KENYA – ( 7 Luglio )

NON SOLO AL-SHABAAB
 
Sulla costa Kenyana non si ferma l’ondata di violenze

Si cercano ancora i responsabili degli attacchi di Mpeketoni, che hanno fatto decine di morti. Gli integralisti somali hanno rivendicato l’uccisione di altre 29 persone, ma gli attacchi che hanno preso di mira i cristiani hanno anche motivazioni politiche ed economiche. Tra timori di vendette, come spiega padre Wilybrod Lagho, vicario generale di Mombasa, la Chiesa locale lavora per la riconciliazione
Davide Maggiore

 
Non c’è pace sulla costa kenyana: nel fine settimana almeno 29 persone sono state uccise dopo un attacco nell’area che a giugno era già stata al centro delle cronache per le stragi avvenute nei pressi della località di Mpeketoni, in cui persero la vita circa 60 persone. All’insicurezza si aggiunge il timore di “vendette”, spiega padre Wilybrod Lagho, vicario generale dell’arcidiocesi di Mombasa. Il quadro tracciato dal sacerdote è complesso e rende l’idea delle tensioni latenti nella zona, influenzate sia da eventi internazionali (il confine somalo è circa duecento chilometri a nord di Mpeketoni) sia da questioni locali, sia – infine – da rivendicazioni economiche: le popolazioni della regione lamentano storicamente di essere state lasciate ai margini delle politiche decise dal governo centrale nonostante proprio in quest’area, nei pressi della città di Lamu, dovrebbe sorgere nei prossimi anni un terminal petrolifero destinato a raccogliere la produzione di una parte importante dell’Africa orientale.
 
Responsabilità controverse. “Nella regione – spiega padre Lagho – l’uso della violenza ha tre componenti: l’islamismo, il separatismo e la xenofobia, che non è dettata solo da motivazioni etniche, ma anche da interessi”. Gli attacchi sono stati rivendicati dagli integralisti islamici somali di al-Shabaab, che parlano di un’azione punitiva dovuta alla presenza di truppe kenyote nel loro Paese, ma non tutti in Kenya hanno accettato questa ricostruzione: in particolare il presidente della repubblica Uhuru Kenyatta ha accusato delle prime stragi “reti politiche locali” notando come i morti siano per la maggior parte appartenenti al suo stesso gruppo etnico, i kikuyu. La decisione delle autorità di arrestare – e poi rilasciare dopo il pagamento di una forte cauzione – il governatore di Lamu, Issa Timamy, esponente dell’opposizione nazionale, ha però provocato le critiche degli avversari del capo dello Stato. Da parte sua, il vicario dell’arcidiocesi di Mombasa riconosce che molto probabilmente “abitanti del luogo” sono coinvolti, ma aggiunge: “Queste persone sono certamente alleate di forze esterne, come al-Shabaab: lo si può sostenere – spiega – prima di tutto, per l’alto livello di organizzazione di chi ha condotto l’attacco”. E continua: “In passato, azioni di questo tipo non avevano una logistica così sofisticata, che può essere solo opera di gruppi terroristici molto organizzati”; a far pensare ad una responsabilità dei fondamentalisti inoltre sono anche “la selezione delle vittime, uomini adulti, e la scelta dei cristiani come bersaglio: sono stati presi di mira solo loro, mentre alcuni musulmani sono stati risparmiati in quanto tali”.
 
Il peso della marginalizzazione economica. Pensare a un intreccio di cause, secondo padre Lagho, non è inverosimile se si guarda alla geografia della regione e alla storia del Kenya. Nella società somala, nota il religioso, “se un clan vive a cavallo del confine, la lealtà dei suoi componenti va innanzitutto a questo gruppo”, e poi allo Stato. In più, denuncia il vicario, diversi kenyani di origine somala, negli scorsi anni, “si sono accordati con politici locali o si sono uniti ad al-Shabaab”. All’interno di questa comunità, ricorda il religioso, “c’è la convinzione che le aree di frontiera siano state trascurate dopo l’indipendenza, per quanto riguarda le politiche di sviluppo”, e già nel 1963, con la fine del dominio coloniale inglese, c’era stato un tentativo di secessione. “Sulla costa – secondo il sacerdote – la situazione è la stessa: ci sono state accuse di negligenza e di discriminazione da un punto di vista socio-economico e la colpa è stata data al governo nazionale”. Questo stato di cose ha preparato il terreno per la comparsa di un gruppo separatista, il Mombasa Republican Council (Mrc) di cui le autorità sospettano per gli attacchi del fine settimana. A favore della pace cercano di lavorare la Chiesa cattolica e i rappresentanti delle altre religioni: “Abbiamo un’organizzazione chiamata Coast Interfaith Council of Clerics che riunisce leader religiosi di varie fedi compresi in musulmani e gli indù”, dice il vicario di Mombasa, “e attraverso la sezione locale di Mpeketoni si stanno organizzando incontri di riconciliazione e si sta facendo pressione sul governo perché riveda la sua strategia di contrasto ai gruppi terroristici, non utilizzando solo la soluzione militare”.

Il testo completo si trova su:

http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/07/00290542_sulla_costa_kenyana_non_si_ferma_l_ondata.html

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