EGITTO – ( 4 Maggio )

Egitto: tra proteste e attentati al via la campagna elettorale per le presidenziali


“Stabilità sicurezza e speranza” per l’Egitto. Questo l’impegno del principale candidato alle elezioni presidenziali di fine mese, l’ex generale delle forze armate al-Sisi. Un sondaggio dell’istituto indipendente Basira ha rivelato che il 72% degli egiziani sarebbe pronto a votare per lui. Solo il 2%, invece, sarebbe a favore del candidato della sinistra Sabbahi. Intanto nel paese resta un clima di forte tensione per le proteste di piazza della Fratellanza e per il timore di nuovi attacchi terroristici da parte di gruppi islamisti legati ad Al Qaeda, che hanno minacciato di morte i due sfidanti. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Francesca Paci, esperta di Medio Oriente per il quotidiano La Stampa: RealAudioMP3

R. – Il quadro è un quadro di forte polarizzazione all’interno del Paese. C’è chi sostiene al-Sisi – buona parte della popolazione che ascolta il suo messaggio di lotta al terrorismo – e c’è l’unico suo avversario, l’unico che si è presentato e candidato, è Hamdin Sabbahi, che è il candidato della sinistra che arrivò terzo alle elezioni del 2012 finite con il ballottaggio tra Morsi e Ahmed Shafiq.

D. – Da parte dell’ex-generale al-Sisi, la promessa di combattere contro il terrorismo; da parte dei jihadisti, la promessa di continuare con le azioni terroristiche. Questa campagna elettorale prevedibilmente sarà segnata dalle violenze…

R. – Questo, di fatto, è il braccio di ferro, cioè quello che fa fare ad al-Sisi campagna contro il terrorismo. Al Qaeda, dagli Stati Uniti, ha denunciato il sostegno americano al golpe militare in Egitto in funzione pro Israele e questo fa anche sì che al-Sisi si senta forte di un consenso da “carta bianca”. Infatti, lui non ha presentato il programma. In questo quadro si innesta il suo avversario, Hamdin Sabbahi, che invece ha presentato un programma che è molto incentrato sulla giustizia sociale, sul compimento della rivoluzione, sul salario minimo da portare a circa 150 euro, sul rafforzamento della middle class egiziana.

D. – Sullo sfondo ci sono le proteste di piazza da parte della Fratellanza, animate peraltro anche dalle condanne dei tribunali contro i collaboratori del deposto presidente Morsi…

R. – Sì, il clima è molto teso. Una corte del Cairo ha appena condannato altri 102 sostenitori di Morsi a 10 anni di prigione. Sono a migliaia a processo. C’è il caso dei venti giornalisti di Al Jazeera che sono anche loro a processo con l’accusa di aver sostenuto i Fratelli musulmani. La giustificazione della lotta al terrorismo è quella che ha guidato a una forte repressione anche nella libertà di stampa in questo momento in Egitto.

D. – Come ne esce la rivoluzione di qualche anno fa?

R. – Continuano a confrontarsi in Egitto quelli che sono stati due “Moloch” della storia egiziana a partire dalla fine della monarchia: l’esercito, di cui al-Sisi è di fatto il rappresentante – nonostante si sia dimesso da tutte le sue cariche, ministro della Difesa e capo delle Forze armate – e dall’altra gli islamisti, i Fratelli musulmani e i loro simpatizzanti. La rivoluzione era stata, in realtà, iniziata da forze terze rispetto a questo che sono state poi sopraffatte. Esistono ancora. L’estate scorsa, infatti, avevano sostenuto l’azione dei militari e anche, inizialmente, la durissima repressione de Fratelli musulmani, dopo aver chiesto massicciamente – con milioni e milioni di persone in piazza – la cacciata di Morsi. Nei mesi successivi si sono viste strette di nuovo tra queste due forze: in piazza i sostenitori di Morsi e l’esercito che, con la scusa di difendere il Paese dopo essere stato acclamato a gran voce da milioni di egiziani in piazza, si sente autorizzato ora a riprendere in mano il Paese con il pugno di ferro. In teoria, queste forze dovrebbero sostenere Hamdin Sabbahi ma in questo momento è difficile immaginare uno scenario un po’ diverso da quello che è la vittoria di al-Sisi.

D. – Il tutto, per concludere, in un Paese in difficoltà dal punto di vista economico con il turismo che non riesce a decollare ormai da un bel po’ di tempo…

R. – Il Paese non si è più ripreso dalla caduta di Mubarak, dal 2011. Dicono che il turismo sia crollato del 60, 70 per cento, ed era uno dei pilastri dell’economia egiziana. In realtà, in questo momento, l’economia è puntellata solamente dai fondi del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Kuwait, e dalla speranza che dall’esterno arrivi un sostegno quantomeno alla stabilità. Questa è la battaglia di al-Sisi: nonostante i militari abbiano avuto un momento di forte tensione con gli Stati Uniti, loro vecchio sponsor – perché accusava gli Stati Uniti di aver sostenuto Morsi definendolo il legittimo presidente, cosa che di fatto era -, oggi gli Stati Uniti dicono, invece, che loro preferiscono non schierarsi dicendo che continuano a sostenere la road map egiziana verso la democrazia. Un apparente non schierarsi che, a questo punto, da parte dei sostenitori di Morsi e dei nemici della svolta autoritaria in Egitto, viene visto come un nuovo endorsement degli americani all’esercito egiziano.

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del sito Radio Vaticana
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