MEDIO ORIENTE/ISLAM – (14 Ottobre)

Il ruolo dei cristiani e delle minoranze nel futuro del mondo arabo di Tarek Mitri

La strage dei copti avvenuta al Cairo il 9 ottobre scorso fa emergere dubbi sul futuro dei cristiani negli Stati scossi dalla primavera araba. Per Tarek Mitri, ex ministro libanese e cristiano ortodosso, con la rivoluzione dei gelsomini è riemersa l’antica unità fra cristiani e musulmani, emersa durante i movimenti d’indipendenza del XIX secolo. Impegno politico e comprensione reciproca fra cittadini, unica via per fermare l’isolamento dei cristiani e il loro esodo dal Medio oriente.

Roma (AsiaNews) – Lo scorso 12 ottobre, nella Sala della Lupa del Parlamento italiano, si è tenuta una conferenza internazionale sul tema “La promozione dei diritti umani a sostegno delle minoranze religiose . L’importanza della stabilità sociale per lo sviluppo economico”. Essa ha coinvolto personalità e diplomatici dal Medio oriente e dal Nord Africa, oltre a studiosi e specialisti. All’incontro, organizzato dall’Ipalmo (Istituto per le relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo oriente), hanno partecipato anche personalità vaticane e il direttore di AsiaNews. Fra le relazioni più significative, vi è stata quella di Tarek Mitri, già ministro libanese della Cultura e dell’Informazione, da sempre impegnato nel dialogo islamo-cristiano. Per sua gentile concessione, pubblichiamo il suo intervento integrale (traduzione italiana a cura di AsiaNews).

Parlo quest’oggi con il cuore appesantito dal dolore. L’enorme e deplorevole perdita di vite umane avvenuta lo scorso 9 ottobre al Cairo ha spalancato i nostri occhi sulle enormi difficoltà e incertezze della transizione del popolo egiziano verso una vera democrazia, supremazia della legge e piena cittadinanza per tutti. Questi tragici eventi fanno puntare il dito contro la “modesta” e contestata abilità del Consiglio supremo dei militari nel portare avanti la suddetta transizione.
La posta in gioco non si limita al problema dei diritti delle minoranze religiose: il diritto di costruire, mantenere e riparare luoghi di culto e la libertà di coscienza, compresa quella di convertirsi a un’altra religione o ritornare a quella di origine. Le lamentele dei copti riguardano, forse in primo luogo, anche diritti civili e politici. Spesso essi reclamano i loro diritti come cittadini a pieno titolo e non solo come minoranza religiosa.

Nonostante la gravità di quanto è accaduto nei pressi di Maspero, con tutto il suo carico di vittime, non si devono perdere di vista due cambiamenti significativi negli atteggiamenti e nelle percezioni della minoranza cristiana. Mentre il ricorso alla violenza contro i copti li fa apparire come “vittime della discriminazione”, la forza della loro protesta indica un passaggio da un posizione passiva, un po’ defilata, a un atteggiamento più attivo e politicamente motivato. Il secondo passaggio significativo è che le “questioni copte” stanno diventando “un caso nazionale”.

Più in generale, affermare l’indivisibilità dei diritti umani non è superfluo. Non è solo una dichiarazione di principio, ma piuttosto una condizione necessaria per affrontare la questione dei diritti delle minoranze con una certa cautela, senza ridurla a un fatto culturale o giuridico. In questo breve intervento, le questioni saranno esaminate alla luce della storia politica della nostra regione, con particolare attenzione al legame indissolubile tra le aspirazioni delle maggioranze e i diritti delle minoranze.

I rapporti fra cristiani e musulmani: dal patto della dhimma alla lotta per l’indipendenza

Fin dagli albori dell’islam, i cristiani del mondo arabo sono stati riconosciuti come comunità di diritto e coscienza pubblica. Lo statuto, o meglio il patto della dhimma, li proteggeva e si attendeva da essi lealtà allo Stato islamico. Ciò ha implicato però una loro inferiorità civile e politica rispetto ai musulmani. Il patto era una forma di riconoscimento, o legittimazione, del pluralismo religioso a quei tempi assente in altre culture. Tuttavia, l’accettazione di questa molteplice realtà era intesa in modo gerarchico.
Sotto gli ottomani il sistema della dhimma raggiunge la sua più alta codifica. Questa è l’epoca in cui i millet (comunità confessionali) godono di una relativa autonomia. A partire dal 19mo secolo le ideologie e i modelli politici sviluppatesi in Europa penetrano lentamente nel mondo arabo–musulmano. Da un altro lato, grazie alla debolezza dell’Impero ottomano, le potenze europee intensificano i loro rapporti con le varie minoranze religiose non musulmane. Grazie all’atteggiamento imperialista degli europei, il pluralismo gerarchico comincia ad essere sfruttato per giustificare il bisogno di una dominazione esterna. Durante questo periodo i cristiani sono spesso posti di fronte a scelte difficili. In generale essi aspirano a una piena “cittadinanza” libera da una dominazione esterna diretta o indiretta. Mentre essi combattono il moribondo Impero ottomano per il riconoscimento di un’uguaglianza politica e civile, si uniscono ai musulmani nella rivolta nazionale per l’indipendenza. Per la maggioranza dei cristiani questa lotta è proseguita anche contro le nazioni europee che dopo la fine della prima guerra mondiale si sono spartiti le spoglie dell’Impero.
Nelle lotte di liberazione nazionale, la posta in gioco non è solo il futuro delle comunità dominanti, ma anche dei rapporti fra la maggioranza e le minoranze. L’identità collettiva andava proposta in modo da farla accettare alle diverse comunità. Così, la Nahda, o “rinascimento”, in gran parte avviato e sostenuto anche dai cristiani, è soprattutto una realtà culturale quando apre la strada alla nascita delle primi movimenti politici. Il ruolo degli emergenti Stati nazionali infatti, si sviluppa in nome di una unità, anche se discussa, dell’umma araba, come soggetto inclusivo e definito in termini linguistico-culturali e non etnico-religiosi. Tale visione è molto attraente. Purtroppo né i Paesi né i movimenti nazionalisti arabi, che avevano la stessa ideologia della Siria e dell’Iraq contemporanei, sono riusciti a raggiungere la piena integrazione nazionale e tanto meno a modificare le varie identità tradizionali.

Estremismo islamico nemico comune per cristiani e musulmani

Oggi, nel mondo arabo è evidente l’ansia dei cristiani e dei loro amici. Ciò è causato dalla loro diminuzione, dai fallimenti economici e politici degli Stati nazionali, governati da dittature, e dalla paura di un’ascesa dell’islamismo.

Tuttavia, una cosa è ammettere quest’ansia e cercare di comprenderne le ragioni; un’altra è aggravare di più la situazione. Noi non possiamo aiutare il diffondersi della paura e dell’allarmismo che contribuiscono ad accelerare la realizzazione di ciò che è temuto. Così, l’ipotesi di un imminente e definitivo esodo dei cristiani del mondo arabo è allo stesso tempo espressione e causa di questa paura.
La percezione dei rapporti tra maggioranza e minoranza è offuscata dall’ostilità verso l’islamismo, in particolare verso i suoi movimenti più violenti e radicali. Molto spesso, il modo con cui i cristiani guardano al loro futuro è inficiato dalla loro percezione dell’islam, raffigurato come qualcosa di monolitico, più influente e potente di quanto non sia in realtà

Alcuni di loro rischiano la pericolosa trappola di considerare l’estremismo islamico come l’espressione più autentica, anche se eccessiva, dello stesso islam. Ogni rinascita dell’islam, si dice, è un passo indietro e ciò comporterà di nuovo la sottomissione dei cristiani allo status di dhimmi. Ma l’islamismo può essere visto, secondo una metafora di uso comune, come un’onda e le onde per quanto grandi siano, si placano quando finisce la forza iniziale che le guida. E’ ancora prematuro ipotizzare che la “primavera araba” stia aprendo un’era in cui molte forme di islamismo perdono il loro fascino, allo stesso modo in cui cadono o perdono la presa i regimi dispotici, dopo aver indurito il loro potere e accresciuto il sostegno popolare.

Questa percezione, non può nascondere il fatto che la stessa ansia dei cristiani è vissuta ed espressa, mutatis mutandis, anche da un considerevole numero di musulmani. Molti di loro sostengono che le preoccupazioni specifiche dei cristiani riflettono in realtà i problemi presenti all’interno della società nel suo insieme. La liberazione dei cristiani diventa così una condizione necessaria per la liberazione dei musulmani. Questo atteggiamento non è certamente privilegio esclusivo degli oppositori dell’Islam politico o dei detrattori laicisti del bigottismo etnico-religioso, ma è quella di tutti coloro che, pur riconoscendo i problemi specifici della comunità cristiana, ammettono anche i propri. Molto spesso, ciò che è in gioco non è il rapporto tra la maggioranza musulmana e la minoranza cristiana, ma la giustizia, la partecipazione politica, i diritti umani e la dignità nazionale.

In ogni caso, i cristiani di Egitto, Iraq, Libano, Palestina e Siria sono di continuo costretti a confrontarsi sull’importanza della relazione fra la loro appartenenza comunitaria e l’identità nazionale, non solo nella teoria, ma nella loro vita quotidiana. Ci sono situazioni, a volte drammatiche, e persone, siano essi leader politici o religiosi, che ricordano loro il primato della lealtà alla loro comunitaria. Eppure, le lezioni della storia moderna e il recente emergere di inaspettati e potenti movimenti popolari li spingono a privilegiare la solidarietà civica e l’identità nazionale.

Nell’ultima parte del 19mo secolo e all’inizio del 20mo, i cristiani hanno avuto un ruolo nel plasmare un nuovo ordine sociale e politico: Tale ruolo è stato molto più importante e influente di quanto il loro numero avrebbe permesso. Tale contributo è più culturale che politico e con esso i cristiani hanno tentato di scuotere il loro status di minoranza e la loro identità. Più di un secolo dopo, è incerto se la loro coscienza post-millet (post – comunitaria) sia sopravvissuta alle tragedie, ai fallimenti e alle delusioni del 20mo secolo.

Nel 19mo secolo le tendenze secessioniste sono cresciute man mano che le elite culturali hanno espanso la loro autonomia. È stato anche evidente che le comunità confessionali senza legami territoriali non sono immuni dall’intervento straniero. Il sostegno europeo a diverse comunità cristiane ha gradualmente modificato l’equilibro di potere presente all’interno dell’Impero ottomano. Al tempo stesso, i cristiani hanno lavorato a progetti di rinascita nazionale ed emancipazione. La diffusione dell’educazione occidentale fatta dai missionari ha accentuato le differenze fra le varie comunità. I cristiani si sono aperti a un nuovo tipo di cultura, a cui i musulmani avevano un accesso limitato. Questa acculturazione è divenuta per i cristiani – fino ad allora il gruppo più debole – un nuovo strumento di autoaffermazione. Spesso l’influenza occidentale è divenuta per loro una fonte di prosperità economica e di sottile potere politico. I rapporti fra maggioranza e minoranza si sono così modificati. Le nuove opportunità politiche hanno permesso ad alcune comunità cristiane, o parti di queste, di evolvere rapidamente – altri direbbero bruscamente – dalla passiva accettazione del sistema dei millet a un nazionalismo militante, che in alcuni casi è sfociato in una vera e propria strategia separatista.

Dalla caduta dell’Impero, gli Stati nazionali che emergono – compresa la moderna Turchia – crescono con il rifiuto del passato ottomano. In questo periodo i musulmani si trovano ad affrontare problemi molto più seri di quelli dei cristiani. Una nazione dipende in misura significativa dalla memoria dei grandi eventi storici (anche manipolati) o dai frutti che da essi derivano. I popoli governati dall’Impero Ottomano condividono questa storia. Gli Stati che in questi anni nascono nel Medio oriente mancano di un’esperienza nazionale che li distingua l’uno dall’altro.

Un gran numero di cristiani si sono opposti alle tendenze separatiste dei loro correligionari, scegliendo le moderne ideologie nazionaliste e universaliste. Essi enfatizzavano la loro comune identità etnico-culturale con i musulmani come base di indipendenza e di costruzione della nazione moderna. Il legame patriottico si è cementato prima con la lotta contro il potere dell’Impero ottomano, centrale ed oppressivo, poi con l’opposizione alla dominazione europea. Il patto di cittadinanza (nahba) con le minoranze nasce nella lotta per l’indipendenza, superando così il patto di dhimmi. Un esempio è la rivoluzione egiziana del 1919. In Palestina, tale patto si è affermato in quanto cristiani e musulmani sono entrambi vittime di espropri e pulizia etnica.

Ma le caratteristiche dei millet non sono svanite. Durante la lotta per l’indipendenza e la liberazione dal colonialismo la consapevolezza e l’identità islamica si intensificano. In certi casi la violenta autoaffermazione guadagna visibilità e attacca i fallimentari governi moderni, più o meno laici, e autoritari. In certe situazioni ciò ha portato a sentimenti anti-cristiani. Si dice e si crede, che prima i poteri coloniali e dopo i governi nazionali abbiano concesso ai cristiani un trattamento speciale utilizzandoli per fare i propri interessi. Non importa quanto siano discutibili queste affermazioni, oggi come ieri ci saranno sempre persone che non possono o non osano scagliarsi contro coloro che li rendono irati. In modo inconscio essi cercano qualcuno su cui sfogarsi e spesso lo trovano.

In breve, gli albori del ventesimo secolo vedono la nascita di una nuova società, governata però da un vecchio sistema statale. E più di cento anni dopo, assistiamo oggi alla presenza di vecchie società in nuovi Stati. I legami ancestrali, quelli di parentela, etnia e religione sono più importanti dei rapporti civili. Senz’altro alcuni diranno che le rivolte avvenute di recente nei Paesi arabi potrebbero cambiare queste regole. Aspettiamo le nuove costituzioni e le future dinamiche politiche per vedere se esse confermano o meno la nostra iniziale fiducia.

Lotta politica e pluralismo religioso contro l’omologazione e l’isolamento

Ovunque, e il mondo arabo non fa eccezione, le identità più significative sono molteplici. Tuttavia, quando le esigenze, materiali o spirituali, vengono raggiunte o espresse in un’unica identità, i confini fra comunità [all’interno] si rafforzano, invece di bilanciarsi.
Ciò dà vita a gruppi chiusi che riprendono o reinventano la loro memoria e le loro tradizioni. Le differenze di numero fra la comunità diventano il problema di una minoranza minacciata dalla maggioranza. Comunità insicure in un luogo cercano protezione da altre in altri luoghi, percependo la condivisione della loro identità comune come un modo per rafforzare la loro posizione politica. In tal modo si invita all’attenzione esterna e alla difesa dei diritti delle minoranze. L’appoggio dall’esterno non solo cambia di poco la stabilità delle comunità, ma contribuisce a indebolirle ancora di più invece di soccorrerle. I governi nazionali e i movimenti che fanno parte della comunità di maggioranza vedono confermato e rafforzato il loro sospetto verso le minoranze.

Non è facile interrompere questo ciclo. I timori dei cristiani possono essere esorcizzati solo da un’analisi dell’Islam in grado di farne emergere tutte le sfumature oppure dal dialogo di un’elite adeguatamente coltivata. Questo è ancora più difficile, perché sappiamo che i regimi dispotici – e lo sappiamo ancora di più ora con le rivolte popolari – sano giocare e strumentalizzare le paure. La loro pesante dittatura colpisce i cristiani non meno dei musulmani. Allo stesso tempo essi sostengono di proteggere le minoranze dalle paure che essi stessi hanno provocato e istillano in loro la paura di un futuro dominio della maggioranza dei loro compatrioti. Allo stesso modo, alcuni leader cristiani acutizzano i sentimenti di insicurezza all’interno delle loro comunità per omologarli e dominarli, assicurando loro protezione. Questi stessi leader, inducendo sfiducia nei confronti della maggioranza musulmana e denunciando la loro indifferenza verso i cristiani, rendono i loro correligionari prigionieri di un dualismo che mette in contrapposizione perfetta maggioranza e minoranza.

Da parte loro, quelli che manifestano idee e atteggiamenti incentrati sulla minoranze così come i laicisti delusi hanno poco strumenti per distinguere. Essi rifiutano sempre meno l’attivismo politico e reagiscono sempre più alle minacce, reali o presunte, con una rassegnazione che li porta all’emigrazione o all’isolamento. Quest’ultimo aspetto implica una internazionalizzazione della loro marginalità, oppure, in molti casi, si cerca di rompere tale giogo cercando il successo nell’economia o in altri settori come la scienza e la tecnologia. Questa ricerca può fornire speranza, visto che il campo dell’economia è ancora uno “spazio laico”.

In contrasto con i percorsi intrapresi da chi opta per un attivismo politico centrato sulle minoranze e da quelli che invece scelgono il silenzio e la rassegnazione, c’è una terza via. Essa è aperta dalla reinvenzione, attraverso la partecipazione politica, del patto di cittadinanza che unisce cristiani e musulmani, e dal rinnovo del ruolo svolto dalla nahda all’ inizio del 20mo secolo. A dire il vero, siamo già assistendo all’emergere di un nuovo ordine politico e sociale. Il patto di cittadinanza, che in passato è stato un fattore determinante per i movimenti d’indipendenza, sta riprendendo vita nell’attuale desiderio dei popoli arabi per la libertà, la dignità e la democrazia.

E’ inutile dire che il futuro dei cristiani nel mondo arabo dipende non solo dal contributo che essi sono capaci di dare, ma anche dall’attenzione dei loro compagni e concittadini musulmani. I cristiani meritano, ma devono essere anche degni, di un’attenzione che non è accondiscendenza, ma deve essere motivata dalla solidarietà fondata sul bene comune e sulla sensibilità per la ricchezza di un pluralismo che potrebbe risparmiare al mondo arabo il triste volto dell’uniformità.

 
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