ARABIA SAUDITA – ( 8 Marzo)

ARABIA SAUDITA

Arabia Saudita, la lenta emancipazione delle donne nella società islamica maschilista

Nella monarchia islamica solo le nobili, mogli e figlie di grandi uomini d’affari hanno la possibilità di lavorare. Ma nel Paese almeno 1,7 milioni di donne sono disoccupate e segregate in casa. La battaglia di Reem Asaad, manager di successo, per dare dignità al lavoro femminile da sempre stigmatizzato dalla società regolata dalla sharia islamica.

Riyadh (AsiaNews/ Agenzie) – Fra le 100 donne più influenti nel mondo arabo, 15 sono saudite. A stilare la classifica è Ceo Middle East, rivista specializzata in analisi sulla regione medio orientale. La maggior parte di esse sono manager di successo appartenenti alla nobiltà locale, o mogli di grandi uomini d’affari. Lubna Olayan, a capo della Olayan Financing Company, occupa il secondo posto nella classifica, dominata dal Sheikha Lubna Al-Qasim, ministro degli Esteri degli emirati arabi uniti. Al terzo posto si torva un’altra saudita, la principessa Ameerah Al-Taweel. Tuttavia la loro condizione è molto diversa da quella delle migliaia di donne che vivono nel regno, colpite da un tasso di disoccupazione superiore al 30% frutto delle leggi islamiche che vedono la donna segregata in casa e le impediscono di lavorare.

In Arabia Saudita alle donne sono vietati varie tipologie di impiego. Le poche che hanno un lavoro, comprese quelle che operano nell’alta finanza, devono sempre sottostare al controllo di un “guardiano” uomo. A causa di tali restrizioni circa 1,7 milioni di donne non ha un’occupazione, anche se oltre il 50% ha una formazione universitaria. Il regno del Golfo è l’unico Paese al mondo che proibisce alle donne di guidare l’auto, votare alle elezioni e chiede di avere l’autorizzazione di un uomo per lavorare, viaggiare o aprire un conto in banca.

Reem Asaad, è una manager di successo impiegata alla Saudi Fransi Capital Bank, dove si occupa della consulenza sulle vendite e gli investimenti. Essa è divenuta famosa per aver iniziato nel 2008 una battaglia legale contro il regno per consentire alle donne di lavorare nei negozi di biancheria, sostituendo o affiancando i colleghi uomini.

“Tutto è iniziato nel 2008 – racconta la Asaad – mi trovavo in un negozio della capitale e stavo rovistando fra i prodotti, ma non riuscivo a trovare un reggiseno e slip della mia misura. Così ho provato ad aprire una delle scatole in esposizione, ma sono stata subito fermata dall’inserviente uomo, che mi ha ammonito sostenendo che non voleva avere problemi con la muttawa, la polizia religiosa”. Nei negozi di vestiti e biancheria non esistono camerini, quindi occorre andare a occhio. “Io però – sottolinea – sono una cliente esigente. Così sono andata alla cassa ho aperto la scatola e ho chiesto al commesso di provare il reggiseno sulle sue spalle, suscitando un vero e proprio scandalo”.

Tornata nella sua abitazione la Asaad pubblica la vicenda sulla pagina Facebook, lanciando un appello al governo per sostituire i commessi uomini con personale femminile. In breve tempo la notizia fa il giro del mondo e viene pubblicata dalla Bbc. L’imbarazzo del governo è tale che nel 2011 la monarchia propone una legge per inserire le commesse nei negozi. Il decreto impiega due anni per essere approvato e dalla autorità civile e da quella religiosa, divenendo ufficiale solo lo scorso gennaio.  

“Una proposta di legge esisteva già nel 2005 – racconta la donna – ma non era mai stata sperimentata, temendo la reazione violenta delle frange più conservatrici della società”. Tutte le aperture fatte in questi anni dalla monarchia, compresa quella che consente a deputate di sesso femminile di partecipare alle riunioni della Shura, sono soggette al vaglio delle autorità religiose e di tutta la società, dominata dagli uomini. “Il governo può fare poco – spiega – un esempio è la patente di guida per le donne. La riforma si farà solo se tutta la società sarà disposta ad accettarla. Lo stesso vale per il lavoro femminile. E’ la società non il governo che prende di fatto la decisione finale. Anche se vi sono le leggi, spesso non si applicano”. Quella sull’inserimento delle donne nei negozi di biancheria ha subito varie modifiche e infine è passata, ma con l’obbligo per tutti gli esercizi commerciali di erigere un muro alto fino a 1,80 per divedere i dipendenti uomini dalle donne. Nonostante ciò, la Assad sottolinea che tale possibilità lavorativa è un punto di svolta per la condizione della donna nel Paese: “In pochi giorni oltre 28mila ragazze hanno fatto richiesta per lavorare nei negozi delle principali città del Paese. Questo mostra un cambiamento, lento ma significativo della società. Le giovani saudite del 21mo secolo sono diverse da quelle delle altre generazioni. Esse sono disposte e desiderano lavorare, in passato le ragazze che faticavano per mandare avanti la famiglia erano malviste non solo dagli uomini, ma dalle altre donne”.

 

Il testo completo si trova su:

http://www.asianews.it/notizie-it/Arabia-Saudita,-la-lenta-emancipazione-delle-donne-nella-società-islamica-maschilista-27336.html

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