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EGITTO – (25 Novembre 2017)

Egitto. Strage delle moschea: chi sono i sufi, nuovo bersaglio del Califfato


Camille Eid sabato 25 novembre 2017
L’eccidio di venerdì, il più sanguinoso della storia, ha provocato 305 morti. L’antica terra dei clan beduini è l’ultimo bastione del Califfato.
La strage nella moschea (Ansa)

La strage nella moschea (Ansa)

Dopo le forze dell’ordine e i membri della comunità copta, ecco che con la strage nella moschea a Bir el-Abed, che ha fatto 305 morti tra cui 27 bambini, negli assalti violenti che imperversano nel nord del Sinai si affaccia un nuovo bersaglio per i terroristi: i sufi, ossia i membri delle confraternite dell’islam mistico che rappresentano una buona parte della popolazione musulmana d’Egitto, pur divisi in varie “tariqa” (ordini).

Cos’è il sufismo

Il sufismo è considerato la via mistica tipica dell’islam. I sufi appartengono a diversi “tariqa” o ordini, comunità guidate da un maestro, i quali si riuniscono per sessioni spirituali in luoghi chiamati “zawiya” o “tekke”. La diffusione del sufismo (in particolare in Turchia, Egitto, Africa nera) non è sempre vista di buon occhio dalle correnti islamiche “ortodosse” che considerano le pratiche sufi (come le danze dei dervisci rotanti) eterodosse. Tra i più noti rappresentanti del sufismo, Jalal al-Din Rumi e il filosofo Ibn Arabi.

Una terra senza controllo

Al-Arish, capoluogo del nord del Sinai, è diventata da circa tre anni il simbolo di un territorio in cui le autorità locali non riescono a ristabilire a pieno il controllo. Non tanto per il tradizionale dominio di clan beduini difficilmente assoggettabili a un potere statale (nello specifico Sawarkah e Riashat), ma per una sempre più radicata presenza della “Wilaya Sinai”, la filiale locale del Daesh che aspira – ora che il Califfato è in fin di vita in Siria e Iraq – a raccoglierne il testimone.

L’autostrada tra al-Arish e Bir el-Abed è percorsa quotidianamente da pick-up e carovane di jihadisti con una libertà di movimento che è un indice della gravità della situazione; nell’entroterra poi, il quadro è ancora più grave dove una fascia di terreno che si estende dalla costa fino a circa 50 chilometri a sud di al-Arish è quasi del tutto fuori dal controllo gover- nativo. Pesante il bilancio degli attentati: nel gennaio 2015, i jihadisti hanno assalito un quartier generale della polizia e un edificio adibito a residenza per le forze dell’ordine tra al-Arish e Rafah uccidendo decine di militari.

Più di recente ci furono 26 militari uccisi nel luglio scorso e altri 20 a settembre quando, non lontano da al-Arish, un convoglio della polizia militare è saltato sugli ordigni esplosivi piazzati ai bordi della strada. L’escalation ha raggiunto livelli inauditi nel febbraio scorso, quando i jihadisti hanno intensificato i loro attentati ai danni della piccola comunità copta (furono 7 le vittime in soli 15 giorni), costringendo decine di famiglie cristiane a lasciare il capoluogo.

Poche settimane dopo, in un’intervista pubblicata dal settimanale del Daesh, «al-Nabaa», un leader del gruppo avvertiva i musulmani a non avvicinarsi ai raduni dei cristiani, oltre che alle sedi governative, militari o della polizia, indicandoli come «obiettivi legittimi » da colpire. All’elenco si aggiungono quindi ora anche le moschee frequentate dai sufi. Il sufismo viene, infatti, associato al regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi essendo l’attuale imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, proveniente da una famiglia di sufi.

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