SIRIA/ITALIA – ( 20 Giugno )

VOLONTARI ITALIANI IN SIRIA

L’Islam radicale attrae giovani che vogliono certezze

Il sociologo Renzo Guolo invita a riflettere sulla forma attrattiva di una religione che “ha un grande appeal in quanto ultima grande ideologia transnazionale”. La vicenda del giovane convertito e ucciso pone con maggiore urgenza il “problema del modello d’integrazione culturale e della cittadinanza”. Almeno 800 i volontari provenienti dall’Europa che stanno combattendo al fianco dei ribelli anti-Assad. Tra loro anche cinquanta italiani, fra i quali una donna

Daniele Rocchi


Sarebbero almeno cinquanta gli italiani che combattono al fianco dei ribelli in Siria come il ventenne genovese convertito all’Islam, Giuliano Ibrahim Delnevo, rimasto ucciso nella battaglia di Qusayr. Gli “italiani” agirebbero soprattutto nel Nord, e tra questi ci sarebbe anche una donna. Ma in Siria non ci sono solo italiani, il fenomeno dei “foreign fighter” (combattenti stranieri), coinvolge almeno 800 tra olandesi, svedesi, inglesi e dai Balcani. Ma cosa li spinge a combattere? Quali sono gli elementi in gioco che determinano una scelta simile? Come spegnere i focolai di fondamentalismo che animano alcune frange dei fedeli islamici? Lo abbiamo chiesto a Renzo Guolo, sociologo delle religioni presso le Università di Trieste, Padova e Torino, ed esperto di Islam europeo e italiano e di fondamentalismi contemporanei.

Perché un giovane italiano, e con lui centinaia di altri giovani europei, si converte all’Islam e si arruola per combattere nel Jihad, fino alle estreme conseguenze?
“Va considerata la storia personale di questi ragazzi. Ciascuno cerca in ideologie totalizzanti, in questo caso l’Islam radicale, una sorta di bussola che offre certezze e chiavi di comprensione di un mondo sempre più complesso e che quindi disorienta. L’Islam radicale è una sorta di religione politica che come tutte è in grado di dare agli individui risposte certe, magari anche manichee, alle grandi questioni del mondo e anche ai fatti della vita di tutti i giorni. Se avessero cercato un carattere più complesso della fede, forse, avrebbero optato per una dimensione più mistica, come i sufi. Tutti cercano certezze e le trovano nella forma più radicale dell’Islam”.

Ma ci sono motivi particolari alla base di una scelta simile?
“Per quanto riguarda gli italiani, figli di stranieri di seconda generazione, elementi che potrebbero averli spinti in questa direzione possono essere una religione radicalizzata già nel tessuto familiare, oppure il fatto che questi giovani non vivono più nei Paesi di appartenenza e, nel contempo, non si sentono parte di quello in cui si trovano a vivere, non avendone – in molti casi – la cittadinanza. Sentono, dunque, il vuoto di questa doppia assenza che riempiono con l’Islam radicale che ha un grande appeal in quanto ultima grande ideologia transnazionale”.

Delnevo, però, era un italiano convertito…
“Per i convertiti italiani il discorso è diverso e sarebbe interessante capire il motivo per cui non scelgono un ritorno al cattolicesimo o al cristianesimo. Probabilmente perché si tratta di religioni molto più interiori e che presentano tratti di riflessione interna che nell’Islam non esistono. Anziché essere una religione-ricerca o confronto, l’Islam radicale ha meccanismi assertivi molto più semplici da comprendere come abbiamo visto nei video postati da questo giovane di Genova”.

A proposito di video: un elemento comune a tutti è che arrivano ad abbracciare la dottrina Jihadista in completa solitudine attraverso social network come Facebook, Twitter e YouTube…
“Si tratta di generazioni nate digitali ma quello che è venuto meno è un tessuto di riflessione culturale, politica e religiosa che un tempo contribuiva ad abbattere la semplificazione delle grandi domande. La comunicazione in Internet oggi presuppone un ‘sì’ e un ‘no’; dentro la Rete non è previsto un dibattito davanti a una realtà complessa. Nei più giovani vedo un grande disorientamento tra la mole e l’accesso delle informazioni e l’incapacità di gerarchizzarle e dare loro un senso e una priorità. Chi si forma dentro questo meccanismo, trovando poi impulso per dirigersi verso gruppi che hanno una visione semplificata della vita, vedono solo un lato delle vicende e questo rappresenta un problema. È una comunicazione del ‘sì’ e del ‘no’ che ben si accorda con quel tipo di religione assertiva che è l’Islam radicale”.

In che modo la morte di Delnevo interpella le Istituzioni e che genere di approccio queste dovrebbero avere per evitare un fenomeno, che seppur limitato a pochissime persone, potrebbe rappresentare un embrione di rischio per la sicurezza?
“Un problema è quello di riuscire a comprendere come trattare i processi d’inclusione dei cittadini o dei residenti che non sono autoctoni ma che vivono in Italia. Dunque il problema del modello d’integrazione culturale e della cittadinanza: ciò che è mancato è il dibattito su come una società multiculturale trova un punto di coesione sociale. Sono convinto che tanto più affronteremo il tema della cittadinanza tanto più riusciremo a stimolare questa parte della popolazione alla partecipazione civica”.

Per quel che riguarda il rischio della sicurezza nazionale?
“Non possiamo far pesare la sicurezza sulla totalità della presenza islamica italiana che conta 1,3 milioni di appartenenti. Sono infatti qualche decina gli italiani, tra convertiti e autoctoni, a rischio Jihad. Resta, tuttavia, il rischio che la scelta di Delnevo possa suscitare emulazione in frange di persone più fragili”.

Rimane anche il nodo di moschee e d’imam che predicano odio accendendo gli animi dei loro fedeli. Come evitare queste forme di fanatismo che non favoriscono certo l’integrazione di cui si faceva cenno prima?
“La maggioranza del mondo islamico in Italia non ha posizioni fondamentaliste, però, i leader religiosi devono denunciare ogni possibile meccanismo violento, anche se questo significa ‘andare in aiuto ai fratelli oppressi’ che ha avuto la sua rilevanza nella storia di Delnevo. Perché è vero che in Siria ci sono molti europei che non combattono ma che si prodigano nell’assistenza dei feriti e della popolazione. Credo che la comunità islamica, che in Italia è molto variegata, abbia il dovere di fare un discorso molto chiaro rispetto a queste cose per contrastare le derive violente che le procurano danno”.

 

Il testo completo si trova su:

http://www.agensir.it/sir/documenti/2013/06/00264387_l_islam_radicale_attrae_giovani_che_vogli.html

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