Anche lo Stato islamico vanta dei «dipartimenti d’oltremare». Infatti, il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi non solo dimostra di essere, come recita il suo slogan, «saldo e in continua espansione» nel suo nucleo siro-iracheno, ma di espandersi anche in terre più lontane. Poco importa se le neo proclamate “province” non abbiano una solida assise territoriale.
Tra le “wilayat” staccate geograficamente dai  territori metropolitani, spicca quella del Sinai, proclamata in seguito  all’adesione del gruppo Ansar Bayt al-Maqdis (i Partigiani di  Gerusalemme) allo Stato islamico, avvenuta nel novembre 2014. 
Il gruppo è la fazione militante più attiva in Egitto ed è autore di diversi sanguinosi attacchi contro l’esercito e le forze di sicurezza del Cairo. Ci sono poi le tre province in cui è stata divisa la Libia: Barqa (la Cirenaica) con epicentro a Derna dove è nato il primo emirato del Nordafrica, seguita dalla Tripolitania e dal Fezzan, nel deserto libico. Nel suo messaggio del 13 novembre scorso, Baghdadi ha parlato dell’estensione della sua autorità ad altri territori ancora, citando espressamente l’Algeria e lo Yemen, ancora una volta grazie all’adesione al Califfato (ma meglio parlare di vere e proprie scissioni) di gruppi precedentemente legati ad al-Qaeda.
Il 16 febbraio scorso è  stata inoltre proclamata la nascita di una nuova provincia nel Khorasan,  una zona che nella geografia islamica corrisponde agli attuali Pakistan  e Afghanistan. La proclamazione di questa provincia ha rappresentato  una vera sfida alla tradizionale roccaforte di al-Qaeda di Ayman  al-Zawahiri, che vede ridursi la sua influenza. Qui la prima adesione  all’Is era arrivata dall’ex portavoce dei taleban pachistani,  Shahidullah Shahid, cui ha fatto seguito il giuramento di fedeltà allo  Stato islamico di dieci “emiri” taleban del Waziristan. La nuova wilaya è  stata affidata a Hafiz Said Khan, coadiuvato dallo sceicco Abdurrauf  Khadem, alias Abu Talha. Ogni Wilaya ha, infatti, un proprio Wali  (governatore), un emiro militare, un altro sciaraitico (incaricato di  dirimere le questioni giuridiche) e un altro ancora addetto alla  sicurezza. 
E persino un ufficio stampa. L’ultima “wilaya” in  ordine di tempo è quella nata l’8 marzo scorso nel nordest della  Nigeria, con l’adesione di Boko Haram, portando a trentuno il numero dei  movimenti jihadisti nel mondo che si sono uniti allo Stato islamico,  secondo un censimento effettuato da IntelCenter, un centro di  sorveglianza americano sull’attività dei gruppi estremisti.
Si  ritiene che l’adesione di Abubakar Shekau, leader del gruppo  terroristico nigeriano, sia stata dettata dalla grande offensiva  condotta da quattro Stati africani (Nigeria, Ciad, Niger e Camerun)  contro Boko Haram. Tuttavia, essa non ha mancato di suscitare grandi  entusiasmi a Mosul e Raqqa, le due “capitali” dell’Is. Grazie a questa  adesione, infatti, lo Stato islamico può propagare la sua influenza  lungo tutta l’Africa occidentale e orientale, un’area fino a poco tempo  fa chiusa al suo richiamo, ed esercitare una rinnovata attrattiva su  altri movimenti jihadisti attivi nel continente nero. 
Tra  questi, il movimento degli shabaab somali, attraversato sin  dall’uccisione del suo leader Ahmed Abdi Godano, nel settembre scorso,  da diverse tendenze. Negli ultimi mesi, infatti, è cresciuto tra i  leader del movimento il dibattito circa l’opportunità di unirsi al  Califfato oppure rimanere legati alla struttura mondiale di al-Qaeda,  alla quale aveva aderito nel 2012. Alcuni osservatori ritengono che la  tentazione di giurare fedeltà all’Is sia molto forte tra i membri di  al-Shabaab, anche per evitare di essere considerati i “paria” del jihad.  
I trentuno movimenti affiliati al Califfato assicurano  un’influenza all’Is ben superiore alla sua organizzazione  amministrativa. Essi coprono, infatti, un territorio che va dall’Algeria  all’Indonesia, ovvero da Jund al-Khilafah (una scissione dell’Aqmi, la  filiale africana di al-Qaeda) alla Jemaah Islamiyah. 
In  mezzo ci sono, oltre ai gruppi citati prima, Ansar al-Sharia della Libia  e i jihadisti tunisini che hanno rivendicato l’attentato al Museo del  Bardo costato la vita a 21 turisti, tra cui quattro cittadini italiani.  Altri dieci gruppi, secondo IntelCenter, hanno manifestato il loro  sostegno all’Is senza aver formalmente siglato un’alleanza.
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