Siria, appello da Homs. P. Sahoui: subito aiuti, la gente non ha più nulla per vivere
Si alza la tensione nel nord della Siria a ridosso del confine turco. L’aviazione e l’artiglieria di Ankara hanno sparato contro un convoglio di miliziani qaedisti, mentre ad Aleppo elicotteri di Damasco ieri hanno raso al suolo due palazzine di civili, uccidendo almeno 15 persone, tra cui donne e bambini. Da Ginevra intanto sono giunte notizie di stallo nei negoziati mediati dall’Onu. Muro contro muro tra la delegazione del regime, che chiede la fine del “terrorismo, e quella delle opposizioni, che invoca un governo di transizione. Restano poi in attesa di entrare a Homs i convogli dellOnu carichi di aiuti umanitari per la popolazione assediata da un anno e mezzo. Roberta Gisotti ha intervistato il gesuita padre Ghassan Sahoui, direttore di un Centro educativo proprio a Homs:
R. Accanto a noi, a meno di un chilometro, cè la gente, i nostri amici, sono lì e vivono un tempo difficile, molto difficile, direi, perché non hanno più da mangiare, non hanno quasi niente, ed ora fa freddo e non ci sono medici né medicine: non hanno nulla! Noi viviamo accanto a loro però non possiamo fare niente, solo pregare e sperare che finalmente tutti i responsabili rispondano per aiutare la gente che vive lì.
D. Abbiamo saputo che domenica scorsa cera stato un accordo per liberare almeno le donne e i bambini: un accordo che era stato annunciato a Ginevra dal mediatore internazionale dellOnu e della Lega Araba, Lakdar Brahimi. Voi sapete niente, perché questo accordo sia saltato?
R. Sì, abbiamo sentito che cera qualcosa, però finora non cè niente sul terreno. Sembra ci siano negoziati per liberare tutti i civili allinterno, ma anche che questi negoziati siano difficili e spinosi, perché ogni parte cerca il suo proprio interesse.
D. Quanti sono i civili assediati?
R. Tremila, quattromila persone circa.
D. Lei è direttore di un Centro educativo ad Homs. Come prosegue la vita di tutti i giorni?
R. Noi viviamo, ma sentiamo sempre il fragore del mortaio o di altre armi e avvertiamo sempre che siamo in guerra. Noi proviamo a vivere come al solito, e così la vita va avanti Proviamo ad accogliere la gente, ad aiutarla. Anche i bambini che vengono alla scuola, al centro: proviamo a dar loro qualche piccola cosa per compensare la durezza, la crudeltà della guerra.
D. Tutte le speranze sono quindi riposte in questo momento su Ginevra, perché le parti in conflitto trovino finalmente un modo per liberare la popolazione siriana da questo incubo
R. Infatti. Sì, dobbiamo sperare, però è difficile. Trovare una soluzione che possa accontentare tutte le parti, non è cosa semplice. Speriamo che mettano al primo posto linteresse del popolo siriano, di tutta questa povera gente che soffre ogni giorno, che non ha da mangiare. Non solo a Homs: ci sono altre città, altre zone, ci sono quasi tre milioni di persone che non ricevono niente dellaiuto umanitario I negoziati politici si dice che forse dureranno un anno: ma per laiuto umanitario, non si può attendere tutto questo tempo. Speriamo che in questi giorni ci sia una soluzione e che la gente possa tornare a vivere in modo, diciamo, umano.
Testo proveniente dalla pagina
del sito Radio Vaticana