YEMEN – ( 23 Gennaio 2015 )

Mondo Medio Oriente

Yemen: rischio caos dopo le dimissioni del presidente

– AFP

Si temono pensanti ripercussioni in tutta l’area per la situazione nello Yemen, dopo le dimissioni del premier e del presidente. I ribelli sciiti Houthi, che sono pronti a varare una giunta militare, minacciano l’arresto di alcuni ministri e hanno eretto barricate intorno al parlamento di Sanaa che ha annunciato una riunione straordinaria. Nella capitale, intanto, si organizzano manifestazioni a favore dell’esecutivo dimissionario. E sono molte le regioni – soprattutto del sud, a maggioranza sunnita – che rifiutano di prendere ordini dalle istituzioni del nord. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI):

R. – Il rischio più imminente, più che quello di una scissione, purtroppo, è quello di un vero e proprio caos. Mi viene in mente il paragone con quanto sta accadendo in Libia: sono così tanti e così eterogenei i gruppi presenti nel Paese, e rappresentano anche così diversi interessi, che prima di arrivare ad una vera e propria scissione, più o meno strutturata, c’è da interrogarsi su quanto potrebbe ancora andare avanti questa situazione. In realtà è una situazione di confusione, quasi di guerra civile.

D. – Il rischio guerra civile è veramente così elevato?

R. – Il rischio c’è. E tra l’altro non rappresenta una novità per lo Yemen. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che ci sono anche istanze indipendentiste nel Sud del Paese come retaggio dello Yemen diviso fino agli anni ’90. Infine lo Yemen è roccaforte di una buona parte del movimento di Al Qaeda nella Penisola Arabica.

D. – E ovviamente adesso diventa terreno ancora più fertile per il terrorismo …

R. – Sì, e anche questa non è una novità. Del resto non sappiamo ancora se le rivendicazioni siano vere o meno, ma gli stessi attentati di Parigi, in qualche modo, sono stati ricollegati ad Al Qaeda proprio in Yemen, nella Penisola Arabica.

D. – Quali ripercussioni potrà avere questa situazione nell’area del Golfo?

R. – Crea sicuramente un potenziale problema soprattutto per l’Arabia Saudita. E anche per le monarchie arabe del Golfo che sono quelle che più di tutte politicamente potrebbero risentire di  questo cambiamento di equilibri nello Yemen.

D. – Poi c’è anche la Somalia da quelle parti …

R. – Tutta l’area del Corno d’Africa, del Golfo di Aden, è molto calda. La Somalia è il classico esempio di quello che in letteratura viene definito “a failed State” – uno Stato fallito – in cui vi sono almeno quattro o cinque entità che si proclamano autonome e in cui vi è un gruppo molto attivo legato ad Al Qaeda:  il gruppo degli al Shabab. Quindi la situazione ha sicuramente delle connessioni con lo Yemen.

D. – C’è un margine di intervento da parte dei Paesi esteri?

R. – Sostanzialmente soltanto le monarchie del Golfo potrebbero intervenire in qualche modo per cercare di risanare questa crisi. D’altro lato, è pur vero che in molti parlano del ruolo di un altro attore, cioè dell’Iran, in questo caso in funzione pro-sciita. Anche questo complica il quadro: lo Yemen è diventato, in parte, un terreno di scontro tra le due potenze mediorientali che sono Iran e Arabia Saudita. Però non dobbiamo pensare soltanto a questo aspetto perché appunto comunque ci sono tanti problemi di natura interna che devono essere risolti prima che potenze straniere possano riuscire ad intervenire.

D. – Sul fronte occidentale qual è la posizione di Stati Uniti ed Europa?

R. – La posizione dell’occidente è quella di non riconoscere questo tentativo di colpo di Stato. Il governo riconosciuto è sempre quello che per il momento, sebbene sulla  carta, è ancora in carica. Poi, però, come ci insegna anche la storia di questi ultimi anni, bisognerà vedere come confrontarsi con una situazione che invece, di fatto, potrebbe veramente cambiare. Non è detto che nel medio-lungo periodo anche le potenze occidentali non cerchino di ricollocarsi proprio a livello di posizione politica nell’area.

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