NIGERIA – ( 19 Febbraio 2015 )

RINVIO DI SEI SETTIMANE

Al voto in Nigeria: nell’agenda sicurezza ed economia
 
Il missionario salesiano padre Italo Spagnolo sulla minaccia di Boko Haram: “Secondo alcuni commentatori, tra le gerarchie militari e nel governo attuale non ci sono l’unione e la determinazione che servirebbero per risolvere questo problema di sicurezza che è un punto oscuro della vita nazionale”. Intanto cresce anche l’incertezza economica legata al calo del prezzo del petrolio
Davide Maggiore

 
Sei settimane. Sei settimane di rinvio delle attese elezioni generali nigeriane, previste inizialmente per il 14 febbraio e che si terranno, invece, il 28 marzo. Ma anche sei settimane “per sconfiggere Boko Haram”, come ha assicurato Sambo Dasuki, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente uscente, Goodluck Jonathan. Le azioni della setta estremista – mai interrotte e che anzi si sono ulteriormente estese anche oltre i confini nigeriani nelle ultime settimane – e la chiamata alle urne sono in effetti due temi inscindibili per i cittadini del più popoloso Paese d’Africa, anche nelle aree dove la minaccia degli attentati non è mai arrivata.
 
Politica e sicurezza. “In questa regione – dice dalla città sudoccidentale di Akure il missionario salesiano padre Italo Spagnolo – il problema della sicurezza non esiste direttamente, ma a livello nazionale questo è certamente uno dei temi ricorrenti: la stampa parla continuamente di attacchi, morti e villaggi presi”. Da tutta la Nigeria, insomma, si guarda ai tre stati del nordest dove la presenza dei fondamentalisti è più forte: Yobe, Adamawa e Borno. La possibilità che anche la capitale di quest’ultimo stato, Maiduguri “possa un giorno cedere è un problema sentito – prosegue padre Spagnolo – quindi anche se il rischio non riguarda direttamente la gente di qui, è chiaro che viene percepito”. La minaccia di Boko Haram, insomma, “è all’ordine del giorno, è una questione irrisolta e sarà difficile risolverla in poco tempo”. Qui sta la connessione con le elezioni “perché secondo alcuni commentatori, tra le gerarchie militari e nel governo attuale non ci sono l’unione e la determinazione che servirebbero per risolvere questo problema di sicurezza che è un punto oscuro della vita nazionale”. Proprio la necessità di combattere gli estremisti – non potendo quindi impiegare i soldati per presidiare i seggi – è stata una delle motivazioni fornite dalle autorità per posporre un voto che, comunque, si annuncia incerto. In lizza, oltre all’uscente Jonathan col suo People’s democratic party (Pdp), c’è anche l’ex generale (e dittatore militare) Muhammadu Buhari. Un musulmano del nord (mentre cristiano del sud è Jonathan) che si candida per l’All Progressives Congress (Apc) d’opposizione e che al momento del rinvio sembrava in rimonta. Per questo, nota padre Spagnolo, “alcuni pensano che ci sia la necessità di guadagnare tempo da parte del partito di governo”, che ha motivato la decisione anche con ragioni tecniche legate alla distribuzione delle nuove tessere elettorali elettroniche.
 
Economia in difficoltà. Difficile pensare, però, che ricevere le cosiddette “permanent voter cards” sia la preoccupazione principale dei circa 300mila nigeriani che si trovano nei campi per sfollati dopo essere fuggiti dalle violenze di Boko Haram, mentre altre 238mila persone sono assistite nei Paesi confinanti dal Programma alimentare mondiale. Né quella per la sicurezza è l’unica preoccupazione diffusa tra la gente, ricorda il salesiano: “Temi come corruzione e povertà, le infrastrutture, l’elettricità, le strade che mancano o sono carenti, restano problemi all’ordine del giorno, per di più destinati a tornare a galla, perché gli sforzi che si sono fatti finora non sembrano sufficienti”. Ai problemi di sempre, poi si unisce anche l’incertezza economica degli ultimi mesi. Il calo del prezzo del petrolio ha messo in difficoltà la Nigeria (che ne è il primo produttore continentale) come altri Paesi africani e ad aggravare la situazione è intervenuto il crollo del valore del naira, la moneta locale, che ha sfondato la soglia simbolica di 200 per un dollaro, mentre la banca centrale spende l’equivalente di 110 milioni di dollari al giorno per tentare di arrestare la tendenza. “Le ripercussioni sulla vita della gente comune, che già soffre, sono immediate e tremende”, testimonia Spagnolo. È anche per questo, ritiene, che “l’atteggiamento dominante è di indecisione, di stanchezza: ci sarebbe una certa volontà politica di cambiare, ma non si sa come, perché non si sa se l’alternativa sarà veramente migliore”. A incidere sulle prospettive future, conclude il missionario, è infine un altro fattore: “La Nigeria è una nazione frammentata tra varie popolazioni e la storia passata fa pesare queste differenze, quindi è difficile trovare una soluzione politica ottimale per tutti”.
 
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