ISLAM/EUROPA – ( 2 Maggio )

ISLAM IN EUROPA

Una fiducia critica

 
Questo l’atteggiamento suggerito ai cristiani da don Andrea Pacini, segretario della commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della conferenza episcopale regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Anche lui a Londra per l’incontro dal titolo “Dialogo e annuncio”, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee)
 
dalla nostra inviata Maria Chiara Biagioni

 
È possibile un dialogo con i musulmani “nel rispetto della libertà di ognuno, ma senza per questo nascondere la propria convinzione”? E quali sono le sfide che il multiculturalismo pone oggi alla Chiesa? A queste e ad altre domande cercano di rispondere in questi giorni, a Londra, un gruppo di vescovi e delegati delle Conferenze episcopali in Europa responsabili per i rapporti con i musulmani. “Dialogo e annuncio” è il tema dell’incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Le statistiche circa la presenza di persone di fede islamica sul nostro continente sono fluttuanti. Secondo il Rapporto di Amnesty International, al 2010 erano 44 milioni i musulmani che vivevano in Europa. Dato che però include anche i musulmani della Turchia. Le percentuali variano ovviamente da Paese a Paese: il Belgio segna un 6% di popolazione musulmana, la Francia il 7,5%, la Spagna, il 2,3% il Regno Unito il 4.6%. Ma l’attenzione a Londra è puntata soprattutto sui giovani musulmani, figli cioè nati e cresciuti in terra europea da genitori islamici, alle prese con “tensioni e/o convergenze tra fattore religioso e cittadinanza”. Ne parliamo con don Andrea Pacini, coordinatore per il Ccee di questa rete e segretario della commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della conferenza episcopale regionale Piemonte-Valle d’Aosta.

Come si sta evolvendo la presenza islamica in Europa?
“Ovviamente a seconda dei Paesi si può dire che è in corso già da oltre 10 anni un percorso di stabilizzazione ormai definitiva, con presenze quindi anche molto ampie di seconda e terza generazione, persone cioè nate e socializzate in Europa. In molti Paesi come la Francia e la Gran Bretagna ci sono ormai quote di musulmani con cittadinanza francese o britannica, in virtù proprio dell’antichità del loro insediamento. In altri Paesi come l’Italia, la Germania e la Spagna la componente straniera rimane importante e si mescola alla prima perché sono Paesi in cui continua l’immigrazione. Però in generale si registra una sorta di stabilizzazione della presenza”.

Ciclicamente si afferma che i musulmani conquisteranno l’Europa non più con la spada ma con la loro forza di espansione demografica. È così?
“Chi lo afferma, di fatto non conosce o non valorizza le ricerche demografiche esistenti riguardanti le componenti immigrate dalle quali si evince, in maniera piuttosto chiara, come già fin dalla prima generazione e ancor più nella seconda, gli immigrati musulmani o meno, acquisiscono lo stesso ritmo di natalità del Paese europeo, o con pochissima distinzione. Per cui la questione è che non è con la demografia che in Europa i musulmani prenderanno il sopravvento. Questa considerazione pertanto non fa parte di una reale diagnosi del fenomeno”.

Ci può delineare l’identikit di queste seconde e terze generazioni?
“Da un punto di vista dell’influenza del fattore religioso sulla loro identità, le ricerche ci dicono che si possono ricavare tre profili fondamentali: un profilo di giovani di origine musulmana che senza negare in maniera drastica la loro appartenenza di fede, di fatto però la vivono senza espressione pubblica. Vivono quindi in Europa, si ritengono cittadini europei e non utilizzano la dimensione religiosa come elemento rappresentativo della loro identità. Questi giovani sembrano essere la maggioranza. Un secondo profilo – chiamato dei ‘neo-ortodossi’ – è costituito da giovani di origine musulmana, che pur volendo vivere la propria cittadinanza europea, desiderano integrarla con un’appartenenza religiosa islamica che sia espressa sul piano pubblico. Qui si apre per loro la questione di come costruire un’identità capace di fare sintesi tra queste due dimensioni. E poi ci sono delle frange che costruiscono la propria identità in maniera antitetica all’Europa con espressioni e forme di islam fondamentaliste e radicali. È sicuramente un piccola minoranza, ma esiste”.

Seppure minoritarie queste frange mettono paura. Come rispondere alla paura?
“Alla paura si deve rispondere, intanto non negando l’effettiva esistenza di derive di questo tipo ma situandole nella loro giusta proporzione. Certamente la questione rimanda alla responsabilità dello Stato che deve garantire e far rispettare l’ordine pubblico. Nel mettersi in dialogo con l’islam e con i musulmani, la Chiesa cerca di trovare interlocutori che siano effettivamente disponibili a costruire un orizzonte di pace, attingendo alle risorse positive esistenti nelle diverse religioni. Il terrorismo è sempre da condannare e respingere”.

Che tipo allora di esperienze di dialogo hanno messo in atto le Chiese europee?
“La Chiesa propone ai musulmani due cose: da una parte accoglienza all’interno del contesto europeo in cui si trovano ora a vivere, stabilendo quindi rapporti cordiali, fraterni, perché le religioni insieme possano contribuire al bene della società. E dall’altra la Chiesa avanza all’Islam la proposta di prendere le distanze da ogni forma di violenza, da ogni forma di interpretazione che sia contraddittoria rispetto alla dignità umana, e quindi l’uguaglianza tra uomo e donna, la libertà di religione per tutti, come valore da accogliere ma anche da esportare nei Paesi musulmani. Così come anche la distinzione tra sfera politica e religiosa. Questi sono alcuni punti fondamentali che stanno a cuore alla Chiesa. Un dialogo che mira a far sì che le religioni possano insieme contribuire al bene, ma esige anche che si accolgano all’interno di ogni religione i diritti fondamentali dell’uomo”.

Quanto pesano su questi temi e sull’islam europeo le influenze dei Paesi di origine?
“L’islam in Europa è una realtà plurale per cui ci sono varie correnti e pensare che sia totalmente indipendente dalle dinamiche dell’Islam internazionale è pura utopia. Fino a qualche tempo fa, poi, si distingueva l’influenza degli Stati in quanto tali dalle influenze delle correnti più fondamentaliste. Con la primavera araba questi movimenti hanno di fatto preso il potere in molti Paesi del Nord Africa e quindi questa distinzione oggi tra movimento fondamentalista e governo dello Stato non si può più fare. Quale ripercussione la primavera araba avrà sull’Islam europeo è presto dirlo. Sono passaggi ancora in corso. Si può dire, però, che in Europa molto concretamente la maggioranza della popolazione musulmana ha sviluppato un’adesione allo stile di vita europeo. Dobbiamo cioè tenere conto che l’integrazione passa anche attraverso il lavoro, l’educazione, la scuola, la socializzazione”.

Concludendo don Pacini: la Chiesa in Europa quindi mantiene con l’islam europeo un approccio positivo, di fiducia?
“Certo di fiducia. E aggiungerei di fiducia critica. Di fiducia perché si ritiene che ci siano le possibilità per un dialogo insieme, però anche fiducia critica perché ci si rende anche conto che esiste una grande sfaccettatura di profili diversi rispetto ai quali occorre fare proposte ferme. Una fiducia quindi sanamente critica”.

 
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