SUD SUDAN – ( 11 Luglio 2016 )

Sud Sudan: scontri a Juba, oltre 200 vittime. Onu chiede fine violenze

Centro di raccolta profughi a Wau - AFP

Centro di raccolta profughi a Wau – AFP

Si intensificano i combattimenti a Juba, capitale del Sud Sudan, dove da cinque giorni si stanno affrontando i militari fedeli al Presidente Salva Kiir e la Guardia del vicepresidente Riek Machar. La popolazione è in fuga dalla città e oltre 30mila civili si sono rifugiati nel compound delle Nazioni Unite. Almeno 270 le vittime secondo fonti governative e l’Onu chiede di mettere immediatamente fine alle violenze. Il servizio di Marco Guerra:

Pesanti esplosioni e colpi di armi leggere si sono udite per tutta la mattinata a Juba. Testimoni riferiscono di carri armati nelle strade ed elicotteri che sorvolano la città. i combattimenti più violenti si registrano nel quartiere di Tomping, dove sorge l’aeroporto e una base Onu; e nelle zone di Jebel e Gudele nei pressi della base che ospita il vice presidente Riek Machar. I colpi di artiglieria non hanno risparmiato nessuna delle due sedi delle Nazioni Unite e si registra una vittima tra i caschi blu cinesi. Oltre 10mila persone hanno lasciato la città e il dipartimento di Stato Usa ha ordinato la partenza di tutto il personale non necessario dall’ambasciata. Appelli alla calma arrivano da diversi esponenti del governo e dallo stesso Riek Machar.Tuttavia il Paese sembra ricaduto nella guerra civile interrotta l’aprile scorso con il reintegro di Machar nella sua carica e il governo di coalizione. Ma sulla situazione sul terreno e l’emergenza umanitaria sentiamo Chiara Scanagatta, deskoffice per il Sud Sudan di Medici con l’Africa Cuamm :

R. – Sia sabato che domenica la situazione è stata molto tesa, con combattimenti molto serrati a Juba, nella capitale. Non c’è stato nessun episodio sul territorio, al di fuori di Juba, almeno non nelle zone dove lavoriamo noi. Gli scontri si sono concentrati soprattutto dove di solito i militari hanno le loro basi e una di queste zone è vicino anche ad uno dei complessi delle Nazioni Unite.

D. – Qual è la situazione umanitaria e quali le emergenze che deve affrontare la popolazione in questo momento?

R. – Il Paese è già provato da una situazione umanitaria molto difficile. Sicuramente se i fatti di questi giorni avranno un seguito, la situazione andrà ulteriormente ad aggravarsi. Il Paese, però, già versava in condizioni estremamente critiche. Diciamo che dal conflitto iniziato nel dicembre del 2013, non c’è mai stata una vera ripresa. Anzi, la crisi economica degli ultimi mesi, dovuta al crollo del prezzo del petrolio e alla svalutazione della moneta locale, non hanno fatto altro che aumentare questa crisi. Diciamo che gli accordi di pace non hanno mai messo fine veramente agli scontri. Quindi il flusso di profughi e di sfollati è continuato sempre in questi mesi. Chiaramente, la situazione è andata via via peggiorando, per cui la popolazione è estremamente provata dalla mancanza di tutto, dei servizi di base. Il Paese, infatti, non ha le strutture per offrirli, se non attraverso le ong e gli attori esterni.

D. – Le agenzie parlano di diverse migliaia di sfollati. C’è appunto un rischio di creare un nuovo flusso di profughi?

R. – Beh, sicuramente la gente scapperà. Se il conflitto partito da Juba si estende nel resto del territorio, la gente si sposterà. Ocha aveva stimato almeno due milioni di sfollati per il 2016, quindi ben prima di tutti questi fatti. Alla fine dell’anno scorso, dunque, queste erano state le stime. Tutto questo, quindi, potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione.

D. – In quali condizioni stanno operando le ong con il riaccendersi delle violenze?

R. – In questi giorni l’aeroporto è rimasto semiaperto e poche compagnie volavano. Questo ovviamente rende molto più difficile l’invio di persone, ma anche di materiale. Se uno deve comprare i farmaci al di fuori del Sud Sudan, o qualsiasi altro materiale, chiaramente questo lo compromette. Oggi sembra essere proprio chiuso come misura precauzionale. Chiaramente non ci sono voli interni e diventa anche più difficile spostarsi dalla capitale alle basi sul territorio. E poi, ovvio, in queste situazione di conflitto si resta chiusi in casa e si è molto meno operativi: non si può fare rifornimento di cibo, di acqua, di gasolio e nel momento in cui anche il gasolio inizia a scarseggiare, il generatore deve essere tenuto chiuso per delle ore. Non c’è più modo, quindi, di caricare il cellulare, di caricare i computer e quindi anche di mantenere delle comunicazioni costanti. Ovviamente più il conflitto si prolunga, più la situazione diventa critica. Adesso, naturalmente, si sta guardando come si evolveranno i fatti e poi si agirà sulla base di quelli che sono gli eventi. Si mettono in atto delle misure di precauzione, che possono essere appunto far uscire il personale non essenziale, non direttamente coinvolto nello svolgimento delle attività, ridurre gli spostamenti e tenere sempre molto monitorata la situazione.  

Il testo originale e completo si trova su:

http://it.radiovaticana.va/news/2016/07/11/sud_sudan_scontri_a_juba,_oltre_200_vittime/1243454

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