’enorme Paese, offrendo ad esempio più poteri al governo federale per intervenire quando l’azione dei singoli Stati risulta insufficiente. I governi statali sono in passato stati accusati di inazione e di collusione con gli estremisti.

La normativa, intitolata “Prevention of Communal and Targeted Violence (Access to Justice and Reparations) Bill, 2011” ma comunemente nota come la “Communal Violence Bill”, è stata definita una “urgenza” da vari rappresentanti delle minoranze, fra cui padre Babu Joseph Karakombil. Come ha spiegato a Fides il portavoce della Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’India (CBCI), l’obiettivo della proposta, che prevede anche meccanismi per assistere e risarcire le vittime, è “creare una cornice legislativa certa, per prevenire, controllare e bloccare la violenza settaria che tanta sofferenza ha causata alla nazione negli ultimi anni” (21 settembre).

Definito da padre Babu un “utile strumento per costruire l’armonia e la pace sociale” nel Paese, a respingere invece il disegno di legge promosso dal governo federale non è solo l’opposizione guidata dal partito ultranazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), ma anche una delle formazioni della maggioranza, il Trinamool Congress. “Affermano che, per proteggere le minoranze, esso danneggerebbe la maggioranza”, ha detto a Fides l’arcivescovo di Nuova Delhi, monsignor Vincent Concessao. “Ma il fine della legge è solo prevenire la violenza, adottando misure adeguate e penalizzando fortemente coloro che innescano e portano avanti conflitti. Per questo continueremo a chiedere al governo di approvare la legge, facendo pressioni insieme con tutte le minoranze etniche e religiose”, ha detto il presule.

Secondo l’opposizione, la norma servirà invece solo ad approfondire la frattura tra minoranza e maggioranza in seno alla società indiana. Lo ha confermato sabato 24 settembre durante una conferenza tenuta ad Ahmedabad (nello Stato del Gujarat), Alok Kumar, avvocato di spicco presso la Corte Suprema indiana.

Come ha spiegato Kumar, che era stato invitato dal Bharatiya Vichar Manch (un gruppo vicino al BJP, che si autodefinisce sul proprio sito Internet “un movimento intellettuale”) a partecipare ad un seminario sul tema delle minoranze in India, non vi sarebbe alcun bisogno di tale legge, dato che l’India non ha visto nessuna violenza comunale negli ultimi nove anni. “Perché il governo improvvisamente sente il bisogno di avere tale legge, quando il Paese non ha visto alcun dissenso comunale per un lungo periodo? Perché la violenza comunale è diventata più importante del terrorismo?”, ha detto (Daily News and Analysis, 25 settembre). Secondo Kumar, il disegno di legge parte dal presupposto sbagliato che i governi e le autorità statali siano contro le minoranze.

Altrettanto netto è B. S. Raghavan. Sul sito Business Line (12 settembre), il saggista sostiene infatti che la nuova norma sia destinata a sconvolgere “il delicato equilibrio dei poteri tra governo centrale e i singoli Stati dell’Unione indiana”. Inoltre, così continua, la legge crea l’impressione errata che sia la maggioranza ad essere il principale responsabile della violenza comunale. Pessima è secondo l’autore anche la formulazione “nebulosa” del testo, perché lascia spazio ad interpretazioni parziali o soggettive.

Ritenuta una proposta “pericolosa” dalla leader dell’opposizione alla “Lok Sabha” (la Camera bassa del Parlamento indiano), Sushma Swaraj (Press trust of India, 10 settembre), l’opposizione nazionalista tende a dimenticare che gli indù stessi sono una minoranza in sette Stati dell’Unione (ad esempio nel Nagaland e nel Punjab), come ha ricordato John Dayal, attivista per i diritti umani e presidente della United Christian Action, che con altri due rappresentanti cristiani siede nel National Advisory Council. “La legge proteggerà anche loro”, ha ribadito (Fides, 30 maggio).

Che serva una legge come “deterrente per nuove violenze di massa contro le minoranze” – come aveva spiegato già nei mesi scorsi il portavoce dei vescovi indiani, padre Babu (7 giugno) -, lo confermano nuovi dati inoltrati dalla Conferenza episcopale dell’India all’agenzia Fides (23 settembre). Nel periodo 2005-2009 – così rivelano – si sono verificati in India almeno 4.030 casi di violenza contro le minoranze religiose. Questi attacchi si sono prodotti in 24 dei 35 Stati e Territori dell’Unione Indiana. Mentre gli Stati del nordest sono rimasti “immuni” – come ribadisce l’agenzia -, il numero delle aggressioni e degli attacchi è stato particolarmente elevato in tre Stati: Maharashtra (700 incidenti), Madhya Pradesh (666) e Uttar Pradesh (645). Con ben 943 casi, l’anno più buio è stato il 2008, cioè l’anno dei “pogrom” nell’Orissa e nel Karnataka. Impressionante è il numero delle vittime e dei feriti: rispettivamente 648 e 11.278.

E la violenza continua. Da un rapporto del Global Council of Indian Christians (GCIC) inviato all’agenzia Fides (21 settembre) emerge che nel 2011 si sono verificati almeno 55 gravi casi di violenza (non sono stati contemplati episodi riguardanti intimidazioni o interventi per disturbare assemblee domestiche), dei quali 35 nel Karnataka e 20 nell’Orissa. “Tutto ciò non solo disturba la pace e l’armonia nel Paese, ma danneggia anche l’immagine del Paese all’estero”, osserva il GCIC.

“In alcune aree dell’India, alcuni gruppi estremisti di matrice indù portano avanti una agenda fatta di odio e falsificazione della testimonianza dei cristiani”, ha commentato il vescovo di Vasai (nel Maharashtra), monsignor Feliz Machado, ex sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. “Nella storia della Chiesa ci sono sempre state forze che si oppongono alla fede”, ha aggiunto. “Avremo sempre la persecuzione. Quando si annuncia il Vangelo, molti accettano il messaggio di Cristo e si battezzano, allo stesso tempo altri lo rifiutano”.

Nonostante la continua violenza, dall’India giungono anche timidi segnali di speranza per i cristiani. Vale ricordare che due settimane fa le autorità del Kandhamal – il distretto nello Stato dell’Orissa che nel 2008 è stato l’epicentro dell’ondata di violenza anticristiana – hanno annunciato la revoca degli ordini di demolizione per cinque chiese, che secondo i detrattori sarebbero state costruite su suolo del demanio senza i necessari permessi. Secondo quanto riferito da Fides (12 settembre), il governo locale ha fatto retromarcia dopo un incontro con una delegazione di cristiani dell’Orissa, fra cui il missionario monfortano, fratel K.J. Markose.

“A Kandhamal la pace è ancora un miraggio”, ha raccontato il religioso a Fides. “I cristiani locali non hanno nemmeno avuto il coraggio di ricordare pubblicamente i martiri del 2008. La nostra gente è ancora nelle tende, vive in condizioni di estrema povertà e molti hanno paura di ritornare a visitare i loro villaggi natii. Ai cristiani viene impedito perfino di riparare o ricostruire le loro case. Né possiamo ricostruire le chiese che i radicali indù rasero al suolo nel 2008”.

Un passo positivo è anche una decisione della Corte Suprema di Nuova Delhi, resa pubblica il 31 agosto scorso. Il tribunale supremo dell’India ha chiesto ufficialmente alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani (NHRC) di realizzare entro sei mesi un nuovo rapporto “trasparente e imparziale” sulla situazione dei cristiani nell’Orissa, specialmente nel distretto di Kandhamal (Eglises d’Asie, 2 settembre). La corte, che si è dichiarata “insoddisfatta” delle informazioni fornite dalle autorità locali, aveva chiesto a metà agosto al governo statale di offrire delle spiegazioni sulla gestione della crisi, in particolare sugli sforzi per risarcire e riabilitare gli sfollati e le vittime della persecuzione.

“Accogliamo con favore l’ordinanza del tribunale in quanto potrebbe aiutare a ripristinare le cose come erano prima dell’inizio della violenza”, ha detto Bipra Charan Nayak, responsabile della Survivors Association of Kandhamal Violence (UCA News, 1 settembre). “Terremo un incontro dei sopravvissuti e presenteremo le nostre lamentele all’NHRC”, ha continuato Nayak. A rivolgersi con una petizione alla Suprema Corte è stato l’arcivescovo emerito di Cuttack-Bhubaneshwar, monsignor Raphael Cheenath.

“La nostra gente ha sperimentato l’incapacità dell’amministrazione nel proteggere chi è sotto la minaccia di distruzione. La paura e l’intimidazione continuano, e la giustizia è ancora una realtà distante”, aveva detto il presule lo scorso mese ad AsiaNews (18 agosto). “Fino a quando i cristiani del Kandhamal non verranno risarciti come meritano, fino a quando le chiese e gli altri edifici non saranno ricostruiti e i colpevoli puniti, non ci sarà giustizia”, aveva dichiarato con forza e determinazione.


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