LIBIA – ( 20 Ottobre )

Libia: un anno fa l’uccisione del colonnello Gheddafi


In Libia, un anno fa, l’uccisione del colonnello Gheddafi a Sirte, la sua roccaforte. Una morte ancora piena di ombre per il presunto coinvolgimento di servizi di intelligence francesi. L’emittente Al Arabiya rende noto, intanto, che Khamis Gheddafi, il figlio 29.enne del colonnello, dato per morto il 29 agosto 2011, sarebbe invece ancora vivo e sarebbe stato catturato nella roccaforte di Bani Walid, dove sono in corso scontri da giorni. La Libia è oggi un Paese in difficoltà, soprattutto sul fronte della sicurezza. Ieri sono stati due i morti, tra di loro un 13.enne, negli scontri tra esercito ed ex ribelli a Bani Walid, città natale di Gheddafi. Sulla figura del rais di Tripoli nel primo anniversario della morte, Benedetta Capelli ha chiesto un commento al prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – Gheddafi è stato un opportunista politico in senso stretto: ha tirato fuori la Libia da una situazione di “sonnolenza” ed ha cercato di usare quel Paese come un trampolino per le sue ambizioni personali, scontrandosi però con la realtà dei fatti perché la Libia è un Paese dotato di grandi risorse petrolifere, ma alla fine ha solo quelle. Gheddafi ha sponsorizzato il terrorismo di matrice palestinese ma non solo. Resta un personaggio negativo.

D. – Ad un anno di distanza, il Paese ha ancora moltissime problematiche aperte. Lei che bilancio può fare di questo primo anno?

R. – All’inizio eravamo molto più preoccupati di quello che poteva succedere. In un primo tempo è sembrato che, tutto sommato, l’intervento avesse prodotto un risultato positivo. All’improvviso, dal momento delle elezioni in poi, tutto è andato peggiorando. Non tanto in termini di infiltrazioni di estremisti islamisti, quanto nella difficoltà di tenere insieme Cirenaica e Tripolitania. Questo credo che sia il problema principale che abbiamo di fronte in questo momento.

D. – Un altro problema importante è anche la composizione dell’esercito che non garantisce assolutamente stabilità in questo Paese…

R. – No, perché le forze di sicurezza rischiano di essere percepite come una formazione armata in mezzo ad altre formazioni armate. Dopo i fatti di Bengasi era sembrato che ci fosse una spinta al disarmo delle milizie. C’è stato anche un tentativo volenteroso di farlo. Alla fine, però, il rischio di una frammentazione del Paese per aree geografiche, per gruppi tribali, ed eventualmente anche per milizie politiche, continua ad essere elevato. Certamente sarebbe un paradosso perché l’intervento in Libia è stato costoso, importante, motivato ad evitare, appunto, il disordine. Se dovessimo ritrovarci in una situazione di anarchia istituzionalizzata, avremmo buttato via tempo, soldi, vite per nulla.

D. – Intanto sta emergendo un forte coinvolgimento della Francia nella morte di Gheddafi. Che ruolo ha la Francia oggi in Libia?

R. – La Francia è presente in tutto il Maghreb con le attività d’intelligence. La sensazione, per le informazioni che abbiamo, è che tutto sommato, se c’è un Paese che non ha portato a casa quello che pensava di poter portare a casa, in termini di influenza politica e anche di contratti economici, è proprio la Francia. I francesi hanno assunto la guida della coalizione, hanno effettuato l’intervento, ma poi, alla fine, mi pare che non stiano portando alcun risultato. Anche perché c’è stato un cambio di presidenza e c’è stato anche il fatto che la crisi economica morde più adesso la Francia di quanto non la stesse mordendo ai tempi dell’intervento in Libia.

 
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