SIRIA – (27 Giugno 2017)

Siria. La Casa Bianca: Assad pagherà caro un nuovo attacco chimico


Luca Geronico martedì 27 giugno 2017
 
Washington: identificati «possibili preparativi» di un raid. Mosca: minacce inaccettabili. Bombe Usa su un carcere del Daesh: almeno 57 detenuti uccisi
 
Il presidente siriano Bashar el-Assad ad Hama per la festa di Eid al-Fitr (Ap)

Il presidente siriano Bashar el-Assad ad Hama per la festa di Eid al-Fitr (Ap)

Con l’assedio stretto su Raqqa, la “capitale” siriana del Daesh, e mentre per la liberazione definitiva di Mosul in Iraq potrebbe essere questione di pochi giorni, inizia l’inevitabile quanto intricatissima resa dei conti in Siria: nodo inestricabile, per tutti i sei anni di guerra civile, il futuro di Bashar el-Assad.

Per il presidente siriano, riapparso in pubblico domenica scorsa ad Hama per Eid al-Fitr, questa fine di Ramadan è carica di messaggi incrociati fra le superpotenze che ambiscono a fare da arbitro nel dopo-Califfato. Così la telefonata dell’altra notte fra il segretario di Stato Usa Rex Tillerson e il ministro degli Esteri russo Sergeji Lavrov, ufficialmente in vista dei prossimi colloqui di Astana in programma il 4 e 5 luglio, ha subito riacceso tensioni e fatto sfiorare l’incidente diplomatico. Lavrov, spiega una nota del ministero degli esteri russo, ha chiesto a Washington di «adottare le misure necessarie per evitare provocazioni contro le truppe del governo siriano che combattono contro i terroristi».

«Assad pagherà caro un nuovo raid chimico»

Immediata, quanto dura, la replica, della Casa Bianca: se Assad compierà nuovi attacchi chimici, il dittatore e il suo esercito «pagheranno un prezzo pesante». Gli Stati Uniti «hanno identificato i possibili preparativi per un altro attacco con armi chimiche da parte del regime di Assad che probabilmente causerebbe una strage di civili, compresi bambini», si legge in un comunicato della Casa Bianca. Le attività, precisa Washington, «sono simili ai preparativi fatti dal regime prima del suo attacco del 4 aprile». Il 7 aprile gli Usa colpirono la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero decollati i velivoli responsabili dell’attacco chimico contro Khan Sheikhoun. La base venne colpita da 59 missili lanciati dai cacciatorpediniere USS Porter e USS Ross nel Mediterraneo orientale. La Casa Bianca, prosegue il comunicato, ricorda di essere in Siria «per eliminare l’Isis dall’Iraq e dalla Siria», ma di non poter permettere un nuovo attacco con armi chimiche. E poco dopo, segno di una precisa strategia pianificata dagli Usa, un tweet dell’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Nikki Haley: «La responsabilità di nuovi attacchi contro la popolazione siriana verrà addossata ad Assad, ma anche alla Russia e l’Iran, che appoggiano l’uccisione da parte del presidente della sua stessa gente».

Il Cremlino: minacce inaccettabili

Una posizione sulle armi chimiche che sembra avvicinare la Casa Bianca all’Eliseo ora guidato da Emmanuel Macron: la scorsa settimana il neo-presidente francese aveva affermato che la destituzione di Assad in Siria non è una priorità, mentre lo è la stabilità del Paese anche se «armi chimiche e corridoi umanitari» rappresentano una linea rossa.

Altrettanto dura la replica del Cremlino che ha condannato le «inaccettabili minacce» degli Stati Uniti contro il regime siriano. «Non abbiamo nessuna informazione in tal senso», ha precisato il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov a riguardo di possibili raid chimici. «Consideriamo inaccettabili minacce di questo genere alle autorità legittime della Repubblica araba siriana», ha aggiunto Peskov. Poco dopo Assad ha visitato la base aerea russa di Hmeymim nella Siria orientale mentre un comunicato del Pentagono confermava la presenza di attività con armi chimiche nella stessa base di Shayrat.
 

Bombe sul carcere del Daesh: 57 detenuti uccisi

Prime schermaglie in vista di una “liberazione” siriana dal Daesh che inevitabilmente scatenerà una serie di interessi internazionali contrapposti. Il segretario alla Difesa Usa, Jim Mattis, ha infatti precisato che resta aperta la possibilità che gli Stati Uniti forniscano, nel medio termine, armi ed equipaggiamenti alle milizia curde del YPG in Siria che la Turchia considera una formazione terrorista alleata del PKK. Ma la guerra al Califfato non è finita e presenta il suo di «prezzo pesante». Almeno 57 detenuti, denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sono morti in un raid aereo che sarebbe stato realizzato all’alba di lunedì dalla coalizione a guida Usa su un carcere del Daesh ad al-Mayadeen, nell’Est della Siria.

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Il testo originale e completo si trova su:

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/bashar

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