LIBIA – ( 1 Luglio 2016 )

Libia, rapporto Amnesty su violenze contro migranti e rifugiati

Migranti sulle coste di Tripoli - EPA

Migranti sulle coste di Tripoli – EPA

Sfruttamento, torture, uccisioni e persecuzione religiosa nei confronti di migranti e rifugiati in Libia. Tragiche le testimonianze raccolte da Amnesty International di circa 90 persone che hanno attraversato il Paese nordafricano e ora sono ospitate nei Centri di accoglienza di Puglia e Sicilia. “L’Unione Europea dovrebbe occuparsi meno di tenere migranti e  rifugiati fuori dalle sue frontiere e concentrarsi maggiormente sulla  messa a disposizione di percorsi legali e sicuri per coloro che sono  intrappolati in Libia e cercano salvezza altrove”, dichiara Magdalena  Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e  Africa del Nord di Amnesty International. Per l’organizzazione internazionale delle migrazioni sono oltre 264mila i migranti che si trovano in Libia, provenienti per lo più dall’Africa sub-sahariana e secondo i dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, 37mila sono i rifugiati e i richiedenti asilo registrati, la metà dei quali siriani. Sul rapporto relativo alle violenze in Libia, Elvira Ragosta ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

R. – Le violenze iniziando durante il viaggio, appena lasciano i loro Paese e si avventurano nel deserto: vengono presi in consegna da trasportatori, che rispondono a bande criminali; e, ancor prima di entrare in Libia, vengono lasciati morire di malattie, di fame; vengono picchiati. Una volta, poi, che si entra in Libia è persino peggio! I trattamenti sono brutali, sia nei Centri di detenzione ufficiale che nei luoghi assolutamente informali, come scantinati, fabbriche abbandonate, abitazioni private. Soprattutto quelli che non riescono a pagare vengono torturati, vengono tenuti in uno stato di prigionia fino a quanto i loro familiari non mandano i soldi per liberarli e vengono uccisi.

D. – Poi c’è il viaggio attraverso il Mediterraneo e le cronache di tutti i giorni ci raccontano di altre violenze da parte degli scafisti. Che tipo di testimonianze avete raccolto?

R. – Sono testimonianze orribili! Intanto di una logica unicamente commerciale per cui si stipano persone all’inverosimile su imbarcazioni non adatte alla navigazione. Ci sono stati resoconti di violenze sessuali, di pestaggi nei confronti di persone prese a bordo dai trafficanti. Ma quello che emerge è anche il ruolo della Guarda Costiera della Libia, che l’Unione Europea sta addestrando e con la quale c’è uno scambio di informazioni: è una Guardia Costiera che tutto fa meno che ricercare e soccorrere persone in mare, tant’è che, alla fine di maggio, oltre 3 mila sono stati ripresi, riportati sulla terraferma e da lì subito portati nei Centri di detenzione.

D. – Non si è registrata una diminuzione di queste violenze con la formazione del nuovo governo di unità nazionale libico, supportato dalle Nazioni Unite?

R. – No, purtroppo no! Il governo ha l’appoggio della Comunità internazionale, ma poi c’è una altra parte della Libia che è controllata da chi  è fedele a Tobruk. Ma quello che è importante mettere in evidenza è che i centri di detenzione per i migranti irregolari – così sono chiamati – sono 24 in tutto e sono in larga parte ancora sotto il controllo di bande armate, di gruppi armati, alcuni dei quali islamisti, e quindi sfuggono completamente al controllo delle autorità, comprese quelle del nuovo governo.

D. – Nel Rapporto si parla di violenze, anche sessuali, di torture, di uccisioni, ma anche di persecuzioni religiose. Cosa raccontano migranti e rifugiati tenuti in ostaggio dai gruppi fedeli al sedicente Stato Islamico?

R. – Ormai è chiaro: le persone più vulnerabili, quelle più a rischio e quelle trattate peggio sono le donne e le persone di fede cristiana. Ci sono tantissimi racconti, soprattutto di rifugiati cristiani provenienti dall’Eritrea, dall’Etiopia: appena viene scoperta per qualche ragione esteriore – per esempio una croce al collo – la loro fede, vengono perseguitati, trattati peggio degli altri. Le donne poi, oltre alla violenza sessuale, allo stupro di gruppo, sono costrette a convertirsi all’Islam con la forza. E dicono: “Siamo costrette a farlo per salvarci la vita!”. Ma quello che accade dopo non migliora certo la loro situazione, perché diventano schiave del sesso, vengono prese in mogli da uomini appartenenti a gruppi armati islamisti e la loro sorte è segnata. Sopravvivono unicamente cedendo a questa violenza di gruppo.

D. – Intanto l’Unione Europea ha prorogato di un anno l’operazione per contrastare il traffico di esseri umani ed arrestare gli scafisti. E’ abbastanza?

R. – E’ una politica contraddittoria, perché da un lato si perseguitano gli scafisti – ed è una operazione ovviamente logica di contrasto al crimine organizzato – ma dall’altra però non si lascia alcuna possibilità alle persone per venire in Europa che affidarsi agli scafisti stessi. Quindi c’è una incoerenza di fondo in una politica che ha per obiettivo quello di esternalizzare i controlli, di impedire le partenze. Di nuovo la Libia – come ai tempi di Gheddafi – diventa il partner fondamentale per questa operazione. I migranti richiedenti asilo veramente in Libia non dovrebbero metterci piede, perché non ci sono condizioni di sicurezza. Occorrono reinsediamenti; occorre andare a prendere le persone nei Paesi prossimi a quelli da cui fuggono; occorre organizzare ponti aerei, come si sta facendo in alcuni piccoli casi che coinvolgono le realtà religiose del nostro Paese; occorre incrementare i visti per motivi umanitari, i permessi di studio, i ricongiungimenti familiari: fare cioè in modo che almeno i più vulnerabili – come le donne, come i minori, come gli appartenenti alle minoranze religiose – possano arrivare in condizioni di sicurezza nel nostro continente.

Il testo originale e completo si trova su:

http://it.radiovaticana.va/news/2016/07/01/libia,_rapporto_amnesty_su_violenze_a_migranti_e_rifugiati/1241355

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