TERRA SANTA – ( 8 Gennaio )

TERRA SANTA
 
Nonostante tutto
 
Non ci sono ”divergenze insanabili” afferma il nunzio apostolico, mons. Giuseppe Lazzarotto


 
Al Medio Oriente “regione privilegiata nel disegno di Dio”, Benedetto XVI ha dedicato una parte importante del suo discorso tenuto ieri al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Il pensiero del Pontefice è andato alla Siria, dilaniata da continui massacri e teatro d’immani sofferenze fra la popolazione civile”, al Libano, all’Iraq chiedendo per tutti pace e riconciliazione ma anche impegno ai Paesi, rappresentati dagli ambasciatori, verso questi obiettivi. Un cenno particolare Benedetto XVI lo ha dedicato alla Terra Santa. “In seguito al riconoscimento della Palestina quale Stato Osservatore non Membro delle Nazioni Unite – ha detto il Papa – rinnovo l’auspicio che, con il sostegno della comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi s’impegnino per una pacifica convivenza nell’ambito di due Stati sovrani, dove il rispetto della giustizia e delle legittime aspirazioni dei due Popoli sia tutelato e garantito. Gerusalemme, diventa ciò che il Tuo nome significa! Città della pace e non della divisione; profezia del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione!”. Su questi temi, Daniele Rocchi per il Sir ha incontrato a Betlemme il nunzio apostolico in Israele e delegato in Gerusalemme e Palestina, mons. Giuseppe Lazzarotto.

Eccellenza, Benedetto XVI ancora una volta ha mostrato la sua attenzione al Medio Oriente e alla Terra Santa. Come giudica i riferimenti contenuti nel suo discorso di ieri al Corpo diplomatico?
“Le parole di ieri confermano quanto il Pontefice sia immerso e attento alla realtà mediorientale e della Terra Santa alla quale la Chiesa universale non può restare estranea, non solo per il significato che essa riveste per le qualsiasi credente, ma anche per il contesto globale e per gli sforzi che si stanno facendo per la costruzione di una condizione di pace, di giustizia e di diritti umani”.

Purtroppo su questa area convergono interessi internazionali che sembrano qualsi voler mantenere destabilizzata questa zona strategica del mondo…
“Spero di no, ma non vorrei essere ingenuo da negare una simile evidenza. Certamente ci sono elementi che preoccupano, ma non dobbiamo permettere che alla fine diventino quelli prevalenti. Questo è lo sforzo che stiamo facendo come Santa Sede…”.

In che direzione muove questa missione della Santa Sede, quale l’impegno?
“La missione che perseguiamo è quella di informare e formare le persone perché in questo mare, enorme, di notizie che arrivano ogni giorno da questa regione, possano essere non solo informate ma anche messe in condizione di capire e di farsi un giudizio personale su quanto avviene qui. Ma soprattutto possano conoscere l’importanza della presenza cristiana che qui è importantissima”.

Nel suo discorso Benedetto XVI si rivolge a Gerusalemme esortandola ad essere “profezia del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione”. Purtroppo su Gerusalemme non sembrano esserci possibilità di accordo. È così?
“Le divergenze sono apparentemente insanabili. Dobbiamo essere ottimisti. Lo devono essere soprattutto le persone che vivono ed operano qui. Esse devono essere aiutate a capire il loro ruolo in questa prospettiva. Ci sono spazi in cui è possibile lavorare insieme e se non si agisce in questa maniera ci ritroveremo in un vicolo cieco. Tutta l’opera che la Santa Sede porta avanti attraverso le sue istituzioni e le comunità cristiane locali va in questa direzione. Aiutare i nostri cristiani che vivono qui ad indentificare gli spazi nei quali è possibile lavorare insieme, mettendo in comune le risorse umane e spirituali che ci sono. Ci sono tante persone di buona volontà, serve dare loro spazio e margine di manovra per creare ponti e contatti tra le due parti. La soluzione è quella ben nota di due popoli e due stati, la ‘two States solution’”.

Può il riconoscimento della Palestina all’Unesco prima e all’Onu recentemente, rappresentare un passo verso questa soluzione tanto auspicata?
“È la nostra speranza. Questo voto, quasi plebiscitario alle Nazioni Unite, non può essere disatteso o peggio messo da parte. Auspicio espresso subito dopo il voto dalla Santa Sede ed ancora da Benedetto XVI nel suo discorso di ieri. Bisogna lavorare verso questa direzione di due Stati ugualmente stabiliti con diritti e doveri, se non si arriva a questa determinazione sarà difficile andare avanti”.

Da poco meno di due mesi lei è tornato, per la seconda volta, come Nunzio in Terra Santa? Quali sono le sue priorità?
“Innanzitutto camminare insieme con le comunità locali e assicurare loro la presenza della Chiesa universale. Camminare insieme non è facile ma la fatica di questo percorso va inquadrato in quel piano che Dio ha pensato per questa terra e per questi popoli, Cercare di capire questo progetto divino e realizzarlo insieme”.

In questo periodo abbiamo assistito ad un vero boom di pellegrinaggi. Così tanti pellegrini possono rappresentare anche strumento diplomatico per dare peso alle istanze dei cristiani locali, che stanno così a cuore al Pontefice?
“Il pellegrinaggio è un percorso personale di ogni singolo credente ed ha un significato profondo. È anche espressione della solidarietà che tutte le Chiese dovrebbero avere e vivere nei confronti della Chiesa madre di Gerusalemme, dove tutti siamo nati. In questo senso è da ritenersi anche uno strumento di diplomazia”.

Siamo all’inizio del 2013: sarà questo l’anno giusto per chiudere l’accordo fiscale tra Santa Sede e Israele?
“Ci stiamo lavorando. Ce lo auguriamo. Non si possono dare date, e farlo non sarebbe corretto, in quanto il negoziato è in corso. Direi che una possibilità c’è, alcuni elementi devono essere ancora definiti, ma la possibilità di arrivarci entro l’anno ci sarebbe”.

 
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