TERRA SANTA – ( 15 Marzo )

13:51TERRA SANTA: BEER SHEEBA, MESSA IN RIFUGIO. LA TESTIMONIANZA DI DON SALVATERRA

“C’è paura e ansia ma non perdiamo la speranza della pace. Desideriamo la pace e la giustizia, non vogliamo la vittoria di una o dell’altra parte. In questo conflitto non ci sono vincitori ma solo sconfitti”. Con questo animo la piccola comunità cattolica (kehilla) di espressione ebraica di Beer Sheeba, capitale del Negev, a sud di Israele, sta vivendo gli attacchi con missili grad da parte di miliziani della Jihad islamica della Striscia di Gaza. L’ultimo lancio risale alla serata di ieri, con Israele che ha risposto con due raid aerei contro Gaza e Khan Yunis. Una tornata di violenza, che nemmeno la tregua mediata dall’Egitto, è riuscita a placare e che ha provocato fino ad oggi 26 vittime palestinesi tra le quali un ragazzo di 15 anni ed un bambino di 7. Una situazione di pericolo che ha indotto don Gioele Salvaterra, fidei donum della diocesi di Bolzano-Bressanone, da due anni e mezzo in Israele, dove guida la kehilla di Beer Sheeba, domenica scorsa a celebrare la messa nel rifugio della casa della comunità. “Questa scelta – racconta al SIR – è stata dovuta alla necessità di sentirsi più tranquilli, dopo che due ore prima della messa, un missile è caduto non lontano dalla nostra casa. Abbiamo voluto incontrarci ugualmente nel rifugio e i fedeli, sono circa 40 quelli che vengono la domenica, hanno accettato questa scelta”. (segue)

13:52TERRA SANTA: BEER SHEEBA, MESSA IN RIFUGIO. LA TESTIMONIANZA DI DON SALVATERRA (2)

“La nostra comunità sta vivendo questi giorni con ansia certamente ma anche con la speranza che presto tutto finisca e che, israeliani e palestinesi, si possa tornare a vivere senza paura”. A soffrire sono soprattutto i bambini. Spiega don Salvaterra: “i bambini sanno quello che sta accadendo, lo apprendono dai genitori, dagli amici. Ciò che cerchiamo di fare è farli sentire protetti, ascoltare le loro paure. Spesso vengono qui per la messa e sentono il bisogno di raccontare ciò che è successo, cose come le corse a notte fonda nei rifugi, dopo l’allarme”. Dalla comunità cattolica ebreofona di Beer Sheeba filtrano anche diverse testimonianze come quella della piccola Salma: “la situazione non è normale. Dopo tre anni e mezzo gli abitanti non sono abituati alla frequenza del suono delle sirene come in questi giorni. Le scuole sono rimaste chiuse e noi bambini siamo in qualche modo felici per questo ma i nostri genitori soffrono ed hanno paura per noi. Noi continuiamo a pregare”. Quella preghiera che ispira apertura ed accoglienza: “il messaggio che le nostre comunità cattoliche di espressione ebraica possono veicolare nella situazione che viviamo è quello di apertura all’altro, israeliano e palestinese. Abbiamo bisogno di apertura e di accoglienza e per questo – conclude il sacerdote – leviamo le nostre voci per la pace e la calma nel Sud e per tutti coloro che soffrono”.

Il testo completo si trova su:

http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.stampa_quotidiani_cons?id_oggetto=236020

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