PAKISTAN – ( 11 Ottobre )

MALALA YOUSAFZAI
 
Il coraggio di cambiare In Pakistan la lotta per l’istruzione delle donne
 
Parla Shahid Mobeen, docente di pensiero e religione islamica alla Lateranense: “È una ragazza che porta avanti una forte testimonianza. Mi auguro che i giovani del Pakistan possano imparare da lei, per aiutare la crescita di tutti i cittadini, a prescindere dalla fede a cui appartengono”. Quindi un pensiero a Rimsha Masih e Asia Bibi
Patrizia Caiffa

 
Il mondo la ricorda come l’adolescente gravemente ferita dai talebani in Pakistan mentre tornava da scuola. Ma lei vorrebbe essere ricordata come colei che lotta e vince per il diritto all’istruzione delle donne nel suo Paese. Lo ha ripetuto più volte e in diverse sedi importanti, tra cui l’Onu, Malala Yousafzai, che oggi ha 16 anni e ieri ha ricevuto dal Parlamento europeo il premio Sakharov per la libertà di pensiero. Le sarà consegnato ufficialmente il 20 novembre a Strasburgo. Malala fu ferita da un proiettile il 9 ottobre del 2012. Un giovane miliziano dei talebani le sparò al collo e alla testa. I talebani, che continuano a minacciarla, la volevano punire per aver avviato, in un blog sotto pseudonimo, una battaglia per il riconoscimento dei diritti all’istruzione, alla libertà e alla pari dignità delle donne pakistane. Ricoverata all’ospedale Queen Elizabeth di Birmingham, in Gran Bretagna, è stata dimessa l’8 febbraio scorso. Malala è stata proposta anche nella rosa di candidati del Premio Nobel per la pace, assegnato oggi all’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche). Ne abbiamo parlato con Shahid Mobeen, docente di pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense e fondatore dell’Associazione pakistani cristiani in Italia.
 
Cosa rappresenta per il Pakistan questo importante riconoscimento a Malala?
“È un gesto importante per riconoscere il servizio che Malala dà per contribuire all’educazione delle donne in Pakistan. Perché è proprio dell’educazione che ha più bisogno il nostro Paese. Perché la cultura della ‘guerra santa’ creata dai mujaheddin negli anni ‘70 e ‘80 è stata fomentata proprio tramite l’educazione. Di conseguenza ha creato i talebani di oggi. Per liberarsi da questo fanatismo, serve l’educazione. Malala, vittima dei talebani perché andava a scuola e parlava dell’educazione femminile, è un simbolo di coraggio. È una ragazza che porta avanti una forte testimonianza. Mi auguro che i giovani del Pakistan possano imparare da lei, per aiutare la crescita di tutti i cittadini, a prescindere dalla fede a cui appartengono”.
 
Per le donne l’accesso all’istruzione è difficile in tutto il Pakistan o solo in alcune zone?
“Il diritto all’educazione per tutti, uomini e donne, è presente nella Costituzione pakistana. Però allo stesso tempo, rispetto a città come Lahore, Karachi, Islamabad, ci sono problemi culturali nelle zone tribali. Nella cultura della valle dello Swat, da cui proviene Malala, c’è maggiore difficoltà. Non è un caso che il padre sia un insegnante: capisce l’importanza dell’educazione e vuole che i figli e le figlie studino. La Costituzione pakistana lo prevede, ma per fattori culturali locali alcune volte diventa difficile. Molti genitori pensano che non valga la pena far studiare le ragazze perché poi dovranno sposarsi, preferiscono spendere soldi sull’educazione dei figli, perché poi avranno un lavoro migliore grazie allo studio e loro potranno passare gli ultimi giorni della vita con maggiore serenità. Però spesso dimenticano che ogni figlio o figlia è un dono di Dio, come si dice sempre in Pakistan. Bisogna dare pari opportunità a tutti”.
 
Malala è un esempio di come la libertà di pensiero sia uno dei diritti e dei valori più alti. Che legame vede con le difficoltà dei cristiani pakistani a vivere senza discriminazioni la loro religione?
“In effetti, quando Malala è stata ferita gravemente dai talebani, tutti erano d’accordo per portarla in Inghilterra, curarla e salvarle la vita. È un gesto lodevole. Ma non ho visto lo stesso tipo di disponibilità nel caso di Rimsha Masih, la ragazza cattolica disabile mentale, incarcerata lo scorso anno perché falsamente accusata di blasfemia dall’imam Khalid Chishti, che aveva manomesso le prove. Oggi l’imam Chishti è libero su cauzione. Noi abbiamo assistito Rimsha insieme ad alcuni organi del governo pakistano. C’è stata una enorme lotta internazionale per liberarla su cauzione, anche grazie a 10mila euro arrivati dagli amici italiani. Oggi Rimsha vive tranquillamente, insieme alla sua famiglia, in Canada. Anche se riconosco profondamente il valore del gesto di Malala per l’educazione, che è un fattore importantissimo, mi domando perché non c’è stata pari mobilitazione internazionale anche per Rimsha, che non poteva studiare perché il padre non aveva i mezzi per mandarla nelle scuole di Islamabad”.
 
Parlando di donne pakistane perseguitate ingiustamente: ci sono novità sul caso di Asia Bibi, la madre di cinque figli condannata a morte perché accusata di blasfemia?
“L’unica cosa che possiamo dire è che è stata trasferita in un’altra prigione, speriamo ci possa essere una possibilità di liberazione, perché Asia Bibi è innocente. La sua questione è molto diversa da quella di Malala, perché riguarda la libertà religiosa e pari dignità nella società. La lotta di Malala per l’educazione femminile in Pakistan è molto importante, infatti la comunità internazionale si è mobilitata. L’unica domanda che mi pongo è: quali sono le possibilità educative offerte anche alle minoranze religiose? Spesso ciò che viene dalla comunità internazionale per lo sviluppo del Pakistan, per i poveri, non è distribuito in maniera capillare. Le minoranze religiose sono spesso dimenticate”.
 
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