TUNISI – (21 Luglio)

MONS. LAHHAM: "IL DOPO RIVOLUZIONE È LA TRAVERSATA DEL DESERTO"

L’arcivescovo di Tunisi sulla transizione democratica del dopo Ben Ali

di Chiara Santomiero

TUNISI, giovedì, 21 luglio 2011 (ZENIT.org).-“La rivoluzione è il passaggio del Mar Rosso, la manifestazione del desiderio di libertà, di giustizia e di pace. Il dopo rivoluzione è la traversata del deserto, un periodo lungo e duro, caratterizzato dal prendere in mano la propria storia”. Definisce così la fase di transizione che interessa la Tunisia mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi.

Nella lettera pastorale “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” – che sarà diffusa il prossimo 24 luglio e anticipata ad alcuni giornalisti italiani durante un incontro a Tunisi insieme a Caritas italiana – Lahham si sofferma sulla lettura da dare ai recenti avvenimenti alla luce della Parola di Dio.

La rivoluzione dei gelsomini

Il 14 gennaio scorso, la “rivoluzione dei gelsomini” – una protesta in massima parte alimentata dai giovani attraverso Internet – ha portato alla fine del regime di Zine El Abidine Ben Ali durato 23 anni e segnato da corruzione e soprusi da parte dei gruppi di potere legati al presidente. Da allora è iniziato nel Paese un processo di democratizzazione guidato da governi di transizione che porterà il 23 ottobre prossimo alle prime elezioni libere per l’Assemblea costituente che dovrà dare alla Tunisia il suo nuovo assetto fondamentale.

Un percorso non esente da incertezze e dalle proteste di chi rivendica un’accelerazione delle riforme, specie in una fase di grande precarietà economica del Paese, accentuata dalle ripercussioni della rivoluzione sul turismo (che rappresenta l’8% del Pil) con una stagione in larghissima parte compromessa, un tasso di disoccupazione molto elevato e l’aggravarsi della crisi libica che ha provocato, oltre al dramma dei profughi, il rientro di 50 mila lavoratori tunisini che hanno accresciuto le cifre della disoccupazione e posto fine alle rimesse ad essi legate.

Il 17 luglio nella cittadina diSidi Bouzid, la stessadoveMohamed Bouazizi, il commerciante ambulante stanco di soprusi si era dato fuoco, accendendo la scintilla che avrebbe incendiato le piazze, è morto un ragazzo di 14 anni, Thabet Belkacem, colpito alla testa da un proiettile di rimbalzo sparato dalla polizia durante delle manifestazioni antigovernative.

Il premier provvisorio, Beji Caid Essebsi, ha denunciato un preciso disegno di destabilizzazione da parte di forze contrarie alla rivoluzione e alla democratizzazione del Paese indicandole genericamente in quei partiti politici confessionali e nei movimenti estremistici ad essi legati che avrebbero la consapevolezza di non potere affrontare le elezioni di ottobre e si starebbero, di conseguenza, muovendo per impedirle con l’alimentare le violenze di strada.

In questo Paese in cerca di una nuova definizione si muove anche la comunità cattolica tunisina, piccola – 22 mila cattolici su 10 milioni di abitanti – ma vivace e organizzata in 11 parrocchie, con 121 suore e 49 preti ed impegnata nella gestione di 11 scuole cattoliche che raccogliendo complessivamente 6 mila alunni, tutti di religione musulmana, offrono un importante contributo educativo per il futuro della Tunisia.

Sentinelle della nuova realtà

“Occorre accogliere questa realtà nella sua novità – scrive Lahham nella lettera pastorale – e vivere con umiltà la situazione presente nella Chiesa”. Umiltà significa, tra le altre cose, “accettare di essere una Chiesa in una società musulmana quasi al 100%” e quindi “vivere la fede e testimoniare Gesù Cristo in mezzo a un popolo non cristiano” ma anche “scoprire nella vita di questo popolo e nelle sue tradizioni culturali e religiose il dono che lo stesso Dio gli ha fatto, per arricchire la nostra fede e quella della nostra Chiesa”.

Tra l’altro, soprattutto in questa fase di transizione democratica, alla Chiesa cattolica quasi esclusivamente composta da non tunisini e per buona parte occidentali, si offre una grande chance: “oltre al rispetto reciproco, al dialogo della vita che è il nostro pane quotidiano, noi abbiamo la possibilità e forse la missione, di fare da ponte tra questi due mondi: il Maghreb e l’Occidente, e in modo più ampio, tra il cuore e la ragione, le parole e i concetti, la trascendenza e l’immanenza di Dio, il sacro e il profano”.

A proposito delle tensioni che attraversano il Paese, “una cosa è la rivoluzione – ha spiegato il vescovo di Tunisi ai giornalisti – e un’altra la democrazia”. Una fase costituente, infatti, rappresenta un gigantesco passo in avanti in questa direzione ma stabilire i valori della democrazia richiederà delle intere generazioni”.

“Per decenni – ha aggiunto Lahham – la gente ha avuto paura dell’autorità, ora sono le autorità a temere l’opinione pubblica. E’ un bene, quindi, che i giovani manifestino ma tuttavia essi non devono perdere il senso della realtà perché non si può avere tutto e subito”.

E se i tempi fissati per la transizione democratica sono ancora lunghi (“in fondo due anni sono niente nella storia di una Nazione!”), questo tempo di attesa, scrive Lahham nella lettera pastorale “ci permette di pensare in tutta libertà, di sperare, persino di sognare ma sempre con spirito positivo e ottimista, malgrado le difficoltà, le incertezze e le sorprese che conoscerà il Paese e noi con lui”.

Di questa transizione, afferma Lahham, “noi siamo sentinelle ottimiste e meravigliate”. Occorre, tuttavia, che la Tunisia sappia resistere “alle tentazioni del dominio, del possesso e dell’interesse personale per far posto al più piccolo e al più fragile perché solamente questa scelta apre le porte alla libertà, al rispetto di tutti nelle loro differenze, al senso del servizio autentico e soprattutto al perdono degli errori passati”.

Radici religiose

Per quanto riguarda il nuovo assetto istituzionale “noi siamo certamente – afferma Lahham – per la separazione della ‘moschea dallo Stato’, ma una società democratica sana deve avere come base dei valori che hanno una radice religiosa: libertà, rispetto, pace, uguaglianza, scelta preferenziale per i poveri, solidarietà”.

A questo proposito la Tunisia può tener presente l’esperienza dell’Occidente i cui errori – “è sufficiente pensare al problema degli immigrati” – nascono dalla perdita di quella prospettiva sulle situazioni ispirata dai valori evangelici cui si rifacevano i padri fondatori dell’Europa “a vantaggio dell’interesse personale delle persone e dei popoli”.

“Non per niente – afferma Lahham – gli ultimi due Papi non hanno cessato di ricordare agli uomini politici le radici cristiane dell’Europa”.

A partire da queste considerazioni “noi speriamo – prosegue la lettera pastorale – che la Tunisia possa trovare una buona strada per ciascuna delle aspirazioni spirituali e religiose dei suoi cittadini e dei suoi ospiti”. Si auspica, inoltre, che “la nuova Tunisia sappia vivere allo stesso tempo la transizione democratica e l’appartenenza al mondo arabo musulmano e che trovi la strada per conciliare la fedeltà al Dio unico con i doni della modernità”.

In questo modo davvero “la costruzione democratica rappresenterà l’arrivo alla Terra promessa”.

Laboratorio di democrazia

Il passaggio storico che interessa la Tunisia e il travaglio verso una nuova fase di definizione istituzionale è la stessa che stanno attraversando altri Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

“La primavera araba è reale”, ha sottolineato Lahham parlando ai giornalisti. Secondo l’arcivescovo di Tunisi, “i paesi arabi stanno vivendo, ciascuno nel suo contesto particolare, una promettente primavera”. “Siamo invitati – ha concluso Lahham – a seguire con realismo e ottimismo tutto ciò che passa nel mondo arabo-musulmano”.

Tuttavia “la primavera resiste, come dimostrano le vicende di Tunisia ed Egitto, se viene dalla gioventù con la sua rivendicazione di libertà, dignità, trasparenza, giustizia, eguaglianza, possibilità di scelta personale”. Essa appassisce, invece, “quando si sovrappongono visioni geo-politiche, strategie economiche e di risorse energetiche, interferenze straniere”. In questa prospettiva, “la Tunisia rappresenta un laboratorio di democrazia per i paesi arabi: se il processo verso la transizione democratica riesce qui può avvenire lo stesso altrove e magari cambiare assetti consolidati nelle relazioni internazionali”.

Occorre, però, ha invitato l’arcivescovo di Tunisi, “aiutare l’economia e risollevare il turismo che dà lavoro al 25% della popolazione”.

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