SIRIA – ( 3 Aprile )

Violenza in Siria, si aggrava l’emergenza umanitaria



In Siria è guerra aperta. Anche ieri i combattimenti tra esercito e milizie degli insorti. Sconfinamenti delle violenze anche verso Israele e Libano. Ci riferisce Marina Calculli:RealAudioMP3

L’offensiva dei ribelli su Damasco si fa sempre più incalzante mentre l’esercito fedele al presidente Assad continua a difendere la capitale. Fin da ieri mattina gli scontri sono ripresi nel distretto di Berzeh nella zona nord e a Jobar nell’est. Le forze militari del regime hanno bombardato diversi centri della periferia di Damasco e secondo diverse testimonianze, tra le vittime ci sarebbero anche bambini. Nella zona nord, invece, dove il regime ha in parte perso il controllo del territorio, un commando di uomini armati ha preso in ostaggio i passeggeri di un autobus diretto verso la provincia di Idlib. Mentre la crisi si aggrava, l’emergenza umanitaria rischia di diventare insostenibile. Una testimonianza da Kherbet al-Khaldieh, a nord di Aleppo, riferisce che i profughi si nutrono ormai di erba e raccolgono acqua piovana per sopravvivere. Il governo intanto rilancia la sua propaganda: un video di 14 minuti, visibile su youtube mostra la first lady Asma al-Asad assieme ad alcune madri di soldati uccisi. Asma nel video consola le donne e tutto si conclude con l’inno nazionale.

Intanto aumenta lo sconcerto nella comunità internazionale dopo i dati diffusi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il quale il mese di marzo è stato il più sanguinoso dall’inizio del conflitto. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. – La guerra in Siria è letteralmente un “pozzo senza fondo”: il regime ha armi e le armi arrivano ai ribelli. Inoltre, è uno Stato estremamente composito in cui già le vecchie divisioni erano serie e ora si vanno accentuando e probabilmente – come capita sempre in situazioni di guerra civile totale – se ne aggiungono altre. Si sa che i combattimenti si sono allargati anche al Sud del Paese – finora era molto più coinvolto il Nord – e si sa anche che filtra poco. L’unica notizia, che non so neanche se definire confortante, che arriva dalla Siria è che i siriani stessi dell’una e dell’altra parte non si fidano più di quello che le emittenti del Medio Oriente raccontano. Stanno nascendo giornali che vogliono lavorare in modo indipendente, perché vogliono raccontarsi direttamente e non tramite gli interessi di emittenti che inevitabilmente riflettono potenze estranee.

D. – A fronte dei fallimenti della diplomazia internazionale, secondo lei c’è la sensazione che a questo punto la comunità internazionale rimanga a guardare quasi nella speranza che questo conflitto si esaurisca da solo?

R. – Anche se il conflitto si esaurisse da solo nessuno risolverà il problema di cosa fare dei “pezzi” della Siria. L’unico soggetto che forse può avere un peso – e in qualche modo l’ha dimostrato – può essere la Lega Araba. Una settimana fa non ha lasciato vuoto il posto della Siria, come fece l’anno scorso al summit precedente, ma lo ha dato al capo, o a quello considerato tale dell’opposizione: per la Lega Araba cioè Assad è già passato di scena. Quanto questo poi possa essere utile per una composizione non del conflitto ma dell’opposizione, in modo tale che l’opposizione diventi operativa sia a livello militare – dove in parte lo è già – ma a livello politico, questo veramente non si può sapere.

D. – Intanto, sul terreno la situazione umanitaria sta diventando sempre più difficile. Ci vuole una presa di posizione a questo punto a livello Onu, se non altro?

R. – L’unica vera presa di posizione a livello Onu è dichiarare le cosiddette “no-fly zone”, cioè aree in cui il governo di Assad non può intervenire bombardando, perché buona parte dei combattimenti più micidiali si ha tramite elicotteri o missili. Se fossero dichiarate fuori tiro zone abbastanza grandi da proteggere buona parte della popolazione, e inevitabilmente i ribelli che si rifugerebbero lì, questo abbasserebbe il numero dei morti. La Siria però è un Paese talmente composito che qualunque combattimento coinvolge anche la popolazione intorno e a quel punto nessuno più guarda dove atterrano i colpi. I sopravvissuti sono innanzitutto quelli scappati e in qualche modo – pur con i loro grandi numeri – sono in salvo o in Turchia, o in Giordania. Il vero problema sono i sopravvissuti, o quelli che sopravvivranno all’interno della Siria, perché in ogni caso – qualunque cosa accada – la mappa etnica della Siria cambierà radicalmente. Anche chi sopravvivrà dovrà cambiare o area, o modo di vita, perché ci vorrà molto tempo per ricomporre la Siria anche su nuove linee.

Testo proveniente dalla pagina

 

del sito Radio Vaticana
 
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