LIBANO – ( 10 Aprile )

MATRIMONI MISTI

L’esempio libanese
 
In molti casi le unioni miste svolgono ”una funzione positiva di avvicinamento tra le comunità”. Infatti in questo Paese sono presenti ben diciotto comunità religiose ufficialmente riconosciute. Non mancano luci e ombre. Il commento del segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia, monsignor Jean Laffitte

 
Sono in aumento, anche in Europa, le famiglie miste, interconfessionali e interreligiose. Il segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia è intervenuto sul sito web del Dicastero per chiarire rischi e opportunità, commentando la ricerca di recente pubblicazione a cura dei vescovi del Medio-Oriente. In un’intervista istituzionale pubblicata sul sito web del Dicastero, in quattro lingue (www.family.va), nella sezione “Dalle chiese locali”, il segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia, monsignor Jean Laffitte, chiarisce la posizione della dottrina della Chiesa cattolica in tema di matrimoni misti e con disparità di culto. Sul sito, vengono presentati i risultati della ricerca “I matrimoni misti in Libano. Realtà e sfide”, a cura della Commissione episcopale per la famiglia e la vita dell’Assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano, in collaborazione con il Pontificio Consiglio. Il documento è il risultato di uno studio avviato nel 2010, a seguito di un incontro a Beirut sul tema del volume e sulla base delle linee guida tracciate nel VII incontro mondiale delle famiglie a Milano (30 maggio-3 giugno 2012).

Il mistero d’unione degli sposi con Cristo. Le unioni interconfessionali e interreligiose sono in aumento in Europa e diffuse in Paesi dell’Africa, del Medio-Oriente e dell’Asia. Affinché siano valide, per la Chiesa cattolica, le nozze tra cristiani cattolici e non cattolici o tra cristiani e non cristiani, occorre una dispensa ecclesiastica, che viene concessa – spiega mons. Jean Laffitte – “quando c’è l’accordo dei due coniugi sui fini e sulle proprietà essenziali del matrimonio, nonché l’impegno a battezzare i figli ed educarli nella fede cattolica”. Le coppie miste non presentano particolari problemi, tuttavia – commenta mons. Laffitte – “non è banale amare qualcuno che non condivide la stessa confessione religiosa”, e può avere conseguenze sulla partecipazione attiva alla vita della fede. Uno dei due coniugi, solitamente, diviene più “indifferente” sul piano religioso. Tra i cristiani, soltanto i cattolici credono nell’indissolubilità del matrimonio in quanto sacramento, “mistero di unione degli sposi con Cristo”. Per i cattolici, “nel matrimonio, Cristo stringe un’alleanza con gli sposi per sua natura irrevocabile, che dura, quindi, fino alla morte di uno dei due. Protestanti e ortodossi ammettono, invece, il divorzio. Maggiori problemi presentano, però, le famiglie con disparità di culto, “spesso insuperabili nelle unioni di cristiani con induisti, buddisti, scintoisti”. Le difficoltà nelle unioni tra cristiani e musulmani sorgono il più delle volte fin dall’inizio, in quanto “la tradizione islamica esige che i figli siano educati nella religione del genitore musulmano”. È, poi, differente la concezione della donna e della comunità familiare. Esperienze positive di matrimoni islamo-cristiani si registrano soprattutto nei Paesi in cui c’è stata una lunga coabitazione delle due religioni, come in Libano, come mostra la ricerca a cura della Commissione episcopale per la famiglia e la vita dell’Assemblea dei patriarchi e dei vescovi del Medio-Oriente.

La diversità, rischio e ricchezza. La società libanese – si legge nel documento “I matrimoni misti in Libano. Realtà e sfide” – presenta una marcata pluralità confessionale e, dunque, un numero elevato di matrimoni misti (interconfessionali) e con disparità di culto (interreligiosi). Sono presenti, infatti, ben diciotto comunità religiose ufficialmente riconosciute. Un terzo della popolazione è di fede cattolica maronita, seguono gli sciiti e i sunniti, quindi, i greci melchiti cattolici e i greci ortodossi, i drusi, gli armeni e altre minoranze cristiane e musulmane. “La diversità culturale in Libano è una fonte di ricchezza”, leggiamo. In questo contesto, “il matrimonio ha una funzione di incontro e anche di limitazione delle comunità come dei loro membri”. Le coppie miste sono circa il 15%, i matrimoni interreligiosi non superano il 2%. Il giudizio è positivo per oltre la metà delle persone intervistate per le unioni interconfessionali e per circa un terzo per i matrimoni islamo-cristiani. I problemi – dichiara in prefazione il presidente della Commissione, Antoine-Nabil Andara – sorgono nel vivere quotidiano, soprattutto con l’età matura. Infatti, “il sentimento d’amore, il desiderio di vivere sempre insieme e condividere gioie e preoccupazioni rischia di occultare le importanti differenze tra sposi di diversa fede”. Ma, “spesso la buona volontà non è in grado di supplire alla mancanza di una fede comune” e di una condivisa visione della vita e della famiglia. In caso di matrimoni islamo-cristiani, le difficoltà riguardano il ruolo della donna, la concezione dell’autorità all’interno della famiglia e l’educazione dei figli. Tuttavia, in Libano, in molti casi le unioni matrimoniali miste svolgono “una funzione positiva di avvicinamento tra le comunità”. In conclusione alla ricerca, gli autori precisano la necessità di “una distinzione concettuale e pratica tra diversità e mescolanza”, anche per la corretta interpretazione della realtà coniugale, familiare, sociale ed ecclesiale. “La nozione di mescolanza sociale è molto ampia” ed è utilizzata soprattutto in Europa. La mescolanza è costitutiva della realtà naturale come di quella sociale. La diversità ha, invece, un carattere congiunturale e diventa “necessità di salvaguardare la realtà sociale, familiare e coniugale”. Le politiche educative devono “favorire la diversità come condizione di base e la mescolanza come situazione da assumere senza che divenga una condizione necessaria o di rinforzo della diversità”.

a cura di Emanuela Bambara

 
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