Libro documentatissimo e sorprendente, che colpisce per la lettura innovativa alla quale viene sottoposto il fenomeno delle cosiddette Primavere arabe. «Lo so, molto è stato scritto e pubblicato sullargomento ammette lautore , ma nel complesso si è trattato di analisi deludenti, che si limitavano ad amplificare il contenuto dei notiziari. Come se, per fare un esempio, la rivolta di piazza Tahrir nascesse lì, in quel momento. Per capire bisogna invece tornare indietro nel tempo, fino alla metà dellOttocento».
Bè, qualcosa si impara anche se ci si ferma agli anni Sessanta del secolo scorso, no?
«Si tratta di uno snodo decisivo. In quellepoca i giovani dellOccidente trovano una dimensione universale, coniando il linguaggio di una ribellione che riesce a infrangere i confini nazionali. Più ancora del Sessantotto francese, è la guerra in Vietnam a dare slancio a questa controcultura il cui eco (parlo per esperienza personale) arriva fin nelle università algerine dellepoca».
Con quali risultati?
«Molto modesti, perché noi giovani arabi, allora, avevamo unaltra guerra a cui pensare, quella israelo-palestinese. A confronto del Vietnam, ci sembrava un conflitto minore, su scala regionale, forse addirittura etnico. Incapace, come si è dimostrato in seguito, di suscitare una controcultura degna di questo nome. Il fenomeno si sta ripetendo oggi: i ragazzi che si sono ribellati in Tunisia, in Egitto e altrove vivono in una condizione di solitudine, hanno limpressione di non essere capiti dallaltra parte del Mediterraneo, figuriamoci se possono sperare di far arrivare la loro voce al di là dellAtlantico».
Lopinione pubblica internazionale è davvero così distratta?
«Lo è senza dubbio quella italiana. Trovo molto grave linsensibilità che circonda i giovani arabi che già vivono in questo Paese e che, presto o tardi, chiederanno cittadinanza. Non ci si può accontentare di un dialogo impostato solo su basi teoriche, occorre spostarsi sul piano delle scelte sociali e culturali per portare alla luce un disagio che, ora come ora, è invisibile, nascosto. A incontrarli per strada, i maghrebini sembrano uguali agli altri ragazzi: indossano i jeans, amano i videogiochi. Non viene mai considerato, purtroppo, il differenziale storico che incombe su di loro».
Eppure per le Primavere è stato fondamentale lapporto di Internet…
«Solo se ci atteniamo alla versione corrente, che non condivido affatto. In questa fase il web non produce pensiero, si colloca nella dimensione temporale dellimmediatezza e della dilatazione, alla quale è estranea qualsiasi possibilità di sedimentazione e approfondimento. È anche per questo che nei Paesi arabi la rivolta non riesce a generare nuovi leader. Non escludo che, da qui a qualche decennio, anche la Rete sviluppi una sua profondità culturale, ma in questo frangente mi pare che la comunicazione digitale, con la sua vicinanza illusoria, continui a sancire una distanza incolmabile. Quel che manca è una riflessione sul tempo, anzi su quel tempo nel tempo che è il vero luogo della crescita personale».
Come mai nel libro lei torna così spesso sulla questione femminile nel mondo arabo?
«Dal mio punto di vista è il problema centrale, il crocevia di tutte le differenze che rischiano altrimenti di essere sacrificate a unapplicazione soltanto formale del concetto di democrazia. Ho voluto che, in appendice al saggio, figurasse la prima traduzione in lingua occidentale della bozza di Costituzione dello Stato del Califfato elaborata dai salafiti tunisini. Un documento impressionante che, sotto la parvenza esteriore di una Carta simile a quelle occidentali, non fa altro che sottolineare per pagine e pagine lo stesso concetto: la democrazia araba è qualcosa che si applica esclusivamente agli arabi, purché islamici e maschi. Già adesso in Egitto una donna non può accedere alla magistratura, perché altrimenti si troverebbe a emettere sentenze su imputati uomini. In quanto lingua della rivelazione, poi, larabo può essere insegnato solo dai musulmani».
Che pericolo vede in tutto questo?
«Nei mesi scorsi abbiamo assistito a un primo cortocircuito, per cui alle Primavere arabe ha fatto seguito laffermazione elettorale dei fondamentalisti. Il passaggio ulteriore potrebbe consistere nella crescita esponenziale di gruppi ultraradicali, prigionieri di un passato mitico, che esiste unicamente nella loro fantasia. Il grande Islam medievale è stato tuttaltro: una stagione in cui il rispetto delle differenze e delle minoranze ha portato al costituirsi di un pensiero filosofico libero e originale».
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/intervista_Allam.aspx#