SIRIA – (9 Gennaio)

Una religiosa denuncia: In Siria, la guerra delle bugie di Fady Noun

Una religiosa carmelitana, attiva nel Paese in opere umanitarie, madre Agnès-Mariam de la Croix, respinge ogni violenza, sia che provenga dal regime siriano o dagli insorti. “Se continua così, temo il peggio”. Intanto la Lega araba ha deciso ieri al Cairo di continuare e rafforzare la missione degli osservatori, mentre ogni giorno si segnalano morti e scontri fra gruppi armati.

Beirut (AsiaNews) – La Lega araba  ha deciso che la missione dei 67 osservatori mandati in Siria continuerà. Ahmed al-Dabi, il capo della missione, ha presentato ieri ai ministri degli esteri della Lega riuniti al Cairo le sue osservazioni; non ancora un rapporto finale. Al-Dabi ha indicato che le autorità siriane hanno cooperato, anche se non pienamente, alla missione degli osservatori. I rappresentanti dell’Arabia saudita e dal Qatar hanno chiesto il ritiro della missione e maggior pressione sul regime di Damasco. La Lega alla fine ha deciso di mantenere la missione, rafforzandola sia sul piano logistico che finanziario. La Lega si è anche appellata ”al governo siriano e a tutti i gruppi armati affinché fermino immediatamente tutti gli atti di violenza”. In una bozza della dichiarazione conclusiva c’è un’esortazione-critica anche all’opposizione a cooperare con la missione. Gli inviati della Lega araba si sentono ”molestati” non solo dal regime, ma anche dai suoi avversari i quali puntano ad un fallimento degli osservatori. Intanto emergoo sempre più evidenze di una lotta armata fra due fazioni, quella dell’esercito regolare e quella dei disertori. In questa situazione vi sono diverse vittime, fra cui la verità e la popolazione siriana, costretta ad assistere a un conflitto che si consuma sulla propria testa. Anche i cristiani – spesso timidi nel denunciare le violenze di Assad e timorosi di un futuro in mano all’islam integralista, rimangono vittime della polarizzazione. E’ quanto denuncia la suora carmelitana madre Agnès-Mariam de la Croix, in un dialogo con l’esperto giornalista Fady Noun, che pubblichiamo di seguito.


La primavera araba è un fenomeno complesso. E’ allo stesso tempo rivoluzione sociale, cambiamento demografico e culturale, rivolta contro le dittature e guerra mediatica. Su questo piano, la partita che si gioca in questo momento in Siria è assolutamente squilibrata, e il regime siriano ne è ben cosciente. Su un piano ufficiale, siamo in presenza di un sistema di comunicazione sclerotizzato che si basa sulla sola propaganda. Dall’altra parte abbiamo un sistema sofisticato, posto in opera in fretta ma con efficacia, non senza aiuto dall’estero; un sistema di collegamenti mediatici che amplificano, funzionano in circolo e si basano sui telefoni cellulari, i siti sociali e le reti satellitari. Senza tener conto, beninteso delle reti diplomatiche e politiche delle potenze occidentali, dei Paesi del Golfo, della Turchia e dell’Onu.

Sola dimenticata, la popolazione civile di questo Paese di 23 milioni di abitanti. Una maggioranza silenziosa che, come sempre, non si colloca in nessun campo, ma assiste passivamente, impotente, alle minoranze attive che giocano sul suo destino, facendole violenza. Si tratta di un’insurrezione armata? La popolazione serve da scudo umano fra gli antagonisti. Le crudeltà a cui è sottoposta diventano di giorno in giorno più intollerabili. Le sanzioni? E’ lei che ne soffre per prima. Non c’è già più carburante per riscaldarsi e l’inverno è rigoroso. L’isolamento internazionale? E’ il settore dei servizi turistici che è colpito con violenza, e con esso migliaia di impieghi perduti.

Nell’impossibilità di verificare il bilancio delle vittime della rivoluzione siriana fornito da una fonte indipendente, è almeno evidente che quale sia il campo a cui si appartiene, una popolazione indifesa è presa fra due fuochi: quello di una violenza mascherata , associata talvolta all’islamismo “takfirista” (fondamentalisti radicali e violenti, n.d.r) , ma che potrebbe essere anche il risultato di una cinica manipolazione, e quello della repressione brutale del regime, unanimemente condannata. L’Onu parla di circa cinquemila vittime, una cifra fornita dall’opposizione e che è impossibile da verificare, in assenza di una lista credibile dei nomi di queste vittime.

Madre Agnès- Mariam de la Croix, superiora del convento di Qara, a 90 km da Damasco, ha deciso di battersi sui due fronti. Cerca di denunciare sia la disinformazione grave di cui si rendono colpevoli alcuni media, che informano sulla rivoluzione, e la barbarie del sistema che i siriani cercano di rovesciare. Questa neutralità è una posizione difficile da mantenere, e Agnès-Mariam è accusata da alcuni di fare il gioco della dittatura, accusa che rigetta totalmente.

Certo, ha accompagnato in Siria alcuni giornalisti che hanno sconfessato la copertura degli avvenimenti fornita dai media di grande ascolto. Ma ha egualmente lavorato per la venuta in Siria di Barbara Walters, vedette della catena Abc News, che ha saputo mettere in difficoltà il presidente siriano Bashar al-Assad. Nella preoccupazione di dare credibilità ai bilanci delle vittime, madre Agnès-Mariam ha chiesto all’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo (Osdh) tenuto da Ramy Abdel a Londra, di fornirle i nomi delle vittime di cui parla da mesi. Ma l’uomo si è rifiutato.

« Anche se i bilanci sono difficili da stabilire, a distanza, era opportuno denunaciare le cifre proposte dall’Osservatorio come una possibile manipolazione », afferma la religiosa. “Così, all’indomani del mio intervento, l’Osdh ha annunciato la morte di 30 persone in alcune manifestazioni in Siria, quando delle cifre ospedaliere credibili davano atto della morte di tre persone identificate singolarmente”.

Madre Agnès-Mariam offre anche, come esempio di disinformazione, una trasmissione della catena Al-Jazeera, filmata a Homs, e che mostra un bambino ucciso a sangue freddo, e che accusa le forze dell’ordine di averlo abbattuto durante una manifestazione pacifica. La scena mostra la madre di Sari Séoud che piange davanti al corpo inanimato del suo bambino. Le si fa dire che “le forze dell’ordine hanno commesso questo crimine”. “Ora si da’ il caso che conosciamo questa donna, che è la nipote di un tagliatore di pietra, Abou Tony Jammal, che lavora al monastero. Quello che la donna ha detto in realtà è che ‘se le forze dell’ordine fossero state là, suo figlio non sarebbe stato ucciso’”.

Per quanto sia viva la preoccupazione di veridicità che Agnès-Mariam difende, questa resta secondaria rispetto al suo impegno umanitario presso la popolazione civile, un compito impopolare perché apolitico, che non piace né agli uni né agli altri. La superiora del convento di Qara ha indirizzato una lettera aperta al presidente Bashar al-Assad (pubblicata il 5 novembre su ‘L’Orient-Le Jour’) in cui ha chiesto che una missione indipendente possa entrare negli ospedali e che un comitato ad hoc si occupi dei prigionieri rinchiusi indefinitamente nelle prigioni siriane.

“Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha effettuato un’inchiesta negli ospedali. Ma il grande handicap in questo affare, è che questa organizzazione non pubblica rapporti. Ora, quello che è indispensabile è non coprire i crimini, e per questo è necessario che le liste delle vittime o dei prigionieri siano trasparenti, a livello sia dello Stato che dell’opposizione. Ho ottenuto una lista delle vittime preparata dalla Mezzaluna rossa siriana, ma non quella dell’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo basato a Londra, citato dappertutto come sola fonte di informazione in questo campo”.

“Certo, i servizi ufficiali devono rendere conto di tutte le vittime che cadono, e non solamente di quelle delle forze dell’ordine, ma d’altra parte l’opposizione non può più nascondersi dietro bilanci anonimi. Da quando la presenza di gruppi armati al servizio dell’opposizione è diventata un’evidenza internazionalmente, è importante che questi gruppi siano tenuti responsabili dei possibili attacchi ai diritti dell’uomo come il regime siriano che combattono”, afferma madre Agnès-Mariam.

La religiosa carmelitana ha delle riserve su quello che la stampa chiama “Free syrian army”. Mette in causa il comportamento di uomini che assomiglia molto, secondo la religiosa, a quello delle milizie o a delle bande armate che pensano che tutto è loro permesso. Ogni giorno a Homs i rappresentanti di diverse organizzazioni civili devono trattare per ottenere da loro la restituzione, sani e salvi, di decine di civili presi in ostaggio.

“La vigilia di Natale i takfirisri di Homs hanno proibito ai cristiani di esibire i simboli della festa; la popolazione civile è lasciata a se stessa, con forze di polizia impotenti a proteggerla. Inoltre non si può negare che siano in atto regolamenti di conti, sotto la copertura della lotta rivoluzionaria. Si fanno passare per traditori persone che rifiutano di prendere posizione, I loro nomi appaiono sulle liste nere dei comitati rivoluzionari su Facebook. Queste liste compromettono la vita delle persone indicate, che diventano bersagli prioritari di quello che viene chiamato il braccio armato della rivoluzione”.

“Si santifica l’opposizione, ma non siamo ingenui”, esorta madre Agnès-Mariam. “L’appello puro della rivoluzione all’inizio è stato rapidamente deformato da ingerenze straniere, o recuperato a vantaggio di alcuni partiti e organizzazioni. Nel suo primo slancio, la rivoluzione mostrato le sofferenze di un popolo di fronte a un sistema poliziesco che giustificava i mezzi con il fine. Ma per eliminare il regime si sono messi avanti falsi squilibri, e si cerca di destabilizzare una società certo controllata da uno Stato poliziesco, ma che, malgrado tutti i suoi inconvenienti, privilegiava l’appartenenza nazionale alle altre forme di appartenenza identitaria. Non è più una rivoluzione, è una regressione”.

Madre Agnès-Mariam teme anche, oltre agli eccessi degli islamisti,una “quinta colonna” che manipola gli uni e gli altri. “I cristiani hanno smesso di andare alle manifestazioni quando le riunioni hanno cominciato a tenersi nelle moschee e a lanciare slogan islamici. E allo stesso tempo ci si è resi conto, nel bel mezzo di manifestazioni pacifiche, di una quinta colonna che sparava sui due campi”.

“Attentati mirati alternativamente contro alauiti e sunniti acutizzano gli odi, come è successo in Iraq fra sciiti e sunniti”. Secondo la religiosa c’è chi cerca di spingere la Siria verso l’abisso della guerra, civile e confessionale. “Più di duecento cristiani sono stati uccisi nella regione di Homs; non crimini confessionali, ma crudeltà ciniche, destinate a dissuadere i cristiani dal restare neutrali nel conflitto in corso”.

La critica della disinformazione e la paura che “forze occulte” siano all’opera non impedisce a madre Agnès-Mariam di denunciare le pratiche della dittatura siriana. La repressione dell’opposizione è un luogo comune della campagna mediatica, e la religiosa non vi si sofferma, chiedendo l’arrivo di osservatori internazionali. “Le manifestazioni a cui ho potuto assistere erano pacifiche e non sono state molestate dal servizio d’ordine”. Ma comunque attira l’attenzione sulla crudeltà dei moukhabarat, i servizi segreti.

“Da sempre il regime si appoggia su una serie di servi di informazione che si mescolano alla vita della gente. Che sia per motivi legittimi, come la lotta al contrabbando, o per altra ragione, si può essere arrestati, e quando la cosa succede, la sfortuna si abbatte sulla casa. I moukhabarat hanno via libera non solo per arrestare qualcuno, ma anche per arrestare i membri della famiglia e talvolta, come è successo, persone che si trovavano in visita in una casa”. Poi si è spremuti – evita la parola tortura – affinchè si confessi ciò di cui si è accusati, a torto o a ragione. “E il cerchio si chiude. Dal momento che hai confessato, sei dimenticato a tempo indefinito in una prigione. Nessuno osa venire a chiedere notizie di te, e i moukhabarat non si considerano tenuti a fornirne a nessuno, neanche ai magistrati”.

Madre Agnès-Mariam dà conto di un gran numero di persone incarcerate arbitrariamente nelle prigioni siriane, e di prigionieri politici. I più audaci chiedono alla giustizia di condurre un’inchiesta, e si dicono pronti a “pagare il prezzo del loro delitto a patto di non marcire indefinitamente in prigione”. Precisa che numerose madri di Qara, dove si trova il suo monastero, chiedono il suo intervento per la liberazione dei loro parenti. Oggi il problema è quello di chiedere l’aiuto di diverse Ong, cattoliche in particolare, per tentare se non di mitigare il sistema penitenziario siriano, almeno di venire in aiuto dei detenuti. E si indigna perché i feriti in alcune manifestazioni sono oggetto di discriminazione negli ospedali. Alcuni sono liquidati freddamente, tanto che dispensari di fortuna hanno dovuto essere organizzati in locali improvvisati per curare i feriti che temono la visita dei moukhabarat al loro letto d’ospedale.

Madre Agnès-Mariam prevede un avvenire piuttosto cupo. Vuole credere che grazie al vento delle riforme ufficiali che soffia, qualche cosa possa muoversi. Ma ciò di cui è testimone adesso è la tormenta, Dopo aver accompagnato più di 16 giornalisti un po’ dappertutto in Siria, dopo aver visitato l’inferno di Homs, dove ha passato una nottata nei quartieri sunniti del centro, ostaggio delle bande armate, teme il peggio. La religiosa, che si dice “la voce di quelli che non hanno né voce né padrini internazionali” si rattrista perché il biasimo internazionale si dirige solo a una delle parti in conflitto e trascura l’altra. La violenza non è unilaterale, vuole sottolineare. “Questa violenza barbara e cieca che colpisce il popolo siriano è il primo nemico della rivoluzione e la migliore alleata di ogni dittatura”.

 
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