Dietro le quinte. La crisi Iran-Usa in cinque domande
Il generale Soleimani e l’ayatollah Khamenei sui manifesti della piazza a Teheran – Ansa
Perché Trump ha ordinato l’uccisione del generale Qassem Soleimani?
Ufficialmente perché, secondo l’intelligence Usa, stava preparando attentati contro obiettivi americani in risposta all’uccisione di miliziani filo-iraniani nei raid dei droni Usa. A credergli, secondo i sondaggi, è il 43% degli americani. A ritenere che sia solo una mossa per distogliere l’attenzione dall’impeachment è invece la maggioranza dei democratici, mentre molti osservatori ritengono che il presidente sia ormai ostaggio dei falchi della sua Amministrazione e della strategia del segretario di Stato Mike Pompeo che, con Israele, vuole mettere fuori gioco la politica di espansione regionale iraniana.
Il presidente statunitense Donald Trump – Ansa
La reazione iraniana c’è stata. Ora la palla passa a Donald Trump, saprà cogliere l’opportunità di abbassare i toni?
Non c’erano dubbi e c’è stata: la risposta iraniana alla morte del generale Soleimani è stata affidata a 22 missili sulle basi americane di Erbil e al-Asad. Resta il dubbio sulle vittime, ottanta per la tv di regime, nessuna per fonti Usa, Nato e irachene. La sostanza è che però per Teheran questo può bastare. L’ha fatto capire chiaramente il ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif parlando di risposta in base all’articolo 51 della Carta dell’Onu che prevede una reazione di fronte a un attacco stranieri, considerando come atto di terrorismo l’omicidio del generale dei pasdaran. Per la Guida suprema Ali Khamenei è stato assestato uno “schiaffo in faccia agli americani”, mentre la propaganda continua insistere sulle vittime inflitte agli Usa che devono lasciare la regione. Ma all’acme della crisi, paradossalmente, si è aperta anche una finestra di de-escalation. Trump nei giorni scorsi ha parlato di “risposta responsabile” da parte degli iraniani. Ora ha la possibilità di uscirne. Affermando – già tra poche ore – che la reazione iraniana è stata inconsistente, inefficace, potrà sottolineare che nessun americano è stato colpito. Insomma; che il vincitore della esibizione di muscoli con il regime degli ayatollah è lui. Nelle prossime ore capiremo se si va verso la guerra o la tensione accennerà a calare.
Lo spregio delle bandiere israeliana e statunitense a Teheran – Ansa
L’ultimo strappo sul nucleare, con l’abbattimento di ogni limite dell’arricchimento dell’uranio stracciando l’accordo fatto con l’Occidente nel 2015, che conseguenze può avere?
Dal punto di vista pratico è solo l’ultimo passo, il quinto, dopo l’annuncio di Teheran di voler progressivamente abbandonare l’intesa dopo l’aumento delle sanzioni da parte di Trump nei confronti del regime. E l’imbarazzante disinteressa da parte dell’Europa che, con Francia, Germania e Gran Bretagna era tra i firmatari del cosiddetto patto tra Teheran e i 5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti più Germania e Ue), conosciuto anche come Piano d’azione congiunto globale, Pacg. Trump ha ribadito che l’arricchimento dell’uranio non porterà, alzando quindi la minaccia, all’acquisizione da parte del regime di ordigni atomici. La più grande paura anche dell’alleato di ferro Usa nella regione: Israele.
Il presidente iraniano Hassan Rohani nell’impianto nucleare di Bushehr – Ansa
I prezzi del petrolio e dell’oro sono schizzati alle stelle, non succedeva da anni…
Siamo stati abituati a una risposta anaelastica dei mercati agli eventi o sconvolgimenti geopolitici. Attentati terroristici compresi. In questo caso però la crisi riguarda l’area dalla quale provengono quasi i due terzi del petrolio mondiale. Per questo i timori, più che i fatti concreti, hanno alzato il pezzo del greggio fino a superare i settanta dollari al barile (ora è in calo): per tanti è stata però l’occasione per fari grandi affari con le plusvalenze giocando sulle stime future di vendita e incamerando a breve denaro senza muovere un dito. Lo stesso vale per l’oro che ha toccato i massimi dal 2013.
Il prezzo del petrolio è sull’altalena – Ansa
Le truppe italiane sono a rischio?
Come tutte quelle occidentali. In Iraq abbiamo 900 uomini, duemila in Libano e poche decine in altre missioni regionali. Il ridispiegamento delle nostre forze è però già in atto. La Nato ha fermato ogni operazione di addestramento delle truppe locali, alla quale partecipavano soprattutto i carabinieri.
L’altra notte i soldati italiani hanno lasciato la base americana a Baghdad, da due giorni sotto il tiro dei mortai. Il trasferimento dal compound Union 3 ha riguardato tutti gli uomini italiani impegnati nell’operazione di addestramento delle forze di sicurezza irachene – una cinquantina di carabinieri – ed è stato deciso dallo Stato maggiore della Difesa in accordo con i vertici della Nato. I soldati, che partecipano alla Nato Mission Iraq, non sono stati riportati in Italia, ma sono stati trasferiti in «un un’altra zona, sicura e non lontana». Anche la Germania ritirerà alcune delle sue truppe schierate in Iraq nell’ambito della della coalizione anti-Daesh. Lo ha annunciato il ministero della Difesa. Circa 30 soldati di stanza a Baghdad e Taji saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait, ha detto un portavoce del ministero della Difesa: il ritiro «inizierà presto». Anche gli inglesi stanno riducendo la loro presenza, come altri contingenti internazionali presenti.
Militari italiani in Iraq – Ansa
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