La miccia              egiziana rischia di prendere nuovamente fuoco. E questo dopo la              diffusione, ieri, dei dati ufficiali delle elezioni presidenziali.              Al ballottaggio se la vedranno lex premier di Mubarak, Ahmed Shafiq              ed il leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi. Un risultato              che ha fatto riversare nella notte in piazza Tahrir, al Cairo,              migliaia di manifestanti, che hanno poi dato fuoco al quartier              generale di Shafiq. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
I giovani egiziani, quelli di piazza Tahrir, non ci stanno. Un pericoloso passo indietro  lo definiscono  rispetto a quella rivoluzione in cui hanno creduto fortemente; la stessa che, dopo mesi di braccio di ferro, ha portato via il presidente Mubarak. Una rivoluzione, però, dalla strada sbarrata, proprio da un collaboratore dellex capo indiscusso dellEgitto: il suo premier, Ahmed Shafiq, che ora se la vedrà al ballottaggio con il leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi. Comunque vada, insomma, dalle urne uscirà un presidente lontano dalle istanze dei manifestanti. Marcella Emiliani, giornalista esperta di Medio Oriente al microfono di Giada Aquilino:
Morsi e Shafiq sono due personaggi già              consumati agli occhi di quei giovani scesi in piazza per cacciare              Mubarak. Il più compresso è certamente Shafik, perché è stato primo              ministro: tra laltro, era stato eliminato dalla Commissione              elettorale, poi ha fatto ricorso ed è stato riammesso alla tornata              di consultazioni. Ora, il problema è vedere perché il voto degli              egiziani si sia concentrato su Shafiq, un personaggio ben poco              appetibile: cè chi dice che tutta la parte secolarizzata della              società non voglia uno strapotere dei Fratelli musulmani. Morsi è il              segretario generale del Partito Giustizia e libertà, quello che è              stato creato dai Fratelli musulmani, i quali  con le legislative               hanno già acquisito quasi il 50 per cento dei seggi in              Parlamento.
Lepicentro della protesta, comunque, torna a              Piazza Tahrir, simbolo di un cambiamento che stenta a venire e che              rischia definitivamente di non far sbocciare più quei fiori della              primavera araba, il cui odore di democrazia aveva inebriato i              giovani egiziani.