EGITTO – ( 17 Ottobre )

ANALISI
 
Riflessione sull’Egitto post-rivoluzionario
 

30 giugno 2013: una data da ricordare


In piazza Tahrir, come in moltissime altre piazze di tutto l’Egitto, e pure davanti a moltissime case, gli egiziani scesero a milioni per dimostrare la propria estrema scontentezza del regime dei Fratelli Musulmani e del presidente Morsi, eletto esattamente un anno prima. Scontentezza per le molte speranze andate deluse. Si parla di 30 milioni di persone. Una dimostrazione unica nella storia delle rivoluzioni. Dimostrazione pacifica, senza violenza. Dopo qualche mese di preparazione e di raccolta di firme, il movimento popolare Tamarrod (in arabo: ribellione) era riuscito a muovere milioni di persone per rovesciare il regime dei Fratelli Musulmani che ormai aveva trasformato la democrazia in una dittatura ideologica. Sono sceso anch’io in strada per partecipare a tale evento, storico per l’Egitto. Andando verso Tahrir, si respirava un’aria di festa. Un fiumana di gente andava e veniva dalla piazza, il ponte dei Leoni era stracolmo. Alcuni carri armati erano lì a presidiare. I soldati erano scesi e si mescolavano alla gente. Naturalmente, le ragazze erano fiere di farsi fotografare con qualche soldato, e questi più che fiero nel lasciarsi fotografare assieme a loro. Un paio di elicotteri dell’esercito volteggiavano sopra la folla, inseguiti dai raggi verdi delle penne laser; musica, canti, balli, e tutto il resto del folklore proprio del popolo egiziano. Si respirava un’aria di libertà, di gioia, di sollievo, di speranza, dopo un periodo duro, passato sotto un regime che aveva sempre più esercitato la dittatura della maggioranza, escludendo le minoranze da ogni seria partecipazione all’elaborazione delle istituzioni democratiche. Anzi, il presidente Morsi, con un discusso decreto presidenziale del 22 Novembre 2012, aveva avocato a sè pieni poteri che nessuno avrebbe più potuto contestare. Ormai le istituzioni statali erano sotto attacco: allontanato il Presidente della Corte Costituzionale, sostituiti ministri e governatori con esponenti del partito del presidente, intellettuali minacciati, emittenti televisive e giornali sotto tiro. Economia in caduta libera, disoccupazione alle stelle, prezzi in continuo aumento… Tutte le promesse delle elezioni erano evaporate… Verso aprile era comune, salendo sui mezzi pubblici, sentire la gente che criticava apertamente il regime, senza curarsi se ci fossero delle spie che potessero riferire le loro parole… Il popolo non ne poteva più…!

L’esplosione di gioia del 30 giugno è difficilmente comprensibile da chi non era stato partecipe della prima rivoluzione del 25 gennaio 2011, ‘scippata’ da forze esterne agli attori della rivoluzione, soprattutto i giovani. Invece di avviare un processo serio verso la creazione di istituzioni democratiche condivise, come in Tunisia, l’esercito egiziano dopo la caduta di Mubarak aveva preso in mano il potere e dopo un anno lo aveva passato ai Fratelli Musulmani, a Mohamed Morsi, il nuovo presidente eletto con elezioni più che discutibili e con una stretta maggioranza del 51%. Dopo un anno di regime autoritario, il popolo egiziano non vedeva l’ora di riprendere in mano il proprio destino e di poter determinare da sè quale sia il ‘vero presidente legittimo’, al di là dei trucchi del potere e delle connivenze occulte tra esercito, Fratelli Musulmani e varie potenze estere. Il movimento Tamarrod, che aveva organizzato il referedum per le dimissioni del presidente (con circa 22 milioni di firme, anche se sul numero si può discutere…), è riuscito a portare in piazza più di 30 milioni di persone, dando al presidente un ultimatum: entro 48 ore, dimissioni e referendum popolare, oppure disobbedienza civile, con il rischio di duri e sanguinosi scontri con il partito al potere che non avrebbe certamente accettato facilmente di perdere, appena un anno dopo, il potere che aveva rincorso per oltre 80 anni di persecuzioni e carcere!!

La risposta da parte del presidente è stata ripetutamente negativa: “…sono io l’unico presidente legittimo, democraticamente eletto!” Qualcuno aveva fatto notare che molti dittatori (vedi Hitler o Mussolini) erano stati anch’essi democraticamente eletti, ma che, come tutti sanno, quando un presidente diventa…un dittatore, perde la sua legittimità… Discorso inascoltato dai seguaci del presidente, ma anche da molti occidentali!

La tensione era alta… si temeva una catastrofe. Fu in quel momento che il generale al-Sisi, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Egiziane, entrò in campo per scongiurare che la situazione degenerasse in un conflitto civile, come spiegò di recente in una lunga intervista. Egli fece sue le richieste del popolo egiziano, propose al presidente di indire il referendum richiesto, altrimenti l’esercito avrebbe preso in mano il potere. Dopo l’ennesimo rifiuto, il generale mise in pratica la sua minaccia e fece mettere il presidente agli arresti. Dopo lunghe consultazioni con la società civile, partiti, sindacati, associazioni varie, anche con i rappresentanti delle due religioni ufficiali, i musulmani sunniti rappresentati dal Azhar e i copti ortodossi rapresentati da Papa Tawadros, il generale al-Sisi nominò un presidente temporaneo, Adly Mansour, Presidente della Corte Costituzionale, e questi a sua volta scelse un governo di tecnocrati per guidare la transizione, e formò una Commissione Costituente, composta dai rappresentanti di tutte le tendenze politiche, per preparare la nuova Costituzione e per procedere a nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Questo era il percorso giusto che si sarebbe dovuto seguire dopo la rivoluzione del 25 gennaio (come in Tunisia), e che per ragioni ancora misteriose (forse se non tanto!) non è stato fatto in Egitto.

Le cose sembravano andare per il meglio. Tutti si illudevano che finalmente il processo verso la democrazia si fosse rimesso in moto, sfatando un pregiudizio comune secondo cui il popolo egiziano, come pure tutti gli arabi, sia geneticamente allergico alla democrazia, sulla base della storia passata da cui si evincerebbe chiaramente che questi popoli hanno sempre vissuto sotto regimi dittatoriali, soprattutto militari.

Il 26 luglio, festa della rivoluzione di Nasser del 1952, ci fu un’oceanica dimostrazione di sostegno al generale al-Sisi, a piazza Tahrir, molto più massiccia di quella del 30 giugno. Il paragone fra le due rivoluzioni era sulla bocca di tutti; al-Sisi appariva il nuovo Nasser, venuto a salvare il popolo egiziano dalla miseria e dall’umiliazione. Ma… non solo l’Egitto, anche l’Occidente è stato salvato da una nuova ondata di estremismo islamico!

Il tradimento dell’Occidente

Tuttavia nessuno aveva calcolato la terribile reazione dei Fratelli Musulmani. Essi si erano accampati da tempo nel quartiere cairota di Nasser City, vicino alla moschea di Rabi’a al-Adawiyya, ma anche al Giza, vicino all’Università del Cairo, formando praticamente uno Stato dentro lo Stato. Con l’esclusione dal potere, la loro reazione si fece furibonda. Sbandierando lo slogan della ‘legalità’ di Morsi come presidente, cominciarono a rivendicare il suo diritto di ritorno al potere, come ‘l’unico presidente in tutta la storia dell’Egitto dai faraoni in poi ad essere stato eletto dal popolo con elezioni libere’!, dicevano. Questo slogan lo hanno ripetuto milioni di volte, abbagliando molti ingenui occidentali! Per chi era qui in Egitto tale slogan suonava come una favola ridicola. Ma quale non fu la meraviglia nel vedere che tale favola era stata accreditata dai più famosi canali televisivi dell’Occidente, CNN, BBC, France 24, RAI, e dai grandi giornali occidentali, persino dai nostri Il Corriere della Sera, Repubblica, al punto che in qualche intervista ho chiesto: “ma chi sono quegli ingenui… che scrivono su tali giornali?” L’inviata speciale RAI trasmetteva i suoi servizi solo ed esclusivamente dall’accampamento dei Fratelli musulmani, presentandoli come vittime della ferocia dell’esercito egiziano che aveva ripreso il suo solito stile dittatoriale. Non si dava un minimo spazio alla voce della maggioranza degli egiziani e dei promotori della rivoluzione. Non c’era un minimo di imparzialità ed obiettività, cosa essenziale per una stampa onesta, in cui si devono riportare tutte le opinioni, e non una sola. In realtà, se violenza c’è stata, essa è venuta da parte dei Fratelli Musulmani. Tutti lo sanno. Le manifestazioni anti-Morsi di piazza Tahrir infatti erano avvenute senza la minima violenza. Mentre il campo dei Fratelli Musulmani, come poi è apparso chiaramente, era pieno di armi di tutti i tipi, e molte violenze sono state compiute al suo interno, sotto il naso dei giornalisti esteri…, come numerosi testimoni hanno dimostrato. Anche la diplomazia occidentale si è dimostrata di una parzialità pachidermica, o se si vuole dinosaurica, con un totale appoggio alle richieste dei Fratelli Msulmani e una condanna dell’Esercito che aveva fatto, si diceva, un ‘coup d’état’, cioè una presa illegale di potere, come se si trattasse della rivoluzione di un colonello in una piccola… “Repubblica delle banane”. Tale informazione distorta è andata avanti per settimane, e ancora se ne sente l’eco. In Oriente la televisione del Qatar, al-Jazira, faceva da maestra nel peresentare una realtà sistemanticamente falsificata a scopo di propaganda. Anche il presidente turco Erdogan, che aveva una simile contestazione in casa sua, ha rivelato il suo vero volto, e da esemplare musulmano ‘moderato’, come aveva giocato con i politici occidentali, si è rivelato un solido sostenitore del fondamentalismo islamico.

Naturalmente ci si chiedeva costantemente che cosa ci fosse dietro tale plateale distorsione dei fatti. Possibile che l’Occidente e Israele si sentissero più al sicuro con un l’Egitto in mano all’estremismo islamico, ispiratore di moltissmi movimenti violenti in tutto il mondo? Non si sarebbe creato qui un concentramento di tali movimenti che certamente si sarebbero rivolti anche contro l’Occidente? La catastrofe delle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 sembra non avesse insegnato nulla ai nostri esperti politici…!

Sgombero delle piazze e reazione

Al termine del mese di Ramadan (dal 10 luglio al 10 agosto) trascorso con questa tensione, venne il momento di sciogliere ogni tipo di manifestazione violenta e di accampamento illegale. Dopo alcuni giorni di preparazione e di intimazioni allo sgombero, con l’offerta di un salvacondotto per chi voleva uscire, eccetto per coloro che avevano commessi delitti comprovati, dopo ripetuti rifiuti ad un’uscita volontaria da parte degli occupanti, il governo diede ordine di sgomberare tutti gli accampamenti, Rabi’a al-Adawiyya in testa. Nell’operazione ci furono molti morti, anche se le cifre variano in modo notevole da parte a parte. La reazione dei Fratelli fu una campagna generale di ‘terra bruciata’. Un’ondata enorme di violenza si abbatté sul Paese con uccisioni, distruzione di innumerevoli posti di polizia, istituzioni pubbliche (data alle fiamme anche la Facoltà di Ingegneria dell’Università del Cairo,) musei (dilapidato quello di Mallawi, vicino a Minya), chiese (circa 80), moschee, perfino la biblioteca del noto scrittore egiziano Hasanein Haykal, data alle fiamme con la perdita di circa 15.mila libri.

Ma anche qui si è constatata un’informazione molto parziale. I politici occidentali, ignorando tutto questo, continuavano ad insistere per il ritorno di Morsi, cosa che avrebbe provocato sicuramente una guerra civile, o la balcanizzazione del Medio Oriente, come in Iraq e Siria. Qualcuno insinua che tale è lo scopo di alcune potenze occidentali. Ma anche nei nostri ambienti ecclesiastici si è notata una certa parzialità di informazione, mostrando solo la distruzione delle chiese e accusando i musulmani in generale di esserne colpevoli, dimenticando che in moltissimi casi proprio i musulmani sono scesi in difesa delle chiese… Non si voleva vedere che tale disastro era frutto dell’estremismo islamico, professato da molti gruppi violenti fino al terrorismo, che colpisce alla cieca tutto e tutti, e che giudizi semplicistici e generalizzanti non aiutano certo la collaborazione fra religioni.

Gruppi armati integralisti si sono scatenati anche nel Sinai, lasciato di fatto dal regime di Morsi (si dice con il consenso di forze esterne) in balìa delle bande di estremisti islamici che ne avevano già occupato una buona parte. Oggi il Sinai è teatro di scontri violenti tra queste milizie e l’esercito egiziano che intende riprendere il controllo totale del territorio. Qualche giorno fà c’è stato un attentato contro il Ministro dell’Interno. Il governo sta dando la caccia ai responsabili dei Fratelli Musulmani, arrestati con l’accusa di incitamento alla violenza e terrorismo. I loro capi sono già agli arresti. Certo, la situazione non è ancora tranquilla, ma già si respira un clima più disteso, la gente ha ripreso ad andare al lavoro senza l’angoscia di ieri. Si spera che la situazione continui a migliorare, anche se i colpi di coda dell’estremismo fanatico continueranno per un pò a farsi sentire…

Intanto, il governo provvisorio continua a lavorare per la transizione democratica. L’Arabia Saudita e altre monarchie del Golfo, contrariamente ad ogni aspettativa, hanno offerto un poderoso aiuto finanziario per sostenere l’economia egiziana, minacciata anche dai possibili tagli dell’Occidente. Ma col passare dei giorni il nuovo volto dell’Egitto viene riconosciuto da un numero crescente di Stati. Anche molti paesi occidentali sembrano uscire dalla sbornia di disinformazione che li aveva colpiti durante gli ultimi mesi. La Commissione per la riforma della Costituzione è stata costituita. È composta di 50 membri, con i rappresentanti di tutte le correnti politiche e religiose. È al lavoro la migliore “intelligenzija” egiziana. Si spera che il processo democratico porti dapprima ad una nuova Costituzione e poi ad elezioni presidenziali e parlamentari. Tutti i ministri e governatori imposti dal regime precedente sono stati sostituiti da altri, più competenti, appartenenti a varie correnti liberali e al movimento Tamarrod. I rappresentati ufficiali delle religioni riconosciute in Egitto, l’Islam sunnita e le tre confessioni cristiane, la copto- ortodossa, la copto-cattolica e l’evangelica, fanno parte della commissione costituzionale. Per la prima volta, ne fanno parte anche i rappresentanti delle minoranze etnico-linguistiche: un nubiano e un beduino.

Quel che è accaduto recentemente in Egitto è della massima importanza. Finora l’Islam radicale ed estremista, il cosiddetto Islam politico, aveva continuamente progredito nei favori popolari, forse anche a causa della politica occidentale e di quella americana in particolare. Ora, per la prima volta, l’Islam politico viene battuto e fermato proprio dal popolo, quello stesso popolo che riteneva avere in suo possesso. Lo stesso sta accadendo in Tunisia, dove il partito al potere, el-Nahda, la versione tunisina dei Fratelli Musulmani, ha dovuto cedere di fronte alla pressione popolare. Si tratta di una svolta epocale per le società arabe? Assisteremo ora ad una rivincita dell’Islam moderato, illuminato, democratico, contro estremismo e violenza? Tutti ce lo auguriamo. Di sicuro, per ora, dobbiamo rendere onore al popolo egiziano che ha realizzato tale svolta, in circostanze drammatiche, e ha salvato dall’estremismo islamico non solo l’Egitto, ma probablimente anche l’Occidente. Naturalmente nulla è garantito nella storia umana, ma si spera che ora il cammino continui senza troppi ostacoli verso uno stato veramente democratico.

Un problema di fondo: la riforma islamica
Tuttavia, per comprendere a fondo i drammatici eventi che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, occorre toccare il problema di fondo che il mondo islamico nel suo complesso, religione, società e politica, sta oggi affrontando. Si tratta del confronto con la modernità. Il mondo islamico non ha ancora seriamente fatto i conti con la modernità. Modernità non significa tanto tecnologia avanzata con prodotti sempre più nuovi, quanto piuttosto il rispetto dei diritti umani, chiaramente enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata dall’ONU nel 1948. Questo significa, a livello della persona umana, libertà di coscienza, di opinione, di stampa, di espressione, di religione, ecc. A livello di società, significa: rispetto dei diritti civili uguali per tutti, libertà di associazione, separazione della religione dalla politica, dando a ciascuna il suo ambito e lasciando libertà a tutti, ecc.. A livello scientifico, significa libertà di ricerca e di studio in tutti i campi, libertà di critica e di espressione del proprio pensiero, senza condizionamenti. Queste sono importanti conquiste della modernità che si è sviluppata in Occidente dopo una tragica serie di guerre religiose, e che ora è offerta a tutta l’umanità, come nuova tappa del cammino umano.

Come sappiamo (e occorre tenerlo presente, per non essere dei farisei presuntuosi…), tale incontro-scontro con la moderntià è stato anche uno dei momenti più drammatici per la Chiesa Cattolica nei tempi moderni. C’è voluto del tempo, e anche tante… vittime!, prima che la Chiesa accettasse molti valori della modernità. Possiamo dire che solo con il Concilio Vaticano II (1962-1967) la Chiesa cattolica ha fondamentalmente accettato la modernità. Ed ora noi godiamo di quanto i nostri padri hanno sofferto e sudato per far maturare il pensiero della Chiesa, facendolo uscire dal ristretto orizzonte medievale verso un orizzonte aperto, moderno… Ma come sappiamo, ci sono sempre dei rigurgiti fondamentalisti al suo interno che talvolta si impongono con politiche occulte, fonti di non pochi scandali…

Tale problema si presenta ora al mondo islamico. Occorre una nuova lettura e nuova interpretazione del passato, proprio a partire dai testi sacri fondanti. Occorre una revisione fondamentale della shari’a (legge islamica), che per secoli ha regolato la vita delle comunità islamiche, ma che ora mostra tutta la propria inadeguatezza di fronte alle mutate esigenze della modernità. Si pensi a problemi come la questione della donna, i diritti delle minoranze, la reale libertà di religione e di coscienza, ecc… Il movimento dei Fratelli Musulmani, al pari di altri movimenti integralisti, incarna il rifiuto a muovere dei passi decisi verso la riforma della legge islamica. Anzi, essi ne vogliono un’applicazione letterale e gretta, nel modo più duro, fino all’estremismo e alla violenza, anzi al terrorismo!. Questo è il pericolo che incombe sull’Islam e sul mondo intero. Per cui tanto più preziosa ci appare la rivoluzione egiziana, e quello che è riuscita a realizzare per sè e per altri.

Occorre tenere presente che numerosi sono i musulmani che sinceramente cercano una riforma dall’interno dell’Islam stesso, che stanno elaborando una nuova lettura della shari’a, vista non più come una serie di precetti da applicare ad litteram, ma come un insieme di valori di fondo, come giustizia, libertà, uguaglianza, che concordano con le conquiste della modernità. Si tratta di fare una vera e propria ‘rivoluzione culturale’, come base di sostegno della rivoluzione politica-sociale, come in un recente congresso di intellettuali è stato sottolineato. Il martire sudanese, Mahmud Mohammad Taha, fatto giustiziare dal dittatore Nimeiry nel 1985, fu un esempio di ciò. I suoi discepoli continuano a fare conoscere il suo pensiero a livello mondiale. Ora più che mai abbiamo bisogno di dialogo con tutti, ma soprattutto con i musulmani, per unire insieme le forze positive da tutte le parti, per giungere all’elaborazione di principi comuni di umanità, su cui basare una vera convivenza civile e umana.

Speriamo che la dura prova che l’Egitto sotiene rappresenti un importante passo in avanti verso tale liberazione. Così l’Egitto, dopo essersi stato salvato dalle acque mortifere del fondamentalismo religioso, aiuti gli altri paesi, arabi e islamici in particolare, ad uscire essi pure da questo ‘pozzo di morte’, per un avvenire di maggiore solidarietà e fraternità. È su tale livello che si deve concentrare il nostro impegno di dialogo e collaborazione. Solo con una profonda e vasta azione in tale senso, sviluppata da tutte le forze ecclesiali, si può sperare in un’ avvenire in cui ogni essere umano sarà rispettato e accettato nella sua umanità e diversità. Solo allora si realizzerà la vera globalizzazione, non quella mercantile degli interessi economici dei grandi capitali, bensì quella dei valori umani universali: cioè un Umanesimo globale, sogno di molti riformatori contemporanei.

In tale contesto profetiche appaiono le parole di Papa Benedetto XIV: “Il dialogo interreligioso e culturale fra cristiani e musulmani non può essere ridotto ad un fattore opzionale extra. Esso è invece una necessità vitale da cui gran parte del nostro futuro dipende”. (Incontro con i rappresentanti delle comunità islamiche, Colonia, 20 Agosto, 2005).

Cario 14/9/2013, Festa della Santa Croce.

 

 

 

padre Giuseppe Scattolin missionario comboniano, collaboratore del Centro Peirone

 

Il testo completo si trova su:

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/egitto-salvato-acque-o-salvatore.aspx#

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