TURCHIA – ( 1 Ottobre )

Le aperture di Erdogan non soddisfano il partito curdo di Turchia



Il partito curdo di Turchia, Bdp, si è dichiarato insoddisfatto del pacchetto di riforme annunciato dal premier Erdogan con l’obiettivo di tenere vivo il processo di pace con i ribelli del Pkk. Erdogan si impegna a rimuovere il bando delle lettere “Q, X, W” – usate dai curdi – nell’alfabeto turco, che si potrà studiare in curdo nelle scuole private; potranno inoltre essere ripristinati i nomi curdi delle località del ‘Kurdistan’ e potrebbe essere abbassata la soglia del 10% per le elezioni politiche. I curdi chiedono anche la modifica delle leggi anti-terrorismo e la liberazione delle migliaia di attivisti arrestati negli ultimi anni. Per valutare le proposte, Fausta Speranza ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:RealAudioMP3

R. – Aperture in senso molto relativo. Mi sembra che il tratto saliente – quello che concerne la libertà di indossare il velo per le donne che lavorano negli uffici pubblici – sia un’altra misura che va nella direzione della reislamizzazione della società turca. Si colloca quindi in perfetta continuità con quella serie di provvedimenti che nella scorsa estate avevano poi provocato le proteste dei giovani e dei kemalisti nelle maggiori città della Turchia. Non vedo una vera svolta sotto questo punto di vista, ma soltanto l’accentuazione di un percorso che mi pare chiaramente delineato.

D. – Parliamo in particolare delle richieste dei curdi: c’è quella di studiare in lingua curda nelle scuole pubbliche ed Erdogan risponde con il permesso nelle scuole private; poi una maggiore autonomia nell’amministrazione del Kurdistan… Sono possibili passi nel processo di pace con il Pkk?

R. – Sono possibili, anche probabili, se la controparte accetta. Del resto, anche questo mi sembra piuttosto in linea e del tutto organico rispetto ad un processo di trasformazione dell’identità della Turchia, che sembra accompagnare tutta la vicenda politica dell’Akp. Se la Turchia esce dalla tradizione del kemalismo – tradizione della piccola Turchia Stato nazionale – e rilancia invece la Turchia come centro di un’entità politica neo ottomana quindi multinazionale, una coesistenza della nazione turca con quella curda all’interno della Stato fondato da Ataturk, ci sta perfettamente. Credo che tutto questo sia piuttosto logico rispetto a tutta l’impostazione di un progetto.

D. – Possiamo contestualizzare a livello geopolitico quanto sta accadendo in Turchia?

R. – Sicuramente la Turchia gioca un ruolo da protagonista anche se le vicende dell’ultimo anno e mezzo hanno un po’ ridimensionato il suo ruolo su quanto sta accadendo nella regione. Credo che l’elemento più importante della dinamica che stiamo osservando è l’affermazione in Iran di una leadership riformista che può raccogliere finalmente l’appello al dialogo lanciato dal presidente Obama già nel giugno del 2009 ed al quale evidentemente si oppongono quei Paesi che non hanno interesse che la riconciliazione tra Teheran e Washington prenda corpo; penso in particolare all’Arabia Saudita. Mi preoccupa in parte – ma comunque meno – anche l’atteggiamento israeliano: Israele teme che da una riconciliazione tra gli Stati Uniti e l’Iran possa derivare una condizione di isolamento e di indebolimento del proprio rapporto con gli Stati Uniti. Credo però che, opportunamente rassicurato, Israele alla fine possa anche accettare questo corso; mentre questo corso rappresenta una minaccia straordinaria per l’Arabia Saudita.

D. – Ci spiega meglio perché l’Arabia Saudita è “minacciata”?

R. – L’Arabia Saudita è sicuramente preoccupata dall’idea che gli Stati Uniti possano avere un secondo Paese come punto di riferimento nella regione del Golfo. L’Iran, per peso demografico e posizione, avrebbe poi un peso geopolitico decisamente superiore a quello che è in grado di rappresentare l’Arabia Saudita.

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del sito Radio Vaticana
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