SIRIA – ( 23 Gennaio )

Siria. Assad accusa la Turchia: “accoglie i terroristi”. Ban Ki Moon: “Poche speranze per una risoluzione della guerra”.



“Non vedo molte speranze per una risoluzione del conflitto in Siria”. Così il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, che ha parlato di “milioni di persone in lotta per la sopravvivenza”. Intanto proseguono i combattimenti, con decine di morti in tutto il Paese. E si riaccendono le polemiche con la Turchia. Il servizio è di Marina Calculli:RealAudioMP3 

Secondo il presidente siriano Bashar al-Assad “la Turchia è direttamente responsabile del massacro che sta avvenendo in Siria”. Non usa mezzi termini il raìs all’indomani dell’arrivo di nuovi missili Patriot in Turchia, chiesti da Ankara alla NATO proprio in funzione di difesa anti-siriana. Bashar ha poi ribadito che in Siria “non c’è una rivoluzione e ciò che accade non ha a che fare con la primavera araba. Si tratta piuttosto di una guerra regionale e internazionale contro terroristi inviati dai paesi vicini che vogliono distruggere la Siria”. Sempre più debole strategicamente inoltre, il regime ha creato nuove milizie lealiste, parallele all’esercito. Si tratta di battaglioni di civili, in azione in realtà da tempo, ma ora formalizzati nell’ “Esercito di difesa nazionale”. Tra queste ci sono anche squadre femminili, donne che da 18 a 50 anni hanno imbracciato le armi, dopo aver giurato fedeltà a Bashar. Il regime però – stando a quanto dichiarato dagli stessi ribelli ad un quotidiano turco – non può usare armi chimiche senza l’ok della Russia. C’è un accordo vincolante tra i due paesi”. La guerra civile, tuttavia, si incancrenisce sempre più. Da New York Ban Ki Moon ha detto di “non avere speranze in una risoluzione immediata del conflitto”.


E intanto resta gravissima l’emergenza umanitaria, oltre 12 mila profughi sono ammassati in queste ore al confine con la Giordania. Cecilia Seppia ha raccolto la testimonianza della dottoressa Fausta Micheletta, di Medici senza frontiere, appena rientrata dalla Siria: RealAudioMP3 

R. – Per quello che ho visto, e che mi ha scioccato sia da un punto di vista umano che professionale, è che la maggior parte dei feriti che ho assistito erano feriti civili, quindi vittime di bombardamenti sulle città e bisognosi di un’assistenza sanitaria che in questo momento è difficile da avere nel Paese. 

D. – Quando i feriti arrivano da voi in che condizioni sono?

R. – In genere i feriti, nella mia esperienza, arrivano tutti insieme. Nel senso che il primo bombardamento è quello che crea più vittime, perché trova la popolazione per strada, perché la trova “impreparata”, anche se sono preparati perché sono mesi che vengono bombardati. Quindi, in genere il flusso è l’arrivo da 4 a 12-15 feriti, tutti insieme. Quello che mi ha colpito è che in genere arrivano famiglie intere che vengono colpite, perché magari durante il corso di un bombardamento crolla un tetto del palazzo e quindi hanno ferite da trauma al chiuso, oppure perché sono per strada e vengono colpite dai frammenti di bomba o di mortaio che erano sul suolo.

D. – Tra gli altri problemi che in questo momento la popolazione sta affrontando, c’è l’emergenza freddo, la fame… Insomma, i bisogni sanitari stanno crescendo: voi come li state fronteggiando?

R. – Da un punto di vista sanitario, oltre ad essere presenti in ospedali del nord, nordest della Siria, offriamo un supporto logistico. Per esempio, l’ospedale nel quale ho lavorato io forniva supporto logistico ai piccoli ospedali da campo gestiti dal personale sanitario locale e nelle città più vicine al fronte. Supporto logistico vuol dire invio di materiale medico: dalle garze, ai farmaci, a tutto quello che è necessario per stabilizzare il paziente e permettere il trasferimento verso il nostro ospedale. O anche un supporto che può essere legato alla fornitura di coperte perché, come accennava, è particolarmente freddo e oltre a essere freddo non c’è elettricità e non ci sono riscaldamenti.

D. – Tra l’altro voi lavorate solo in zone controllate dai ribelli e ci sono molte persone che non riuscite a raggiungere…

R. – Questo ci tengo a sottolinearlo, nel senso che Msf lavora nel nord del Paese, perché nonostante fin dall’inizio sia stata chiesta l’autorizzazione al governo siriano per una nostra presenza ufficiale nel Paese, l’autorizzazione non è stata mai concessa. Quindi, siamo in grado di assistere la popolazione civile soltanto nelle aree controllate dai ribelli e purtroppo non ancora nelle aree controllate dai governativi, dove pure sicuramente c’è bisogno di assistenza sanitaria alla popolazione.

D. – Qual è la percezione che ha la gente nei confronti della comunità internazionale, ma anche delle ong come Msf, che operano sul terreno?

R. – Nell’immaginario della popolazione locale, c’è paura nei confronti della presenza di un ospedale. Per esempio, nella comunità che ospita il nostro ospedale è vietato fare fotografie perché l’ospedale viene considerato un target, ovvero un obiettivo dei bombardamenti e quindi nelle zone di fronte, la maggior parte degli ospedali da campo sono nei sotterranei dei palazzi, per essere sicuri nel caso di un bombardamento, e quindi alla difficoltà di una guerra si aggiunge anche la paura da parte della popolazione civile di essere accolta e curata all’interno di un ospedale. Sicuramente, c’è bisogno che tutta la comunità internazionale intensifichi il bisogno sia della popolazione all’interno della Siria, sia della popolazione che dalla Siria è scappata.

 
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