MEDIO ORIENTE – ( 16 Novembre )

Medio Oriente nel caos: il premier egiziano a Gaza. Altri due missili palestinesi a sud di Tel Aviv



Nessuna tregua a Gaza: neppure durante le tre ore di visita del premier egiziano, Kandil, nella piccola enclave palestinese sono cessati il lancio di razzi verso il Sud di Israele e i raid aerei israeliani sulla Striscia. Il bilancio è di altri tre morti palestinesi e il lieve ferimento di una donna israeliana a Ashdod. Un razzo di fabbricazione iraniana è caduto questa mattina in mare davanti a Tel Aviv, senza fare vittime. Kandil ha affermato che l’Egitto farà tutto il possibile per giungere ad una tregua tra Israele e Hamas. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

Una visita-lampo, quella del premier Kandil, durata sole tre ore, ma di grande valore, perché l’Egitto vuole continuare a ricoprire il suo ruolo di mediatore tra Israele ed il mondo arabo; anche dopo la rivoluzione che ha portato al potere Morsi, che appartiene ai Fratelli Musulmani, gli stessi presenti nella Striscia di Gaza. Proprio Morsi ha parlato di “aggressione flagrante contro l’umanità” ed ha assicurato che “Il Cairo non lascerà sola Gaza”. C’è chi ipotizza che dietro la visita di Kandil ci sia stata la forte spinta degli Stati Uniti, preoccupati per l’escalation di violenza e per il possibile effetto domino che questa potrebbe avere sullo scacchiere mediorientale. Di fatto il premier egiziano, che ha già fatto ritorno al Cairo, non è riuscito ad imporre la tregua parziale, prevista durante la sua permanenza nella Striscia. Sono, infatti, stati segnalati attacchi diretti sulle città israeliane di Ashqelon e Beer Sheva; due missili sono caduti presso Tel Aviv, senza provocare vittime. Da parte sua l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, in un comunicato, ha ribadito che ha “il diritto ed il dovere di difendere la sua popolazione”, pur sottolineando che “il popolo palestinese non è nostro nemico, Hamas e le organizzazioni terroristiche lo sono”. Richiamati 16mila riservisti, e c’è già chi teme che l’operazione di terra sia molto vicina. Intanto, si registrano le prime reazioni nel vicino Libano: lo sceicco Nasrallah, leader supremo di Hezbollah, si è detto compiaciuto per il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, parlando di “uno sviluppo estremamente significativo” nel conflitto con lo Stato israeliano.

L’Egitto, dunque, torna ad essere protagonista dello scacchiere mediorientale. Dopo aver ritirato il suo ambasciatore da Tel Aviv, in seguito all’attacco israeliano su Gaza, oggi gli egiziani sono tornati in prima linea con la visita del premier Kandil nella Striscia. Quale l’importanza, dal punto di vista strategico, di questa missione? Salvatore Sabatino, ha girato la domanda a Francesca Paci, già inviata de “La Stampa” al Cairo:RealAudioMP3

R. – L’Egitto è consapevole del fatto di poter giocare un ruolo importantissimo, perché a differenza dell’ultima operazione contro Gaza nel 2008-2009, non c’è oggi alla guida del Paese il presidente Mubarak – filo-occidentale e vicino a Israele – ma c’è il presidente Mohamed Morsi, che viene dai Fratelli musulmani. Quindi, l’Egitto può avere una fortissima influenza su Hamas – che dalla Fratellanza musulmana deriva – pur avendo accesso alle Cancellerie internazionali, trattandosi del nuovo governo legittimamente eletto.

D. – C’è chi dice anche che dietro a questa visita ci siano forti pressioni da parte di Washington. Se così fosse, Morsi si troverebbe schiacciato tra le spinte “normalizzanti” della Casa Bianca e quelle dei Fratelli musulmani, il suo partito, che invece hanno assunto un atteggiamento di forte critica nei confronti di Israele. Come si muoverà?

R. – In realtà, certamente ci sono pressioni da parte degli Stati Uniti; ci sono pressioni anche da parte dell’Unione Europea: questa mattina, la cancelliera tedesca Merkel ha chiesto all’Egitto di farsi mediatore; l’Arabia Saudita ugualmente sta facendo pressioni. Però, al di là di questo, c’è qualcosa di più: l’Egitto, con Israele, ha una priorità in comune e non cambia il fatto che al potere in questo momento ci siano i Fratelli musulmani. Questa priorità è il Sinai, in cui è sempre più opprimente la minaccia salafita, la minaccia jihadista che è quella che anche Hamas sta fronteggiando nella Striscia di Gaza.

D. – C’è poi la questione aperta della delicatissima frontiera del Valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, che è un punto delicatissimo anche per Morsi …

R. – Esattamente. Anche se non è una cosa che può essere ripetuta ad alta voce né ufficialmente in Egitto – perché comunque l’opinione pubblica egiziana resta ostile a Israele – moltissimi mi confermano che la collaborazione tra gli eserciti (tra l’esercito egiziano e quello israeliano) e tra l’intelligence egiziana e quella israeliana è fortissima: continua ad esserlo dopo la caduta di Mubarak e si è probabilmente rafforzata ancora di più da quando, nel momento di transizione e nel momento di vuoto di sicurezza, il Sinai è diventato anche più pericoloso. Quindi, quella è una questione di sicurezza nazionale estremamente importante per l’Egitto e ovviamente anche per Israele.

Sull’altro fronte del conflitto israelo-palestinese c’è il Libano, un Paese già in grave difficoltà per il vicino conflitto siriano e per una situazione politica interna tutt’altro che normalizzata. Quali sono gli umori che si registrano nel Paese dei Cedri rispetto a quanto sta accadendo nella vicina Striscia di Gaza? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al collega Lorenzo Trombetta, raggiunto telefonicamente a Beirut:RealAudioMP3

R. – Le reazioni sono molto diverse e contrastanti. Riflettono un po’ le divisioni e la pluralità del panorama sociale e politico libanese. Ci sono i palestinesi dei campi profughi che ovviamente sono, oltre che preoccupati, solidali con la popolazione di Gaza, sostengono la linea massimalista e oltranzista della resistenza da parte di Hamas; ci sono invece quelli che temono che il movimento sciita Hezbollah, che in alcuni casi in passato si è coordinato con gli attori regionali anti-israeliani, possa lanciare operazioni, non si sa se su larga scala o su scala ridotta, nel Nord del Libano verso l’Alta Galilea, per distrarre Israele o comunque per mostrare solidarietà con Gaza. C’è poi invece – e qui la questione siriana ha una sua importanza in Libano – chi guarda a Damasco e chi guarda ai numerosi profughi siriani che da circa un anno e mezzo ormai affollano il Libano; si teme che la guerra di Gaza, o comunque questi intensi raid israeliani su Gaza, possano in un certo senso far dimenticare quello che avviene lì vicino e confondere anche lo sguardo degli osservatori internazionali, che di fatto sostengono i profughi siriani e sono solidali con loro. Quello che accade a Gaza è molto simile a quello che sta accadendo in queste ore – e da 18 mesi e anche più – in Siria.

D. – C’è il timore tra la gente che il conflitto possa allargarsi fino ad un coinvolgimento del Libano?

R. – Il timore c’è, anche se sul terreno il movimento sciita Hezbollah che sarebbe, di fatto, il primo attore coinvolto in un eventuale allargamento, non sembra avere interessi regionali e politici ad “infilarsi” in una guerra più o meno aperta con Israele. Perderebbe molto consenso all’interno del Libano, perché il Libano e il suo governo, in generale, ma anche la gente non hanno certo interesse a ritrovarsi sotto le bombe, come accadde nel 2006; e, in generale, non è chiaro quanto Hezbollah in questo senso preferisca dare la priorità alla sua agenda regionale, e quindi coordinarsi con l’Iran e con il suo alleato Hamas, e quanto invece preferisca dare priorità alla sua agenda politica interna. Anche qui, l’anno prossimo, nella primavera del 2013, ci saranno le elezioni e quindi anche in questo caso – e non soltanto nel caso di Israele e di Hamas – i conti con l’elettorato vanno fatti.

 
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