



LOnu scommette sulla tregua proposta da Lakhdar Brahimi che dovrebbe scattare venerdì e si prepara a organizzare una forza di mantenimento della pace nel caso in cui il cessate il fuoco sia duraturo. A accendere il semaforo verde per questa potenziale missione dovrà essere però il Consiglio di Sicurezza. Lentusiasmo del Palazzo di vetro è tuttavia smorzato dalla Lega Araba: Ieri Ahmad ben Hilli, braccio destro del segretario generale, ha detto che le speranze che la tregua sia rispettata sono debolissime. Ma ancor più delle parole sono i fatti a destare molti dubbi sulla possibilità che le armi possano presto tacere. Ieri il regime ha tentato di recuperare diverse posizioni perdute a Damasco, Aleppo, Idlib, Homs e Daraa, mentre gli scontri alla frontiera con la Giordania hanno provocato persino la morte di un militare del paese vicino. Sotto i bombardamenti è ancora Maaret el Nouman. Grazie alla conquista di questa località strategica i ribelli dal 9 ottobre controllano la principale via di approvvigionamento dellesercito. Intanto secondo lOsservatorio per i diritti umani è salito a 34.000 il numero dei morti dallinizio della crisi.
Aleppo, cuore economico e città più popolosa della Siria, è diventata il simbolo della guerra che sta insanguinando il Paese. La città da settimane è teatro di battaglie senza esclusioni di colpi, in cui a pagare il prezzo più alto sono i civili. Sulla drammatica situazione che vivono i suoi abitanti, Salvatore Sabatino ha intervistato il collega Cristiano Tinazzi, appena rientrato da Aleppo:
R. – La situazione che ho trovato è di estremo disagio per la popolazione civile. Chi può va via, cerca di scappare dalla Siria. Il problema è che adesso, allinterno del confine siriano si è formata una tendopoli di circa novemila persone che non possono neanche più andare in Turchia, perché il campo profughi è pieno, quindi si trovano in una zona che è una terra di nessuno e sono lì, fermi, aspettando la possibilità di poter passare.
D. – Ci sono numerose testimonianze anche di grande solidarietà tra la popolazione…
R. – Io – purtroppo ho avuto la sfortuna di assistere ad un bombardamento in diretta proprio nei pressi dellospedale di Al Chifa, ad Aleppo. Dopo pochissimi secondi, forse un minuto o due, le macchine di civili che andavano avanti e indietro, correvano per portare aiuto ai feriti, per tirarli fuori dalle macerie rischiando di essere, a loro volta, colpiti perché comunque continuavano a cadere proiettili di mortaio. Le persone poi vengono ospitate da altre famiglie, si cerca di dividere quel poco che si ha. Come a Sarajevo si formano code lunghissime per il pane e fin dalle sette del mattino: uomini, donne e bambini in fila, divisi, aspettando il loro turno. È una situazione che mette tutti a dura prova. Devo dire che poi adesso è stata colpita anche la comunità cristiana; vedremo che cosa succederà. Però quella zona della comunità cristiana è sotto controllo governativo, per cui è anche difficile parlare con i cristiani e cercare di capire il loro stato danimo.
D. Aleppo, da cuore economico della Siria, si è trasformata in cumolo di macerie ed epicentro delle violenze. Cè comunque una reazione della gente di fronte a quanto sta accadendo o no?
R. – Non vedono la fine del tunnel. Purtroppo la gente pensa a quello che deve fare ogni giorno per tirare a campare. Leconomia è ferma. Quasi più nessuno lavora, e si vive del minimo di sussistenza grazie alle raccolte di fondi organizzate nei villaggi dove qualcuno che ha più soldi di altri li mette a disposizione per comprare la farina, le lenticchie, un po di grano… le cose che servono per mangiare tutti i giorni. Di carne se ne vede poca sulle tavole delle persone. La benzina è aumentata incredibilmente, e la gente sta aspettando che in qualche modo la situazione si sblocchi o che dallesterno arrivino degli aiuti. Purtroppo non può entrare nessuno; nessuna ong riesce ad entrare in maniera concreta nel territorio siriano per aiutare la popolazione colpita da questa grave sventura.
D. – Insomma, come in tutte le guerre, anche quello che sta avvenendo in Siria è più drammatico di quello che possiamo immaginare noi che non siamo nel Paese…
R. Sicuramente. Io credo che non ci sia una percezione concreta. È la stessa cosa che è accaduta in Bosnia: fino a quando tutti focalizzano lo sguardo su quegli avvenimenti, tutto il mondo si mobilita. Però ormai è passato un anno e mezzo e 30 mila morti, e ancora si continua a non parlare della Siria, a non parlare della situazione siriana a meno che non ci sia unautobomba o che i morti superino le due trecento unità ogni giorno; allora in quel caso, magari, esce un articolo sui giornali. Però la realtà di tutti i giorni è veramente terrificante. A noi giornalisti è bastato stare una settimana dieci giorni per poter uscire traumatizzati da quella realtà, ma sapendo che comunque saremmo andati da qualche parte, e potevamo uscire. La maggior parte delle persone non ha nessun posto dove andare.