VATICANO/ITALIA/ISLAM – (9 Aprile 2019)

Abu Dhabi: Papa Francesco e al-Tayyeb firmano il documento sulla fratellanza

Gregoriana: riflessione sul documento di Abu Dhabi sulla fratellanza

Il Centro Studi Interreligiosi dell’Università e il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (Pisai) hanno promosso un forum di approfondimento sul documento firmato lo scorso 4 febbraio ad Abu Dhabi da Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb

Eugenio Murrali – Città del Vaticano

“La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”. Si apre così il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, su cui ha iniziato i suoi lavori il Gruppo di ricerca “Centro Studi Interreligiosi – Pisai” con un forum di approfondimento, che si è tenuto ieri sera alla Pontificia Università Gregoriana e ha visto partecipare il teologo musulmano Adnane Mokrani e il direttore del Centro Studi padre Laurent Basanese, moderati da don Valentino Cottini.

Il diritto di sognare

Il “Documento sulla fratellanza umana” segna un nuovo orizzonte per il dialogo islamo-crisitano e non solo. Non è un documento idealista, ma offre un’opportunità e ristabilisce il “diritto di sognare”, specialmente per i giovani, che, sottolinea Adnane Mokrani, “sono il motore del cambiamento, la speranza del futuro, e hanno una sete grande di libertà, democrazia, diritti umani, cittadinanza piena”.

Ascolta l’intervista ad Adnane Mokrani

R. – I giovani sono il motore del cambiamento, la speranza del futuro ed hanno una sete grande di libertà, democrazia, di diritti umani, di piena cittadinanza. C’è una nuova coscienza che sta crescendo. Dunque vediamo invece che i governi, soprattutto quelli del mondo arabo, sono fragili e conservatori. Cercano di aprirsi un po’, ma hanno bisogno di un grande cammino di riforma che non si vede chiaramente in questo momento. I popoli hanno il desiderio di cambiare le cose.

Lei sottolinea tre passaggi importanti a livello di contenuti: Dio, la gente, i valori …

R. – Servire Dio significa servire la gente e in particolare i deboli; servire la gente significa attualizzare i valori fondamentali. Chi riesce ad attualizzare questi valori, in verità serve Dio. Dunque c’è una complementarietà, perché Dio non ha bisogno di essere servito, ma è servito nei deboli e il servizio dei deboli è l’espressione vivace, reale dei valori vissuti.

Perché questo documento sia attuabile, lei sottolinea l’importanza di un dialogo interreligioso credibile …

R. – Certo; e soprattutto non chiedere cosa hanno fatto gli altri. La vera domanda è cosa possiamo fare noi e la nostra responsabilità collettiva? Non aspettare miracoli da altre persone. Dobbiamo prenderlo come nostro programma, nostra visione, nostra aspirazione. Questo lo vedo come un programma per il futuro. Il tema della libertà, il superamento delle minoranze verso una cittadinanza piena, è dunque un tema del futuro sia in Oriente sia in Occidente.

Un documento per tutti …

R. – È un documento per tutti: per l’umanità. Nonostante il punto di partenza sia islamo-cristiano, l’indirizzo finale è umano.

È un invito a superare anche le tesi di Huntington …

R. – Sì, la tesi di Huntington, “lo scontro delle civiltà”, è una tesi di conflitto eterno. Sembra un conflitto naturale presente nel Dna delle culture. Questo è sbagliato. Una persona che crede nella misericordia divina, nella sapienza divina e crede nel disegno buono di Dio non può credere che il destino dell’umanità è solamente fare guerra. Questo è anti religioso e anti umano.

Una responsabilità comune

Dall’analisi del teologo emerge che il Documento mette al centro la fratellanza cosmica di tutte le creature. Appare evidente che il nostro pianeta non può sopravvivere senza un’idea di responsabilità comune davanti a Dio e davanti all’umanità e al creato. La mancanza di amore e di solidarietà feriscono la fede e non permettono quello che nel testo viene indicato come “incontro pieno di speranza per un futuro luminoso per tutti gli uomini”. D’altronde, osserva nel corso dell’incontro il teologo, “questo documento è nato in uno stato di emergenza, in cui ci sono tanti conflitti. Non abbiamo un destino separato, ma un unico destino per tutta l’umanità. E siamo tutti responsabili”.

Libertà e pluralismo

Mokrani, in questo primo forum di riflessione, si sofferma inoltre su un paragrafo del documento in cui leggiamo che il “pluralismo e la diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina” e richiama anche, a questo proposito, le precisazioni fatte da Papa Francesco durante l’udienza generale del 3 aprile, quando il Pontefice ha ricordato la voluntas permissiva cui facevano riferimento i teologi della scolastica. Padre Laurent Basanese fa notare, inoltre, che per la prima volta, in un documento di questo genere, si parla di “libertà di credo”.

Un documento nuovo

Padre Basanese mette in evidenza, più in generale, l’originalità del testo firmato dal Papa e da Al-Tayyeb. Non è infatti un documento sul “dialogo interreligioso” in senso stretto, espressione che non appare, “invece si parla – spiega lo studioso – di dialogo di culture, è un invito a incontrarci a sederci insieme tutti: credenti e non credenti, persone di buona volontà”.

Il dialogo dell’amicizia

Da Paolo VI, passando per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI fino ad arrivare a oggi, padre Basanese vede un percorso: dal dialogo con il mondo, con le civiltà, al dialogo nella verità e nella carità, fino al dialogo dell’incontro e dell’amicizia. Per il teologo questa linea è evidente anche nei documenti di cui ha percepito gli echi: “Ho ritrovato Nostra aetate, ma anche Gaudium et Spes, dove si parla di fraternità, di gioia e di tristezza, come in questo documento”.

Ascolta l’intervista a Padre Basanese

R. – È la prima volta che un Papa e un Grande Imam di al- Azhar firmano un documento di questo genere, originale, perché non è un documento interreligioso nel senso del dialogo interreligioso, della buona intesa fra cristiani e musulmani, perché la parola, l’espressione “dialogo interreligioso”, “dialogo islamo-cristiano” non appare. Invece si parla di dialogo di culture. È un invito a incontrarci a sederci insieme, tutti, credenti e non credenti e persone di buona volontà. È molto originale perché si parla della prima volta di libertà di credo e per il mondo musulmano questa è una novità. Prima si parlava di libertà di culto, cioè che le persone, un cristiano, possono celebrare il culto in un Paese musulmano. Ma ci sono alcuni casi eccezionali dove non si può; ad esempio, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan. Ma altri Paesi musulmani, secondo il diritto, devono, cioè non possono proibire la celebrazione del culto cristiano o quello nelle sinagoghe. Adesso andiamo oltre: si parla di libertà di credo, di pensiero, quindi qualcosa di più importante.

Lei ha individuato una linea di 50 anni che porta questo dialogo dell’amicizia. Dove inizia e dove arriva?

R. – Da Paolo VI, passando per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI fino ad oggi, cioè il dialogo con il mondo, con le civiltà; con Papa Benedetto XVI, il dialogo nella verità e nella carità, fino a questo dialogo dell’incontro dell’amicizia fino ad oggi. Ma questo dialogo è presente anche nei documenti; ad esempio Nostra aetate, Gaudium et spes, quando si parla di fraternità, di gioia e di tristezza.

C’era anche la presentazione del gruppo di ricerca “Centro studi religiosi Pisai” …

R. – Sì fa parte di una piattaforma universitaria di ricerca sull’islam in Europa e in Libano che esiste da qualche anno. Tra un mese in vista di una pubblicazione tra due anni, un gruppo formato da undici professori provenienti dalla Gregoriana, dal Pisai inizierà i lavori. Rifletteremo secondo i nostri approcci, le nostre formazioni – chi più teologica, chi più spirituale, chi più islamistica, chi più sociologica-, su questo documento per dare il nostro contributo.

Il testo originale e completo si trova su:

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-04/gregoriana-riflessione-documento-abu-dhabi-fratellanza.html

 

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