Egitto: l’esercito convoca la piazza. Per la Fratellanza è incitamento alla guerra civile


Venerdì prossimo tutti gli egiziani d’onore devono scendere in strada e dare allesercito il mandato per farla finita con il terrorismo e la violenza. Non lascia spazio ai dubbi lappello lanciato dal generale Abdel Fattah al-Sisi, in una delle sue rare apparizioni televisive. Il capo di Stato maggiore ha ricordato di aver a suo tempo messo in guardia Morsi, sollecitandolo a rassegnare le dimissioni pena lesplodere del malcontento tra la gente. Subito la replica dei Fratelli Musulmani che parlano di una minaccia da guerra civile e annunciano lintenzione di voler denunciare El Sisi per crimini contro lumanità. Poi promettono: nessuno fermerà i milioni dei nostri seguaci. Dal canto suo il movimento dei ribelli Tamarrod assicura pieno sostegno allesercito, mentre il vicepresidente El Baradei invoca il dialogo, aprendo la prima Conferenza sulla Riconciliazione Nazionale. Nel frattempo si continua a morire. Esplosioni e vittime ancora nel Sinai, un attacco dinamitardo contro un commissariato di Mansoura e il presidente americano Obama decide di rinviare la consegna dei caccia F16, promessi allEgitto.
Sui motivi della grave situazione egiziana, Giancarlo La Vella ha intervistato l’esperto di Paesi arabi, Paolo Branca, docente all’Università Cattolica di Milano:
R. – Purtroppo, la situazione che sta vivendo il Paese è il risultato di molte scelte sbagliate che sono state fatte in modo un po sorprendente, fin dalla caduta del regime di Mubarak, in quanto i Fratelli musulmani, che rappresentano soltanto una parte del Paese, hanno preteso di presentare un loro candidato alla presidenza, causando sia la spaccatura del Paese che del loro stesso movimento, che per metà non era favorevole a questa scelta.
D. – La situazione di caos perdurante è anche il frutto di un certo disimpegno dellOccidente in queste crisi?
R. – Sì. A livello globale, possiamo registrare una crisi della politica delle istituzioni su scala planetaria nel gestire non soltanto le emergenze, ma anche la vita quotidiana. I Paesi come lEgitto dimostrano questa debolezza nella politica in modo clamoroso: cè stata una rivoluzione cominciata spontaneamente e poi cè stato qualcuno che si è impossessato della rivolta, per godere esclusivamente i vantaggi che ne derivano. Questo ricorda un po anche quello che succede in altri Paesi. Più che forze politiche, sembrano bande che si scontrano per il potere.
D. – E anche vero che, quando si dice mediazione internazionale, automaticamente si pensa a un gruppo di Paesi guidati quasi sempre dagli Stati Uniti. Ma Washington non può farsi carico di tutte le crisi mondiali, soprattutto in questo momento
R. – Sicuramente, la crisi economica mondiale non favorisce una presenza che dovrebbe essere portata avanti anche da altri: per esempio lEuropa, dirimpettaia del Nord Africa del Medio Oriente nel Mediterraneo, dovrebbe avere una funzione molto più incisiva ed attiva. Gli Stati Uniti hanno unagenda già abbastanza ampia e dimostrano spesso di non conoscere abbastanza a fondo le complicazioni di antiche culture come quelle del Mediterraneo, dove le lezioni della storia dovrebbero essere tenute debitamente in conto.
D. – Cè comunque la possibilità di intravedere una linea di dialogo in questo momento in Egitto tra il fronte laico ed il fronte dei Fratelli musulmani?
R. – Direi che è lunica soluzione, proprio perché il Paese è spaccato e bisognerebbe premettere a tutto gli interessi del Paese, cercare di dare a ciascuno la possibilità di offrire il proprio contributo. Il muro contro muro che si sta delineando è sicuramente un danno immediato, tanto più che la situazione economica non è certamente rosea.