SUD SUDAN – ( 22 Dicembre )

Sud Sudan: condanna dell’Onu per le violenze, il presidente Kiir apre al dialogo


Forte preoccupazione della comunità internazionale per la grave situazione in Sud Sudan. Le Nazioni Unite hanno condannato l’attacco alla base Onu di Akobo che ha causato la morte di due caschi blu indiani e almeno venti civili. In una lettera, i vescovi ed i leader religiosi della regione hanno fatto appello alla pace e alla riconciliazione, invitando a guardare al conflitto non solo in termini di rivalità tra fazioni in lotta. Intanto sembra aprirsi uno spiraglio nella crisi. Il servizio di Giulio Albanese:RealAudioMP3

Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha promesso di condurre ad un dialogo senza condizioni per provare ad uscire dalla crisi armata che rischia di trascinare il Paese in una vera e propria guerra civile. I violenti scontri di questi giorni sono stati causati dalla rivalità tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar. Ma, dietro le quinte – è inutile nasconderselo – si celano interessi stranieri legati al controllo delle zone petrolifere. Non è da escludere che vi sia anche lo zampino di Khartoum che ha sempre tentato di indebolire le regioni meridionali utilizzando la strategia del divide et impera. In una dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha invitato i due leader sud sudanesi ad assumersi le loro responsabilità.

Prosegue intanto il rimpatrio del personale di molti Paesi stranieri. In Sud Sudan sta giungendo l’inviato speciale americano per la regione, Donald Booth, per favorire il dialogo tra le fazioni rivali. Nel Paese il clima è di grande violenza come racconta Davide Berruti, capo missione dell’Organizzazione umanitaria Intersos, intervistato da Filippo Passantino:
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R. – I combattimenti coinvolgono in questo momento la città di Bor. Intersos ha una base, delle operazioni in corso e fino a ieri notte, c’erano degli scontri che ci hanno costretto a rilocare il nostro staff.

D. – Anche una vostra base è stata attaccata dai guerriglieri?

R. – Purtroppo, è una cosa abbastanza normale in questi frangenti. Vengono portati via i beni più strategici nei momenti di conflitto, cioè le auto e la benzina perché servono per le operazioni. Sto verificando, insieme al mio staff, che per fortuna è rimasto indenne, cosa è stato portato via tra computer e telefoni e che cosa invece è stato salvato perché noi abbiamo appunto fatto evacuare lo staff poco prima, cercando di portare via il materiale più importante. La cosa più importante è che ovviamente il personale sia sano e salvo.

D. – Alcuni dei vostri cooperanti sono appena tornati in Italia …

R. – Sì, ieri è stata una giornata abbastanza lunga e faticosa perché abbiamo dovuto coordinare le operazioni per l’evacuazione. Le operazioni sono durate tutta la giornata; abbiamo avuto diverse difficoltà tra le quali una chiusura di un paio d’ore dell’aeroporto dovuto ad un aereo che si era rotto in mezzo alla pista. Insomma, alla fine tutto è andato bene e abbiamo portato via una sessantina di persone tra italiani e altri colleghi europei. Tutto il personale “non essenziale” è stato rilocato; ovviamente alcuni di noi sono ancora qui.

D. – E quali attività state svolgendo in questo momento?

R. – In questo momento le attività sono tutte bloccate, perché tutta la catena logistica che sottintende alle operazioni umanitarie è concentrata nell’evacuazione.

D. – Qual è la situazione della guerriglia?

R. – Qui a Juba, dopo le giornate di lunedì e martedì in cui ci sono stati gli scontri, la situazione è tranquilla. A Bor, nel Jonglei, come abbiamo detto, nei giorni scorsi ci sono stati fortissimi scontri…

D. – Si sta sviluppando una vera e propria guerra civile in questo momento …

R. – Purtroppo il conflitto è molto forte e siamo molto preoccupati perché tutto questo concentrare l’attenzione su un ritorno di conflittualità in tutti gli Stati – stanotte il mio staff mi ha chiamato; quindi sarebbe il terzo focolaio di violenze che si apre in contemporanea – ci preoccupa fortemente, perché il Sud Sudan è un Stato che ha bisogno di assistenza umanitaria. C’è ancora gente che si trova in situazioni di grande vulnerabilità e questa violenza non fa altro che peggiorare le cose.

Testo proveniente dalla pagina

 

del sito Radio Vaticana
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