Attentato in Tunisia: tre giorni di lutto nazionale
In Tunisia secondo giorno di lutto nazionale, dopo lattacco dei terroristi islamici, mercoledì, nella zona del Monte Chaambi, in cui hanno perso la vita 14 militari. La lotta al terrorismo rimane una delle priorità del governo, ha ribadito il premier Mehdi Joma. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Roberto Tottoli dellUniversità Orientale di Napoli e coautore del libro, pubblicato da Editrice La Scuola, LAutunno delle primavere arabe:
R. La comunità tunisina è una società effettivamente molto forte rispetto ad altri Paesi, molto più aperta rispetto al passato, ma vive anche queste contraddizioni. In Tunisia che è forse il Paese con una stratificazione laica più significativa queste forze diverse, religiose, salafite ed anche jihadiste cominciano ad emergere e questo recente attentato lascia presagire, in qualche modo, ad una risalita, anche qui e nelle zone dellAfrica subsahariana, della grande crisi jihadista.
D. Molti gli scenari drammatici aperti in questo momento: in Medio Oriente, Iraq, Siria, Afghanistan, anche la Libia vive una condizione di destabilizzazione e non riesce a pacificarsi. Cè un filo rosso in tutte queste crisi?
R. Cè il filo rosso dellopposizione ispirata a principi religiosi, ma in genere questi gruppi non sono tra loro coordinati, al di là di quella grande “etichetta” che è Al Qaeda, ma che non garantisce alcun coordinamento logistico se non un nome comune sotto il quale richiamarsi. Lorizzonte delle forze sul campo sembra molto più frammentato che coordinato. Certo esiste una matrice comune per molte di queste componenti.
D. Il califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato, proprio pochi giorni fa, di voler restaurare il Califfato. Si è riferito ad una realtà risalente al tempo degli omayyadi, ovvero, con unestensione che coprirebbe il Pakistan, il Medio Oriente, tutto il Maghreb sino ad arrivare in Spagna. È davvero un pericolo nellimmediato?
R. Nellimmediato non credo. Praticamente tutte le componenti dellislam, a parte pochi isolati, hanno respinto al mittente la pretesa: dai salafiti come Abu Muhammad al-Maqdisi, lo stesso Karadayi – tutte le componenti dellislam sunnita più o meno moderato – hanno contestato legittimità, fondatezza, requisiti morali… Quindi nellimmediato, più che fare presa sui convertiti jihadisti sparsi singolarmente per il mondo, non credo che possa avere grande ricaduta. Certo, se sopravvivrà nel tempo – così come Al Qaeda è stata unetichetta che ha coagulato alla lunga una serie di componenti sparse – potrebbe rivelarsi in qualche modo un veicolo in cui altre forze potrebbero appoggiarsi.
D. Secondo lei le Nazioni Unite in questo momento hanno la forza, percorrendo vie di dialogo e di mediazione, di disinnescare tutte queste crisi in atto?
R. Mi sembra molto difficile. Anche le vie percorse finora – quelle che hanno cercato sponde politiche in componenti locali – hanno dato scarso esito. Effettivamente, le crisi in molte regioni, da quella siriana o irachena, non lasciano intravedere per ora larghi spazi di intervento; del resto nemmeno i Paesi musulmani della regione sembrano voler contribuire, in qualche modo, a risolvere tale situazione. In questo ambito lEuropa, per posizione geografica, per interessi di vario tipo, dovrebbe impugnare unazione politica volta alla pace, a partire dalla situazione palestinese e poi rivolgersi alle aree circostanti.
D. UnEuropa, però, che dovrebbe essere più forte e più consapevole di se stessa…
R. Sicuramente. Però la via è questa: guardare al Mediterraneo come possibile percorso di sviluppo futuro, di relazioni sociali, economiche e politiche. Quindi, il Mediterraneo dovrebbe essere il baricentro della politica estera e fornire un nuovo modo di vedere lEuropa, non come ora.
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