NIGERIA – ( 15 Maggio )

Stato d’emergenza in Nigeria, massiccio dispiegamento di militari contro Boko Haram



“Boko Haram ci ha dichiarato guerra”: lo ha detto il presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, che ha proclamato lo stato d’emergenza in tre Stati settentrionali, inviando nuove forze militari contro la setta islamista. Scettici sull’escalation militare vari politici locali e anche l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Kaigama, che ha ricordato la poca efficacia di simili misure in passato. “Non so se questo provvedimento porterà in breve tempo ad una riduzione delle attività criminali e a ottenere una maggiore sicurezza”, ha affermato il presule, che però – riporta l’agenzia Fides – resta in attesa di conoscere “i dettagli di questa iniziativa”. Davide Maggiore ha chiesto a Marco Massoni, direttore di ricerca per l’Africa del Centro militare di studi strategici, che significato ha la decisione del presidente nigeriano:RealAudioMP3

R. – È un segnale che va in una duplice direzione. Verso l’esterno, nei confronti degli altri Paesi africani e della Comunità internazionale, a testimonianza della capacità di Goodluck Jonathan di potersi presentare come candidato credibile per le prossime elezioni presidenziali, in calendario fra due anni, nel 2015. Questo si lega direttamente a questioni di politica interna: la legittimità sempre della sua candidatura, vista dal cartello delle opposizioni nigeriane che si sono riunite e trovano ovviamente terreno fertile anche presso quegli Stati federali del Nord dove Boko Haram è particolarmente attivo. Il rischio che l’opposizione possa raggiungere la presidenza potrebbe essere uno dei motivi per farsi vedere come ‘uomo forte’.

D. – Abbiamo parlato di un segnale rivolto anche alle classi politiche del Nord, tuttavia le prima risposte non sembrano essere state positive per Goodluck Jonathan …

R. – In Nigeria il ricambio del governo e la provenienza – degli stati meridionali, degli stati settentrionali – è al centro delle discussioni di politica interna da sempre. Un altro aspetto fondamentale è che comunque la Nigeria sembra uno Stato debole, rispetto al contesto in cui si trova, e vive – soprattutto la parte settentrionale – lungo la linea di faglia dello scontro anche con i qaedisti e i jihadisti che hanno favorito la secessione lo scorso anno della parte settentrionale del Mali. Costoro sono sicuramente interessati a stringere alleanze, armandosi sempre più.

D. – A livello del governo nigeriano, fino a poche settimane fa la soluzione più probabile sembrava però un’amnistia per quei militanti di Boko Haram disposti a rinunciare alla violenza. Perché questo cambio di strategia? Si può pensare ad un’influenza dell’elemento militare?

R. – E’ molto verosimile che la componente delle forze armate insista per avere una maggiore visibilità. Un’amnistia con il conseguente rilascio di 400 prigionieri era stata ventilata in marzo in primo luogo dal sultano di Sokoto, una delle massime autorità islamiche nella Nigeria settentrionale. In un primo momento aveva visto una certa reticenza da parte delle autorità federali e dello stesso presidente Goodluck Jonathan, ma poi ha visto il consenso crescente da parte di tutta una serie di altri attori della società civile nigeriana, tra cui anche molti leader religiosi. Ha incominciato ad essere accolta come possibile via per una soluzione. Probabilmente Goodluck Jonathan ha accettato l’ipotesi – perché molto supportata da altri – di lavorare su un’amnistia, ma non era la sua strategia principale.

D. – L’intervento militare però rischia di non essere risolutivo. E non c’è il pericolo che ad un’emergenza già in corso nelle regioni del Nord, se ne aggiunga semplicemente un’altra?

R. – Senza dubbio. Il tentativo di un comitato “ad hoc” che lavorasse sull’amnistia evidentemente è stato un “coup de théâtre”: le forze armate nigeriane sono le più importanti dell’area, vedono un coinvolgimento poco diretto nelle operazioni che la comunità internazionale ha favorito nel Mali e vogliono avere maggiore voce in capitolo. Paradossalmente la vogliono avere inizialmente per questioni interne, ma per ricordare ai Paesi confinanti e alla comunità internazionale che sono loro che dovrebbero fare la differenza in altri contesti prossimi o confinanti.

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del sito Radio Vaticana
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