SIRIA / UE – ( 7 FEBBRAIO )

SIRIA – UE
Gregorio III Laham: Appello all’Europa per un compromesso in Siria
di Fady Noun
Il patriarca melchita di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme teme che il suo Paese sia diventato ostaggio di un gioco di influenze fra Stati Uniti e Russia, e chiede all’Europa del “mare nostrum” di assumere l’iniziativa che possa evitare il flagello della guerra civile. 

Beirut (AsiaNews) – AsiaNews ha intervistato Gregorio III Laham, Patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti sulla crisi siriana e suoi possibili sviluppi anche per quanto riguarda le comunità cristiane del Paese. 

Il flagello della guerra civile si è abbattuto sulla Siria. Come sfuggire a questa maledizione, a questa discesa all’inferno? Alcuni pensano che un regime che essi giudicano cinico e crudele non possa cambiare, e debba essere spezzato. Non credono alla possibilità di un cambiamento dall’interno, neanche obbligato dall’emergere di una forza militare che equilibri quella del regime, o dalle pressioni economiche e diplomatiche, o dalle sanzioni internazionali. Altri, anche all’interno della Siria – per esempio personalità dell’opposizione o capi religiosi – non perdono la speranza di un cambiamento interno, pur coscienti della sua difficoltà, vista la struttura attuale del Partito unico. Da uomo di pace, il patriarca Gregorio III fa parte di quelli che non si lasciano cader le braccia. Da vari mesi non smette di fare appello ai responsabili arabi affinché si mettano all’ascolto dei loro popoli. Questi appelli sono stati costanti, in particolare per due dei Paesi del territorio patriarcale, l’Egitto e la Siria. In quest’ultimo Paese, la sua patria, pensa che un cambiamento sia ancora possibile, soprattutto se l’Europa interviene. Per lui non c’è molto da aspettarsi dagli Stati Uniti; ma l’Europa, l’Europa del Mare nostrum può fare ancora molto a favore di un compromesso che risparmi alla Siria gli orrori della violenza cieca e della guerra civile. Il patriarca che chiama al dialogo “tutti i partiti in Siria, e fuori della Siria” vede il suo Paese diventare ostaggio di una “lotta di influenze” fra Stati Uniti e Russia.
Il patriarca greco-cattolico ci riceve nella sede patriarcale di Raboué alla vigilia della riunione annuale del Sinodo della sua Chiesa (6-8 febbraio) che deve fra l’altro provvedere a tre sedi episcopali vacanti, di cui due proprio in Siria.

Che cosa pensa esattamente Gregorio III di ciò che accade nel suo Paese? Pensa che si tratti di un complotto, tesi ufficiale del regime, o di una rivoluzione?
Senza voler criticare la Siria, vorrei dire che non amo il termine ‘complotto’. Per me è un segno di debolezza. E’ come dire che intorno a voi non ci sono che nemici. Ma si può parlare d’altronde di rivoluzione? Quello che sta accadendo non è specifico della Siria solamente. Penso che i Paesi arabi siano entrati in un fenomeno di rivoluzione, senza che si possa parlare di una vera rivoluzione. In generale, una rivoluzione è qualche cosa che si prepara. Descriverei piuttosto ciò che accade come il risultato di un cumulo di frustrazioni. Ma la politica vi si mescolata, e ha falsato tutto.

Senza cercare di difendere ciecamente il regime, lei si stupisce di come si tenti di trascinare la Chiesa in Siria nella campagna che mira ad affondare il sistema. Rimprovera l’Europa di spingere alla violenza, più che alla ricerca di un compromesso politico…
L’ho detto al Times, qualche giorno fa. Non pensate a cambiare il regime, ma aiutate il regime a cambiare. Credo che sia questa la giusta visione delle cose. E per questo la Chiesa è là, e ha fatto molto.

Anche Assad vuole il cambiamento… Ma è realistico chiedere al Baath di cambiare ? 
Certo. Non guardate al passato. Il passato è passato. Impariamo dalla guerra in Libano. Quindici anni di guerra, perché? E’ una lezione per tutti noi. D’altronde, guardiamo le cose in faccia. Bisogna guardare al di là di ciò che accade in Siria. Siamo davanti ad arsenali considerevoli. E’ ragionevole, in un caso come questo, gridare ‘alle armi!’ ? Comunque, la Chiesa non può farlo, non chiedetele di svolgere un ruolo che non è il suo. Credo che la Siria, dopo undici mesi di questa esperienza, non sarà più la stessa. Credo che ci sarà un cambiamento di base, e credo che anche il presidente Bashar al-Assad lo voglia.

La crisi siriana sembra sfuggire ai suoi protagonisti…
Si ha l’impressione che la situazione non sia più nelle mani della Siria, ma di assistere a una lotta di influenze fra Stati Uniti e Russia. Siamo entrati in una fase di servaggio politico. Tutto è centrato sul Consiglio di sicurezza e sul veto russo.

Ha paura per i cristiani di Siria ? 
La Siria ha sempre avuto la più bassa percentuale di emigrazione nel mondo arabo. E’ significativo. E’ dovuto al fatto che il regime è veramente laico. E’ l’avvenire. Certo, ci sono delle partenze motivate dalla paura, ma non è l’esodo. Tutto ciò che posso dire è : non abbiate paura. Come cristiano non mi sento un bersaglio di nessun gruppo, neanche dei salafiti. In Egitto la situazione è differente. Non dico che non ci saranno dei gesti estremi, ma noi facciamo nostre le parole di Atenagora: non ho paura, perché mi sono disarmato. Bisogna porre il problema in termini sociali. Parlare come cittadini siriani, non come cristiani. Il problema non è religioso, anche se c’è chi introduce nella sua analisi questo elemento. E’ falso. Ai deputati europei che si trovavano in Libano per un colloquio sui cristiani d’oriente, a Kaslik, nel novembre 2011, ho detto: venite non per l’avvenire dei cristiani, ma per l’avvenire di questo mondo. Per noi, non è il momento di chiedere i nostri diritti, ma di riscoprire la nostra missione in un mondo arabo che vive una nuova nascita. Predicare la pace, la legalità, la giustizia è la nostra maniera di accompagnare gli avvenimenti, sia all’interno che all’esterno.

Si rimprovera alla Chiesa di restare in una zona grigia, di non denunciare le gravi violazioni dei diritti umani..
Non è vero. Ho fatto appello alla fine della violenza in ogni mia dichiarazione. Ma non sono né un politico, né un agente della sicurezza, né un giornalista. Non posso entrare nei dettagli. Non ne ho né i mezzi, né la volontà. La Chiesa non può dare soluzioni, ma solamente orientare. D’altronde agisce attraverso canali che non sono pubblici”.

Lei ha denunciato “le esagerazioni” e la “disinformazione” di cui vede tracce nella stampa.
Siamo in una vera guerra moderna, i media sono diventati “dispotici” e svolgono un ruolo “distruttivo”. 

E per quanto riguarda i bilanci quotidiani di vittime che appaiono sui media?
Non ho risposte, ma dico che ci sono falsificazioni da entrambe le parti, e anche da parte dell’Europa. Tutto è politicizzato; e in quel senso sì, c’è un complotto. Penso che la parola d’ordine del momento sia: bisogna distruggere Cartagine. E non capisco come un’Europa che si è risollevata da una guerra mondiale che ha fatto 50 milioni di morti possa sostenere una parte contro l’altra, mentre avrebbe i mezzi per fermarla”.

Ma il presidente siriano è pronto a riconoscere, come interlocutori legittimi, quelli che lo combattono? E la Lega araba non ha cercato di aiutarlo a fare questo passo, mandando osservatori in Siria e chiedendo al capo dello Stato siriano di ritirare i carri armati dalle città? E lui non ha chiaramente scelto la soluzione di forza? Per Gregorio III l’Europa e la Russia possono ancora convincerlo a dare prova di flessibilità e di apertura? 
Torno a quello che ho già detto. Non sono un politico. In politica, non si può mai dire. Ma io so che il sangue versato da chiunque è il sangue di mio fratello. E aggiungo che ci si appassiona per la Siria, ma si dimentica Israele, e la causa palestinese. Ho inviato una lettera a tutti i responsabili europei, il 2 aprile del 2011, in cui chiedo una soluzione per il conflitto palestinese, perché, risolvendo questo conflitto, si risolverebbero la metà dei problemi del mondo arabo. Ora, dopo 63 anni di crisi, il conflitto israelo-palestinese non ha ancora una soluzione. Perché, nel settembre scorso, non si è riconosciuto lo Stato palestinese all’Onu? E’ una capitolazione. E’ indegno del mondo.

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