TURCHIA – ( 3 Giugno )

I cristiani turchi a tre anni dalla morte di mons. Luigi Padovese

di Carlo Giorgi | 3 giugno 2013

Monsignor Luigi Padovese, vescovo
cappuccino di origini milanesi ucciso in
Turchia il 3 giugno 2010.

 

(Milano) – Ricorrono oggi i tre anni dall’assassinio per opera di un giovane musulmano di monsignor Luigi Padovese, vescovo cappuccino e vicario apostolico dell’Anatolia, in Turchia. Nel corso di questi tre anni un processo ha sancito la colpevolezza dell’omicida. Ma non è stato nominato un successore di Padovese come vicario apostolico, e la piccola comunità dei cattolici di Anatolia resta tuttora affidata alle cure di un amministratore apostolico (l’arcivescovo di Izmir, mons. Ruggero Franceschini). Abbiamo chiesto a padre Claudio Monge, superiore della comunità domenicana di Istanbul (e autore del libro Stranieri con Dio. L’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, recentemente pubblicato dalle Edizioni Terra Santa) di raccontarci quale sia oggi la situazione dei cristiani in Turchia.

Padre Claudio, partiamo dal processo all’assassino di monsignor Padovese.
Murat Altun, il giovane autista che uccise barbaramente mons. Luigi Padovese il 3 giugno del 2010, è stato formalmente condannato a 15 anni di carcere, nel gennaio di quest’anno. Come era facilmente prevedibile, il processo non ha contribuito però a fare piena luce sul movente. Se la richiesta di constatazione di infermità mentale dell’assassino non ha avuto seguito, l’impressione è che sia difficile attribuire il delitto a delle motivazioni semplicemente religiose. In ogni caso, nulla potrà riportare in vita l’amico vescovo Luigi. Poco consolante è anche il fatto che, a distanza di tre anni, il vicariato d’Anatolia resti vacante, senza che la Conferenza episcopale di Turchia abbia saputo o voluto prendere coralmente delle iniziative per un ripensamento pastorale di insieme.

Come si vive oggi da cristiani in Turchia?
In un Paese di oltre 74 milioni di abitanti (crescita che negli ultimi anni è sicuramente rallentata ma con effetti non ancora così rilevanti, in una società con una popolazione estremamente giovane) e dove i musulmani, almeno come riferimento sociologico, sono oltre il 97 per cento (espressione di un Islam, per altro, molto variegato e diviso in decine di appartenenze), i cristiani non rappresentano neppure lo 0,2 per cento della popolazione e cioè più o meno 150 mila unità. Non possiamo dire che sia una minoranza oppressa, né formalmente minacciata (gli omicidi di don Andrea Santoro, di mons Luigi e dei tre impiegati della casa editrice protestante Zirve di Malatya, tra il 2006 e il 2010, non possono essere considerati, benché efferati, rappresentativi di una realtà quotidiana), ma si tratta di una minoranza fondamentalmente irrilevante.

Il numero dei cristiani in Turchia sta però lentamente aumentando…
Quando parlo di irrilevanza non penso tanto ad una questione numerica. In effetti si sta registrando forse addirittura un leggero incremento di una presenza cristiana: dopo i tanti rifugiati iracheni durante la seconda guerra del Golfo, è iniziato l’arrivo massiccio di immigrati sub-sahariani, non necessariamente immigrati della disperazione ma anche studenti universitari, oltre che un aumento costante di cristiani dall’Est Europa e dell’Asia orientale, soprattutto filippini… L’irrilevanza della minoranza cristiana però è di natura giuridica, da un lato, e pastorale dall’altro… Giuridicamente parlando, alcune Chiese, come quelle cattoliche di rito latino, caldeo e siriaco, non sono legalmente riconosciute e quindi non possono neppure aspirare alle recenti promesse di restituzione dei beni confiscati all’epoca della creazione della Repubblica turca (1923) o, più recentemente, tra gli anni 1936-1960. A questo proposito, sarebbe già sufficiente vedersi riconosciuta la regolare proprietà degli edifici in uso! Un segnale recente assai positivo, è che nel quadro delle trattative avviate per la riforma della Costituzione turca, il patriarca greco ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I, interpellato da una commissione parlamentare, ha per la prima volta formulato delle proposte che vanno nel senso dei diritti di cittadinanza e non più di minoranze prese in blocco come entità storico-etniche separate!
In altre parole, i non-mussulmani, indipendentemente dalla loro appartenenza, chiedono l’uguaglianza di trattamento dovuta ai cittadini turchi a tutti gli effetti e una ripartizione equa dei fondi pubblici destinati ai servizi religiosi ed educativi. I tempi si prospettano lunghi e le trattative sono rese particolarmente difficili anche dalla colpevole frammentazione del fronte cristiano. Qui si inserisce la già evocata debolezza pastorale: abbiamo Chiese senza una vera leadership, che faticano a fare unità al loro interno e che quindi sono, a maggior ragione, incapaci di dialogare tra di loro e intrattenere dei rapporti non semplicemente formali e di circostanza. Manca un pensiero teologico per capire davvero che cosa significhi essere cristiani in una Terra Santa del cristianesimo, riannodando un rapporto vitale con la parola viva del Vangelo, reagendo ad ogni tendenza di ripiegamento sterile su un passato mitizzato e imbalsamato in reliquie da spolverare.

Qual è l’impatto sul mondo cristiano dell’esodo massiccio di profughi dalla guerra civile in Siria?
Prima di tutto, ad oggi, circa 250 mila siriani che fuggono dalla guerra Civile che insanguina il loro paese, sono passati in Turchia: cinque volte tanto, rispetto a quanti inizialmente si credeva di poter accogliere. Li hanno distribuiti in 17 campi profughi installati lungo i 900 chilometri di frontiera comune. Il governo turco ha fatto il possibile per evitare che questa nuova ondata di arrivi si ripercuotesse su tutto il Paese e soprattutto in megalopoli come Istanbul che già scoppiano. Sono in corso di allestimento alcune nuove tendopoli, tra cui una à Midyat, città della provincia di Mardin (nel sud est del Paese, a una cinquantina di chilometri dalla frontiera siriana, terra storicamente ad alta presenza cristiano siriaca). Questa struttura sarà riservata dal governo di Ankara, ai rifugiati cristiani di rito siriaco, la principale comunità cristiana di Siria. Non siamo convinti che questa iniziativa debba essere salutata in modo particolarmente positivo, perché perpetua ancora la logica settaria di un trattamento emergenziale che non apre grandi prospettive per il futuro. La sacrosanta necessità di trovare dei riferimenti spirituali e pastorali radicati nelle proprie tradizioni, non può continuare a condannare le minoranze religiose ad una (auto)ghettizzazione con esiti presto o tardi discriminatori.

(Tutte le omelie e gli scritti pastorali di mons. Padovese in un libro edito dalle Edizioni Terra Santa)

 

Il testo completo si trovano su:

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5258&wi_codseq=  &language=it

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