SIRIA – ( 4 Febbraio )

Siria: stallo negoziale, conflitto infuria. Georgieva (Ue): serve maggiore accesso alle vittime



Nuova impasse della comunità internazionale sulla questione siriana. Dopo la chiusura del primo round di negoziati della Conferenza “Ginevra 2”, le attenzioni delle cancellerie occidentali sono tutte orientate sull’aspetto umanitario. In secondo piano, invece, sono passati i combattimenti, che continuano quotidianamente. La conferma giunge dai dati diffusi stamattina sul mese di gennaio che, con 5.794 morti, è il mese con il più alto numero di uccisioni da quando è esploso il conflitto a marzo del 2011. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell’Islam all’Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – Il dato è sicuramente preoccupante, ma ancora più preoccupante è l’appiattimento sul versante umanitario, che è ovviamente importantissimo. Ma se non si agisce sulle cause che provocano questa tragedia continua, anzi la incrementano, mi sembra addirittura ipocrita.

D. – Intanto, si assiste a una continua frammentazione del fronte anti-Assad, anche questa è una situazione che rende sempre più difficile la mediazione…

R. – Sono cose che abbiamo purtroppo già visto nei Balcani, ma la stessa questione arabo-israeliana, a pensarci bene, è così da decenni. La frammentazione, la nascita di nuove sigle, la degenerazione nel terrorismo gratuito – che non ha nessun progetto se non quello appunto di terrorizzare – è conseguenza di una mancanza di iniziativa su altri fronti, credibile e condivisa. Purtroppo, dalle lezioni della storia non vogliamo apprendere nulla.

D. – La Siria, visti anche gli scarsi risultati raggiunti a Ginevra, è ancora una piccola pedina di un gioco ben più ampio o sta scardinando anche le regole del gioco internazionale?

R. – In parte lo è, perché è così da sempre, lo è l’intera area del Medio Oriente: sono quasi propaggini della Guerra fredda. Certamente, ci sono elementi innovativi ma anche peggiorativi, perché sta assumendo le sembianze di una guerra di religione, che nella Guerra fredda almeno non c’era.

D. – In questa guerra di religione si inserisce anche l’Iran, il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammed Zarif, ha detto che se l’Arabia Saudita convincesse i jihadisti radicali a deporre le armi il governo iraniano si impegnerebbe in prima persona con il presidente Assad per una tregua e per la fine delle ostilità. Quanto questa strada, secondo lei, potrebbe essere percorribile?

R. – Deve essere percorsa assolutamente con il coinvolgimento dell’Iran, che è uno dei grandi partner ed è soprattutto la potenza regionale dell’Asia centrale dal tempo dei greci. Quindi, nessun gioco in Asia centrale può essere fatto lasciando da parte l’Iran. Per fortuna, abbiamo un nuovo leader che ha carte molto più in regola del precedente e non approfittarne sarebbe un delitto.

D. – Anche se quanto accaduto a “Ginevra 2” – prima l’invito rivolto a Teheran, poi il passo indietro dell’Onu – ha creato qualche imbarazzo…

R. – Siamo alle solite: non è stato invitato perché non gradito a qualcuno per altre questioni, tipo quella arabo-israeliana, ma non si può risolvere la questione siriana senza tener conto dell’Iran, alleato storico della “dinastia” degli Assad e vicino – anche dal punto di vista religioso – agli alawiti.

Sullo scenario umanitario in Siria, Davide Maggiore ha intervistato Kristalina Georgieva, commissaria dell’Unione Europea per gli aiuti umanitari, che nella capitale italiana ha partecipato anche al vertice internazionale sul Sahel:RealAudioMP3

R. – The situation there is getting…
La situazione sta diventando sempre peggiore. Sempre più persone hanno bisogno di aiuto e hanno via via meno capacità di resistenza, per l’impatto della guerra. In Europa, siamo stati i più generosi: i nostri popoli hanno fornito, attraverso i bilanci nazionali e la Commissione europea, tre miliardi di dollari e mezzo in aiuti umanitari. Ma il denaro non significa nulla per i bambini, le donne e gli uomini che sono privati dell’assistenza da forze governative o da combattenti dell’opposizione. E l’appello di tutti noi nella comunità internazionale ha avuto lo scopo di fare pressione sulle parti in lotta per un maggiore accesso alle vittime innocenti di questa guerra.

D. – Che ruolo può giocare, in particolare, l’Unione Europea?

R. – The Eu can continue…
L’Unione Europea può continuare e aumentare l’impegno per conto del popolo siriano. Abbiamo visto che l’impegno può portare risultati: per esempio, vaccinazioni antipolio hanno raggiunto oltre tre milioni di bambini. E abbiamo visto, localmente, anche dei cessate-il-fuoco che hanno permesso agli aiuti di arrivare. La questione è come fare questo in modo più profondo, su scala molto più larga.

D. – Venendo allo scenario del Sahel, la sicurezza alimentare è ancora lontana. Nel summit, il Programma alimentare mondiale ha lanciato un’iniziativa, che è stata definita senza precedenti. Quale sarà il ruolo dell’Europa in questa iniziativa?

R. – What we have done…
Quello che abbiamo fatto come Europa è stato aumentare la consapevolezza riguardo alla periodica siccità nella regione del Sahel e riguardo all’instabilità, che è ha causato anche il conflitto in Mali. Questi sono fattori cui possiamo rispondere solo attraverso una strategia globale. Stiamo anche affrontando, insieme al Programma alimentare mondiale, alla Fao e ad altre organizzazioni chiave, i problemi, davvero grandi, che riguardano l’insicurezza alimentare nella regione. Ma riconosciamo che questo non è solo un problema di agricoltura: dobbiamo sostenere un programma globale, che includa la sicurezza sociale, un miglioramento del servizio sanitario e anche una distribuzione regolare del cibo, in maniera che quando la prossima crisi colpirà, saremo pronti.

D. – La Repubblica Centrafricana è sede di un’altra crisi, nello stesso continente. Quali sono i problemi più grandi che l’Unione Europea può contribuire ad affrontare?

R. – We have seen in the Central Africa…
Nella Repubblica Centrafricana, noi abbiamo visto l’effetto dell’abbandono, un abbandono da parte dei leader del Paese, ma anche da parte della comunità internazionale, per decenni. La Repubblica Centrafricana ha ricevuto uno dei più bassi contributi allo sviluppo da parte della comunità internazionale. Se si vuole tornare a una stabilità nel Paese, dobbiamo fare tre cose: primo, investire significativamente nelle forze di sicurezza, e l’Unione Europea sta facendo questo. Secondo, dobbiamo appoggiare la riconciliazione e dobbiamo aiutare a sopravvivere nell’immediato le persone che sono vittime di questa crisi ma, terzo, ci deve essere un investimento a lungo termine nello sviluppo. Lo Stato, infatti, si è dissolto e non tornerà a vivere in un mese o due. Noi abbiamo l’obbligo di pagare i nostri debiti a questo Paese e di muoverci, affinché si vada verso una situazione con istituzioni decenti e decenti mezzi di sostentamento per la popolazione.

Testo proveniente dalla pagina

 

del sito Radio Vaticana
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