GAZA – ( 14 Novembre )

Razzi dalla Striscia di Gaza, soffiano nuovi venti di guerra

di Giorgio Bernardelli | 14 novembre 2012

I danni causati in una casa da un razzo lanciato da Gaza sui centri urbani israeliani a ridosso della Striscia.

Siamo nel pieno di un’altra escalation con morti e feriti a Gaza e razzi che cadono sulle cittadine israeliane dei dintorni. Ancora una volta, con il solito carico di sangue del tutto inutile. Solo che stavolta si torna a parlare con una certa insistenza anche di una possibile operazione di terra a Gaza, che replicherebbe lo scenario drammatico già vissuto tra la fine di dicembre 2008 e il gennaio 2009. Anche perché – come quella volta – le elezioni politiche in Israele sono vicine (la data fissata è il 22 gennaio) e nessun leader politico a Gerusalemme vuole mostrarsi debole, men che meno in campagna elettorale.

A confermare che non si tratti solo di una semplice ipotesi è un articolo di Alex Fishman pubblicato su Yediot Ahronot. È interessante – però – che lo stesso Fishman, giornalista ben informato sugli umori sia della politica sia dei militari a Gerusalemme, osservi anche che queste ondate di violenza sono comunque la certificazione del fallimento della politica israeliana su Gaza. «Il governo di Israele – sostiene – deve decidere una linea chiara su Gaza. Ha infatti tre possibilità: ristabilire la deterrenza con un uso massiccio della forza; mantenere la situazione attuale, costringendo però i cittadini israeliani che vivono nel Sud a rintanarsi ogni due settimane nei rifugi; lavorare per il raggiungimento di una tregua a lungo termine con Hamas, aprendo i valichi, offrendo concessioni e tornando sostanzialmente a una politica di non separazione tra la Cisgiordania e Gaza. Per Hamas sarebbe decisamente difficile rinunciare a una simile vittoria».

Leggere la terza ipotesi messa nero su bianco in questo modo da Alex Fishman è decisamente sorprendente: significherebbe infatti per Israele ammettere di avere sbagliato tutto su Gaza. Infatti quella di cui si parla con più insistenza in queste ore è piuttosto la prima ipotesi. Ma il fatto stesso che in un articolo del genere si evochi anche l’ipotesi politica è significativo dei dubbi in proposito, anche perché si comincia a temere apertamente che dopo Hamas ci possa essere anche qualcosa di peggio a Gaza. Nella Striscia intanto – come riferisce l’agenzia palestinese Maan – le fazioni puntano tutto sulla seconda ipotesi, quella senza vincitori né vinti. Con l’Egitto in campo per arrivare alla solita tregua che toglierebbe a tutti le castagne dal fuoco (ma solo fino al prossimo lancio di razzi). Tra l’altro sullo sfondo c’è anche la data del 29 novembre, quando – in concomitanza con l’anniversario della risoluzione 181 con qui nel 1947 l’Onu stabilì la partizione tra ebrei e arabi della Palestina del mandato britannico – Abu Mazen tornerà alla carica alle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento almeno dello status di Paese osservatore.

Siamo, dunque, alle questioni di sempre. Ma con un mondo distratto e una politica senza orizzonti che continua a uccidere persone innocenti. Una situazione amara in cui si rispecchia bene il congedo di un giornalista israeliano che proprio queste contraddizioni ha spesso analizzato lucidamente (e che in questa rubrica abbiamo più volte citato): ieri, infatti, ha firmato il suo saluto ai lettori di Haaretz Akiva Eldar, che a 67 anni lascia il quotidiano liberal per la pensione. Anche nell’ultimo articolo ha provato a mettersi nei panni dell’altro, nello specifico un muratore palestinese che si è visto portare via dal muro di separazione il campo di ulivi che era della sua famiglia. Raccontando le domande di quest’uomo e il suo desiderio sincero di un incontro possibile. Lo ha accomunato alle tante storie di associazioni che operano per la pace raccontate da Eldar in questi anni. Testimonianza sempre più controcorrente, eppure sempre più importante da raccontare. «Vedo con preoccupazione le linee del 1967 svanire – è la conclusione amara del suo articolo-, portando via con sé il profilo di una pace che sarebbe a portata di mano, e i confini di uno Stato democratico, ebraico e giusto in cui mi piacerebbe vivere il resto della mia vita. Osservo tutto questo con trepidazione – commenta Akiva Eldar -, ma comunque non dispero».

Clicca qui per leggere l’articolo di Alex Fishman

Clicca qui per leggere l’articolo di Maan

Clicca qui per leggere l’articolo di congedo di Haaretz di Akiva Eldar

 

Il testo completo si trova su:

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4496&wi_codseq=    &language=it

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