All’università di Betlemme un “corso di amicizia” fra cristiani e musulmani
P. Iyad twal è il decano della Facoltà per gli studi religiosi e docente di religione cristiana. Durante il corso sul dialogo interreligioso si creano legami di amicizia fra studenti e con i docenti. L’esempio di come la religione sia “strumento di pace”. L’auspicio è ampliare il programma estendendolo a tutti gli atenei della Terra Santa, coinvolgendo “dal lato umano” cristiani, musulmani, ebrei.
L’Università cattolica di Betlemme è nata dietro precisa intuizione di papa Paolo VI nel 1973 e oggi, a distanza di 40 anni, accoglie migliaia di studenti nelle cinque facoltà, che spaziano dall’economia alla medicina. Al suo interno è attivo da qualche anno un corso dedicato al dialogo interreligioso, frequentato da studenti cristiani e musulmani, anche di altre facoltà, che presenta le basi della fede delle due grandi religioni. Non con una prospettiva accademica, ma mettendo in evidenza il lato umano, i punti di contatto, gli elementi di pace e convivenza di cui entrambe sono portatrici.
Il corso è articolato in cinque sessioni per ogni semestre, ognuna delle quali ospita sino a 45 studenti. Si tengono tre ore di lezione a settimana, per un totale di 16 settimane; esso è suddiviso in due parti, una curata da un docente cristiano e da un insegnante musulmano. I due corsi, sul cristianesimo e l’islam, sono separati ma vi sono anche incontri in cui si affronta un tema in comune. “Prima di Natale – spiega p. Iyad – abbiamo fatto un incontro pubblico con tutti gli studenti, affrontando il tema della resistenza pacifica nell’islam e nel cristianesimo”.
Si tratta di corsi aperti a tutti, frequentati dalla grande maggioranza dei giovani universitari pur essendo facoltativo ai fini della laurea. E attira l’attenzione non solo degli iscritti al Dipartimento studi religiosi, ma “pure fra ragazzi e ragazze di infermieristica, scienza, etc”.
Alla base del corso, i cui primi passi sono stati mossi 12 anni fa, l’idea di aiutare cristiani e musulmani “a conoscersi meglio”, sottolinea p. Iyad, vincendo “pregiudizio e ignoranza” che molte volte ostacola l’incontro. Del resto vi sono anche problemi ti natura concreta – i cristiani vivono soprattutto nei grandi centri, i musulmani dei villaggi spesso non hanno occasioni di incontro – che non facilitano gli scambi. “Noi vogliamo dare ai giovani di entrambe le fedi – aggiunge – la possibilità di capire la religione dell’altro, non col proposito di evangelizzare o fare paragoni, ma solo per spiegare, presentare, raccontare ciascuno la propria fede come crede… una testimonianza!”
Come sottolinea il decano della Facoltà per gli studi religiosi, i corsi servono innanzitutto per vincere pregiudizi e ignoranza. Al riguardo il sacerdote racconta alcuni esempi concreti: “I musulmani si chiedono come sia possibile che Gesù sia figlio di Dio, come Dio possa aver fatto sesso con Maria… non capiscono – racconta p. Iyad – e noi illustriamo il concetto dell’Immacolata concezione della Trinità. Ecco che così capiscono il dogma, si schiariscono le idee, si abbattono muri e ignoranza. E poi ai musulmani piace l’idea di un Dio che sia amore”.
Un altro elemento ricorrente nei corsi è l’appartenenza comune alla Terra Santa, “noi tutti siamo cittadini di questa terra. Ed essere un cittadino di questa terra – avverte – vuol dire anche accettare che le tre religioni monoteiste sono di questa terra. Un cittadino deve conoscere la storia, e dentro la storia ci sono le tre religioni. Non vi sono infedeli, non vi sono anomalie”.
Come emerso da un sondaggio svolto prima di Natale fra gli studenti, questo corso a molti “ha cambiato la vita” e oggi, aggiunge il sacerdote, vi sono diversi giovani (anche musulmani) che “vengono da me per una direzione spirituale, per confidarsi, mi chiamano padre [Abouna, ndr] perché si sentono vicini a noi. All’inizio sono freddi, poi con il progredire delle lezioni si formano dei bei legami”. L’auspicio, conclude p. Iyad, è che “non sia un programma limitato a Betlemme, ma venga esteso a tutte le università della Terra Santa, in Palestina e in Israele, “che non sia troppo accademico ma abbia un lato umano, abbracciando tutte e tre le religioni e frequentato da studenti cristiani, musulmani ed ebrei”.
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