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SAN FRANCESCO/ISLAM – (11 Luglio 2019)

Verso il Meeting. Francesco, il Sultano e le sorgenti della fede


Giorgio Paolucci giovedì 11 luglio 2019
Lo spettacolo di Cenci dedicato all’incontro di 800 anni fa e che evoca anche Christian de Chergé debutta domani a Bertinoro; sarà poi protagonista a Rimini dal 18 al 24 agosto
Valeria Kadija Collina e Mirna Kassis in “Francesco e il Sultano Ainalsharaa – Il pozzo dei poeti”

Valeria Kadija Collina e Mirna Kassis in “Francesco e il Sultano Ainalsharaa – Il pozzo dei poeti”

Cosa abitava nel cuore e nella mente di Francesco d’Assisi e di Malik Al-Kamil, sultano di Egitto e di Siria, quando si incontrarono ottocento anni fa a Damietta? Un desiderio di conoscersi, una curiosità verso l’altro che certo non andava per la maggiore nel 1219, nel pieno della quinta crociata. E che anche oggi farebbe gridare allo scandalo chi preferisce percorrere la strada breve del conflitto identitario e della demonizzazione dell’avversario rispetto al sentiero impegnativo di un dialogo franco e aperto, senza maschere, in cui ciascuno gioca fino in fondo la propria identità. L’eco di quell’incontro risuona potente, come se riaccadesse sotto i nostri occhi, nello spettacolo Francesco e il Sultano. Ainalsharaa – Il pozzo dei poeti, in prima nazionale domani alle 21 nella splendida cornice della Rocca Vescovile di Bertinoro (Forlì-Cesena). Protagoniste due donne che hanno alle spalle storie dure, intrise di dolore, speranza e desiderio di ricominciare. Una è Valeria Kadija Collina, bolognese, una passione per il teatro che risale agli anni della militanza nel femminismo, convertita all’islam, madre di Youssef, uno degli autori dell’attentato al London Bridge di Londra del 3 giugno 2017, fondatrice dell’associazione Rahma per la promozione dell’integrazione e la lotta alla radicalizzazione dei giovani musulmani in Italia. L’altra, Mirna Kassis, è originaria di Damasco dove si è diplomata in canto lirico, specializzata in musica araba tradizionale, ha alle spalle una vasta attività concertistica e porta nel cuore le ferite di una guerra che sta ancora dilaniando la sua terra.

Due donne segnate dalla sofferenza e insieme dal desiderio di affrontare l’esistenza e il rapporto con ‘l’altro’ con lo stesso sguardo di Francesco e di Malik Al-Kamil. Lo spettacolo è un viaggio poetico, con balzi tra il racconto storico e l’introspezione, tra il Duecento e la contemporaneità. L’interpretazione recitativa asciutta della Collina dialoga con il canto espressivo e multiforme di Mirna Kassis, si alternano brani recitati e cantati, musica e proiezioni di immagini. Ainalsharaa è il nome del paese sulle montagne siriane, non lontano da Damasco, dove Mirna Kassis viveva con la famiglia: il nome significa ‘il pozzo dei poeti’ e identifica la fonte dove gli abitanti del luogo attingevano l’acqua, luogo di incontro tra persone di diversa cultura e religione. «L’acqua è un elemen- to che abbiamo valorizzato – spiega Otello Cenci, che ha curato la regia e la drammaturgia – perché ha un significato speciale nella tradizione orientale e quindi sia nella cultura islamica sia in quella cristiana. Il nostro lavoro parte dal convincimento che un dialogo autentico si fonda sulle convinzioni profonde degli interlocutori e insieme sulla disponibilità all’ascolto, sul desiderio di incontrare l’altro per conoscere di più se stesso, sulla consapevolezza che la verità è qualcosa di più grande di noi, che non possiamo illuderci di possedere, di chiudere nella gabbia dei nostri progetti». Giampiero Pizzol è l’autore del testo, frutto di un accurato studio delle fonti che si è potuto avvalere di varie realtà che hanno fornito il loro supporto per una corretta interpretazione e hanno creduto in un progetto così ardito: il Museo Interreligioso di Bertinoro, la Comunità religiosa islamica italiana, la Custodia di Terra Santa, i Cammini Francescani.

Lo spettacolo è allestito nel quadro della terza edizione del Festival della vita in ricerca, promosso dalla Fondazione Museo Interreligioso di Bertinoro e che si conclude sabato 13. «Lo proponiamo come un’occasione per tornare a costruire ponti tra uomini e culture – spiega il direttore Enrico Bertoni –, nella convinzione che l’autentica declinazione di una parola come ‘identità’, oggi molto usata e strumentalizzata, non sta in una autoaffermazione che ha come obiettivo la cancellazione della diversità, ma nella consapevolezza che per realizzare pienamente se stessi è necessario incontrare l’altro». Dopo il debutto, lo spettacolo verrà rappresentato anche durante il Meeting di Rimini (18-24 agosto) e, auspica Cenci, «vista la sua originalità, il momento storico in cui va in scena e l’allestimento agile e leggero, ci auguriamo che possa essere ospitato in teatri, chiese, piazze, carceri e salotti privati, toccando il cuore degli spettatori come ha toccato il nostro. È stata un’avventura artistica e umana insieme, che ha riunito persone di tradizioni e sensibilità diverse ma accomunate dal desiderio di andare incontro all’altro per conoscere di più se stessi». È il desiderio che ha mosso anche Valeria Kadija Collina, una madre che ha potuto risalire dall’abisso di dolore in cui era precipitata dopo la morte del figlio percorrendo un cammino fatto di purificazione personale, di rivisitazione degli aspetti più controversi dell’islam e «di rapporti stretti con tanti amici cristiani che hanno condiviso il mio travaglio interiore e mi hanno offerto un’amicizia capace di dare una luce nuova all’esistenza».

La Collina ricorda un episodio che ha inciso profondamente nella sua visione dei rapporti tra persone che percorrono un autentico cammino di fede. Viene raccontato nella biografia di Christian de Chergé, il priore del monastero di Tibhirine ucciso insieme ad altri sei monaci nel 1996, nel contesto della guerra civile che infuriava in Algeria. Un giorno Mohammed, un abitante del villaggio vicino al monastero con cui era nata un’amicizia ma che da qualche tempo il monaco non frequentava, usò un’immagine evocativa per sollecitarlo ad incontrarsi nuovamente: «È molto tempo che noi non scaviamo più il nostro pozzo! ». «L’immagine è rimasta – ricordava De Chergé -. Noi la usiamo quando sentiamo il bisogno di comunicare in profondità. Una volta gli ho posto la domanda: ‘E al fondo del nostro pozzo che cosa troveremo? Dell’acqua musulmana o dell’acqua cristiana?’. Lui mi ha guardato tra il divertito e l’amareggiato: ‘Proprio tu, dopo tanto tempo che camminiamo insieme, mi poni ancora questa domanda! Tu lo sai, al fondo di questo pozzo ciò che si trova è l’acqua di Dio’».

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