ISRAELE – ( 29 Maggio )

ISRAELE
 
Haifa, capitale della convivenza
 
Situata nel nord del Paese, è una città-messaggio: qui i fedeli delle diverse fedi vi coabitano senza problemi e ne accompagnano la crescita, non solo economica ma anche sociale e morale. L’impegno della municipalità e delle religioni in questa zona dove, nonostante la vicinanza geografica del Libano e della Siria, la parola pace non fa paura
dall’inviato Sir, Daniele Rocchi

 
Nel giardino del monastero del monte Carmelo di Haifa, nel punto più alto del promontorio, sul mare che lo circonda da 3 lati, si trova l’immagine della Stella Maris che porta il Bambino seduto in grembo; la mano che lo sorregge, sorregge insieme una piccola palla su cui Gesù posa la sua mano benedicente: la palla rappresenta il mondo con tutte le sue aspirazioni ed attese. Su questo monte, come narra il primo Libro dei Re, il profeta Elia sconfisse i 450 profeti di Baal, è qui che dalla metà del XIX secolo, si trovano i principali luoghi santi, il Mausoleo del Báb e le sue terrazze, nonché gli edifici che compongono il cosiddetto Arco Bahai della Fede Bahá’í. La città di Haifa, con il monte Carmelo, è un centro economico importante, la capitale del nord di Israele, una città multiculturale e multireligiosa, in cui convivono arabi ed ebrei, cristiani, drusi e musulmani, un simbolo di coesistenza di cui il sindaco Yona Yahav è fiero. “Da secoli – dice – ebrei ortodossi e non, cristiani, musulmani, drusi, fedeli della religione Bahá’í e di altre denominazioni vivono in armonia, nella tolleranza reciproca e nella corresponsabilità verso la comunità cittadina” che oggi conta oltre 270mila abitanti, 90% dei quali sono ebrei, i restanti arabi. Di questi ultimi la metà è di fede cristiana.

Un mix di culture. “Sono anni che non si registrano scontri a sfondo etnico e religioso – conferma Asaf Ron, direttore esecutivo del Centro di cultura araba ed ebraica di Haifa, Beit HaGefen – qui diamo la possibilità ad arabi ed ebrei di incontrarsi e dialogare, di esprimere la propria cultura nelle rispettive lingue. In Israele – ricorda – quelle ufficiali sono l’ebraico e l’arabo”. “Le nostre attività sono fondate sull’incontro e sull’integrazione, strumenti necessari a rompere le barriere nazionali, etniche e religiose delle persone che vivono qui. Lavoriamo per creare ponti culturali tra le diverse comunità con un occhio di riguardo alla promozione della cultura araba in Israele. Tra i nostri destinatari ci sono le giovani generazioni dalle quali emergeranno i leader politici del futuro. E ai politici serve il coraggio per prendere decisioni importanti per arrivare alla pace”. La parola pace risuona più volte nelle parole di Ron anche quando suonano le sirene di allarme nella città: “Niente paura è solo un’esercitazione per la sicurezza nazionale” spiega sorridendo. In fondo si intravedono le alture del Golan, il confine con il Libano, con cui non più tardi di qualche anno fa Israele ha combattuto una guerra, distano solo una quarantina di chilometri. Haifa, tuttavia, continua la sua vita, fatta di industrie high-tech che lavorano, di un porto fiorente, di sviluppo turistico, di studi universitari, di iniziative sociali. Qui lavorano quasi tutti, la disoccupazione si attesta intorno al 5-6% della popolazione. Non c’è tempo e voglia di pensare alla guerra. “La pace nasce nelle famiglie, nelle scuole – ribadisce Eliezer Kulas, responsabile delle relazioni internazionali della municipalità di Haifa – l’educazione e l’istruzione sono due parole chiave, insieme allo sviluppo, nel ricercare la pacifica convivenza. La politica non deve influire negativamente nelle relazioni tra le persone così come le religioni. Queste, invece, devono rappresentare il valore aggiunto per una società multiculturale e interreligiosa e non un ostacolo ai rapporti umani”.

L’impegno delle religioni. Ne è convinto anche l’arcivescovo melchita, Elias Chacour, capo della più consistente comunità cattolica in Israele, 80mila fedeli di cui 17mila nella sola zona urbana di Haifa. Quattro anni fa l’arcivescovo ha scelto, unilateralmente, di adeguarsi al calendario giuliano e poter celebrare la Pasqua con “i fratelli greco-ortodossi”. Oggi, racconta con evidente commozione, “la solennità della Resurrezione è un segno di grande unità anche davanti ai fedeli musulmani e drusi. Alla processione della Domenica delle Palme partecipano migliaia di persone”. Un fiume di gente che non manca di creare blocchi al traffico cittadino, “ben tollerato dal Comune”. Uno sforzo ecumenico utile anche a ricacciare indietro i rischi di assimilazione e a favorire l’integrazione”. A tutte le comunità cristiane, anche protestanti, “è chiesto l’impegno di testimoniare l’unità: vogliamo creare unità nella diversità e sappiamo che è possibile. Vogliamo che le religioni siano parte della soluzione delle crisi e non parte delle guerre”. Un impegno analogo ad Haifa è portato avanti da She’ar Yashuv Cohen, rabbino capo di Haifa: il suo racconto è quello di un uomo impegnato nel dialogo interreligioso al punto da essere insignito, nel 1991 del premio israeliano Sovlanut (tolleranza). Cohen guida il consiglio per il dialogo tra il Gran Rabbinato di Israele e la Santa Sede e quello tra l’ebraismo e l’Islam. Come rabbino capo di una città con una popolazione religiosamente varia, ha fatto un suo punto d’onore mantenere buoni rapporti con i leader religiosi musulmani, cristiani e di altri fedi: “è un imperativo morale – afferma – ed il segreto è quello di concentrarsi su questioni di interesse comune a tutti i leader religiosi, come il declino della moralità e la lotta per la pace e contro la divisione”. Un “segreto” da non mantenere e da rivelare a quante più persone possibili. Dal messaggio di Haifa potrebbe riprendere vigore la volontà di dialogo e di pace. E non solo per Israele…

 
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